Nome: Scott Ronald Dixon
Data e luogo di nascita: 22 luglio 1980, Brisbane (Australia)
Nazionalità: Neozelandese
Ruolo: Pilota
Lo chiamano “Iceman”, ma in realtà lui è il Rick Mears degli anni 2000. Come il campione californiano Scott Dixon è infatti un personaggio riservato, sobrio, misurato dentro e fuori la vettura. Ad accomunarli non solo un controllo dell’auto straordinario, tale da permettergli di condurre auto sovrasterzanti al punto da essere inguidabili per i compagni, ma anche una condotta di gara sempre improntata alla razionalità, alla correttezza, al raggiungimento del massimo risultato col minimo rischio. Un’attitudine che pur non impedendo a entrambi di mettere a segno talvolta manovre clamorose, ne ha in parte influenzato la percezione dei tifosi, solitamente attratti da personaggi più controversi e spettacolari. Piloti simbolo delle due grandi potenze del motorismo a ruote scoperte americano, la maggiore forza dell’uno è forse la debolezza dell’altro: l’assoluta maestria di ogni tipo di circuito di Dixon contrapposta allo speciale rapporto di Mears con Indianapolis. Per entrambi, abituati a far parlare molto più la pista che i microfoni, il livello di rispetto universalmente raggiunto non lascia dubbi, non solo sulla caratura del pilota, ma anche sulla grandezza dell’uomo.
Scott Dixon è un predestinato, una sorta di bambino prodigio dell’automobilismo in pista fin da giovanissimo, perche i suoi genitori sono molto attivi nel mondo delle corse su terra, sia dietro il volante che come organizzatori. Per Scott però prefigurano una carriera in pista e fin da subito il neozelandese si mette in luce sul kart, effettuando poi un precocissimo passaggio alle auto. Già a tredici anni infatti riceve una speciale licenza per disputare la sua prima corsa con vetture turismo, facendo scalpore quando la sua auto finisce rovesciata a Pukekohe. Dopo questa prima traumatica esperienza Scott passa, vincendo, un po’ per tutte le categorie propedeutiche che Australia e Nuova Zelanda possono offrire: Formula Vee, Super Vee, F.Ford e F.Holden, campionato in cui corrono vecchie vetture di F.3000. Trovati i giusti finanziamenti, per Scott il passo successivo è l’America. Nel 1999 si accasa infatti nel team IndyLight di Stefan Johansson che, intuito il talento del ragazzo, sarà da lì in poi il suo manager. Alla prima stagione Scott, ancora diciottenne, si segnala tra i piloti più promettenti, vincendo una corsa sull’ovale di Chicago e mostrando grande adattamento. La stagione successiva Johansson fa accasare il suo protetto nel junior team di Bruce McCaw, titolare in CART del team PacWest. Il 2000 per Dixon è un anno trionfale, ma nonostante 5 vittorie, due incidenti nel finale di stagione mantengono la corsa al titolo aperta fino a Fontana, dove il neozelandese coglie la sesta affermazione, precedendo in volata il rivale Townsend Bell. Il titolo nella serie cadetta lascia quindi pochi dubbi al team PacWest, che punta su Scott per la stagione CART che va a cominciare.
Nel 2001 Dixon esordisce quindi nella CART al posto di Mark Blundell, che si prende un anno sabbatico. Nella battaglia per il titolo di rookie of the year, Scott se la vede con Bruno Junqueira, fresco campione F.3000 accasatosi da Ganassi al posto di Montoya. Il confronto è equilibrato, ma è il neozelandese ad arrivare per primo alla vittoria, trionfando a Nazareth alla terza corsa della stagione quando un’ottima strategia gli permette di evitare l’ultimo rifornimento. Scott è poi bravo nel finale a contenere gli attacchi di un velocissimo Kenny Brack, diventando a 20 anni il più giovane vincitore di una corsa sanzionata CART. Fin dalla prima stagione, seppur coinvolto in diversi contatti, Dixon mette in mostra grande maturità e concretezza, segnando punti con costanza e riportando il team PacWest a posizioni viste solo nel ‘97. Per ¾ di stagione infatti Scott si mantiene ai margini della top 5 in classifica. Non è spettacolare e non conquista pole a raffica, ma è solido e quando il mezzo lo assiste porta sempre a casa il risultato, mentre Junqueira è coinvolto in numerosi incidenti al volante della ben più competitiva Lola-Toyota del team Ganassi. A fine stagione Dixon, molto più competitivo del compagno Gugelmin, può contare su 10 arrivi in top ten (tra cui un bel podio a Milwaukee), che gli valgono l’ottavo posto in classifica e il titolo di rookie of the year.
Nel 2002 Scott è ovviamente confermato nel team PacWest, che schiera una Lola-Toyota nelle prime tre corse della stagione, prima di chiudere i battenti per mancanza di fondi. La CART non può però permettersi di lasciare a spasso il suo giovane più promettente e Chip Ganassi decide, supportato dalla Toyota, di mettere in campo una terza vettura per Scott, che va ad affiancare Junqueira e Brack. Il pilota neozelandese riprende dove aveva lasciato, marcando punti quasi a ogni corsa. Mentre Brack affronta una stagione molto deludente e da assoluto favorito finirà per portare a casa una sola vittoria, Junqueira è la punta della squadra, vince due corse e ottiene diversi podi anche se il discorso campionato è chiuso con largo anticipo da un grande Cristiano Da Matta. Dixon fatica a tenere il passo del brasiliano, non riuscendo a fare il salto di qualità atteso. Dopo i numerosi piazzamenti iniziali, la seconda parte di stagione è caratterizzata da problemi meccanici e incidenti che lo relegano a un deludente tredicesimo posto, con la piazza d’onore di Denver come miglior risultato.
Dopo aver tastato il terreno nelle stagioni precedenti, nel 2003 Ganassi decide di trasferire tutta la sua operazione nel campionato IRL, schierando due G-Force-Toyota per il confermato Scott Dixon e Tomas Scheckter. La squadra decide infatti di interrompere anzi tempo il rapporto con Brack, che torna al team Rahal mentre Junqueira preferisce rimanere in ChampCar e passa al team Newman Haas. Nella prima corsa di Homestead Dixon parte in mezzo al gruppo, ma dopo una prima fase di studio inizia la sua rimonta. A metà gara conquista il comando durante una sosta e non lo molla più, precedendo De Ferran e Castroneves sul traguardo per la sua prima vittoria, all’esordio, in IRL. Le corse successive non sono altrettanto positive: a Phoenix rompe il cambio dopo aver condotto le prime fasi mentre a Motegi è coinvolto in un brutto incidente con Kanaan. Al suo esordio a Indianapolis, il neozelandese è frenato da problemi elettrici, commettendo poi un brutto errore quando colpisce il muretto box dopo aver perso il controllo della vettura durante una neutralizzazione. Nelle corse successive però le cose cominciano a girare: Scott domina letteralmente a Pikes Peak e Richmond, mettendo poi insieme numerosi piazzamenti che lo fanno entrare nella lotta per il titolo.
Data la giovane età, la sua concretezza sorprende tutti, cominciando a valergli il soprannome di “Ice man”. Nel finale di stagione, nonostante due probabili vittorie a Nazareth e St. Louis svanite per problemi tecnici, i due secondi posti consecutivi di Chicago e Fontana gli permettono di agganciare Castroneves in vetta alla classifica, in vista dell’ultima corsa in Texas. Partito in prima fila, quando Helio e Kanaan vengono a contatto, a Scott non resta che controllare la situazione dietro De Ferran, prima che la corsa venga sospesa per l’incidente di Brack e Scheckter. A 23 anni Scott Dixon è quindi campione IRL. La gioia per lui e la squadra dura però pochi giorni. Al termine di una stagione inconcludente e zeppa di incidenti, Ganassi lascia libero Scheckter ingaggiando Tony Renna, promessa americana ben comportatosi alla guida di una Dallara del team Kelley. Renna, amico e compagno di Dixon ai tempi del team PacWest in IndyLights, sale per la prima volta sulla vettura del team Ganassi in una fredda giornata di autunno a Indianapolis. Dopo alcuni giri, forse per un cedimento meccanico o una foratura, la sua vettura scarta sull’erba all’ingresso di curva 3, colpendo poi il muro e le reti di contenimento. L’impatto devastante non lascia scampo al pilota americano.
Per il 2004 al fianco di Dixon viene quindi scelto Darren Manning, reduce da una buona stagione d’esordio in ChampCar. Nelle prime tre corse il team Ganassi si dimostra molto competitivo: a Homestead Scott rimonta da centro gruppo ed è l’unico a tenere il passo delle Penske, commettendo però un errore terribile in occasione del primo pit stop, quando perde il controllo in corsia di decelerazione per poi colpire violentemente la testa del muretto. Le protezioni fanno comunque il loro dovere e il neozelandese esce incolume dalla G-Force distrutta. A Phoenix si ripete lo stesso copione ma questa volta Dixon non fa errori, pressando a lungo Kanaan senza però trovare un varco. Dopo il secondo posto in Arizona, la stagione prende una brutta piega a Motegi, dove Scott si frattura una gamba in un brutto incidente nelle prove, riuscendo comunque a disputare la corsa, che chiude quinto. La svolta della stagione arriva però con il passaggio ai motori 3 litri, che coglie impreparata la Toyota. Il team Ganassi sprofonda infatti in un lungo periodo di mediocrità, non riuscendo ad affacciarsi davanti neanche negli ovali corti, a differenza della Penske. A una mediocre Indy500 segue quindi una lunga sequenza di corse inconcludenti, in cui Scott colleziona piazzamenti nella parte bassa della top ten, non correndo a Milwaukee dopo un brutto incidente nelle qualifiche. Manning invece, molto aggressivo ma troppo spesso coinvolto in incidenti, riesce di tanto in tanto a portarsi nelle posizioni che contano.
Dopo Homestead, Dixon prova intanto per la prima volta la Williams F1 a Le Castellet. Sir Frank, sempre interessato ai talenti d’oltreoceano, è curioso di provare il neozelandese, che vive questa possibilità con grandi aspettative. Dopo l’incidente di Renna, Scott non sembra infatti più a suo agio in IRL e un passaggio in F1 sarebbe l’ideale per il prosieguo della sua carriera. Nonostante oltre un anno di inattività sugli stradali e la poca abitudine a frenare col piede sinistro, in Francia Dixon si comporta molto bene, tenendosi a pochi decimi da Ralf Schumacher e risultando più veloce del tester Gené. Scott firma un precontratto e il posto lasciato libero nel 2005 da Montoya sembra suo. Qualche settimana più tardi, un secondo test a Barcellona raffredda un po’ gli entusiasmi, con la Williams che rimane in bilico per mesi sulla scelta da fare. Pressato da Ganassi, che fissa nella metà stagione il termine ultimo per prolungare il contratto, Dixon decide di rimanere in America. La stagione va avanti senza sprazzi significativi, con il campione in carica che chiude solo decimo in classifica.
Il 2005 se possibile è per lunghi tratti una stagione peggiore della precedente. Il team Ganassi schiera tre G-Force-Toyota, affiancando a Dixon e Manning il debuttante Briscoe. Sarà proprio quest’ultimo l’unico a mettersi in mostra in qualche occasione, senza però mai riuscire a portare a casa risultati concreti, a causa di numerosi incidenti. Per Dixon una stagione insulsa, piena di errori frutto della frustrazione e incidenti, in cui riesce a mettere insieme solo 5 arrivi in top ten. Scott può però contare su un contratto appena firmato e anche Ganassi capisce che senza un motore Honda, o al limite Chevrolet, non si va da nessuna parte. A farne le spese è Manning, appiedato a metà stagione per far spazio a Jaques Lazier sugli ovali e a Giorgio Pantano sugli stradali. A Watkins Glen, dopo il bruttissimo incidente di Briscoe a Chicago, un lampo illumina una stagione disastrosa. Pantano piazza la sua vettura in prima fila, ma è Dixon a compiere un capolavoro, passando uno a uno i suoi avversari e tornando alla vittoria dopo oltre due anni.
Nel 2006 Ganassi fa di tutto per mettere le mani sui motori Honda, ingaggiando anche il neo campione Dan Wheldon. Quando però Toyota e Chevrolet ufficializzano il ritiro, tutti hanno “diritto” al motore giapponese. Quello tra Scott e Wheldon è un rapporto difficile, di grande competizione interna. Il neozelandese fatica ad accettare la figura ingombrante di un pilota che vince al primo colpo, guidando in un modo aggressivo, perennemente sul filo del sovrasterzo. Nel 2006 il rapporto rimarrà teso, con anche qualche ruotata, ma col tempo i due impareranno a convivere, diventando grandi amici, soprattutto dopo il passaggio di Wheldon al team Panther. In pista la relazione in realtà porta subito i suoi frutti, come visto a Daytona, dove il trio Dixon-Wheldon-Casey Mears centra il primo successo di Ganassi nella maratona della Florida. Quando la stagione IRL comincia, Chip cancella poi in breve il ricordo delle recenti delusioni grazie a Wheldon, che a Homestead ottiene una perentoria affermazione avendo la meglio sulle Penske. Dixon invece chiude quinto col giro più veloce. A St. Pete Scott è poi secondo dietro Castroneves, dopo aver corso quasi tutta la gara con il musetto a penzoloni. Un errore strategico a Motegi lo relega al nono posto, mentre a Indy parte in seconda fila e chiude sesto, non riuscendo a inserirsi nella battaglia finale, dopo aver anche scontato una penalità per blocking nell’ultimo quarto di corsa.
In una stagione in cui una vettura Penske o Ganassi garantisce quasi sempre un arrivo tra i primi 4, Scott è quindi secondo in Texas, cogliendo poi la seconda vittoria di fila al Glen, in condizioni difficili a causa della pioggia. Il punto debole del team Ganassi in questa stagione sono però gli ovali corti, in cui Dixon e Wheldon sono quasi inesistenti rispetto ai piloti Penske. Una seconda vittoria a Nashville, frutto anche della strategia, tiene in corsa Dixon, che però è frenato da due gare sfortunate: a Michigan perde un giro quando rimane a secco in pista; a Sonoma domina letteralmente, ma un problema all’ultima decisiva sosta gli nega un successo certo, facendolo chiudere solo quarto. Con la vittoria Scott si sarebbe presentato a ridosso di Castroneves all’ultima corsa di Chicago, che affronta invece da quarto in classifica con un distacco di 21 lunghezze. Al termine di un duro confronto con Wheldon, Dixon chiude quindi secondo in Illinois, ma il podio del neo campione Hornish lo relega al quarto posto in classifica finale.
Nel 2007 Ganassi si presenta ancora più agguerrito rispetto alla stagione precedente, dominando le prime corse. Wheldon trionfa infatti a Homestead e Kansas, mentre il compagno raccoglie un terzo e un quarto posto, quest’ultimo a causa di una evitabile penalità. La facilità di questi successi innesca una polemica sul team, accusato di usare ali flessibili. A St Pete va invece in scena una replica di quanto accaduto nel 2006, con Castroneves che controlla Scott per tutta la corsa. A Indianapolis è poi il team Andretti-Green a dominare, con Ganassi un po’ in difficoltà. Wheldon, mai realmente in lotta per la vittoria, è coinvolto in un incidente nel finale mentre Dixon come Franchitti evita l’ultimo rifornimento sperando nella pioggia, che puntualmente arriva, regalando a Scott un secondo posto. Nelle corse successive Franchitti è bravo e fortunato a capitalizzare sulla sfortuna altrui. Dixon è infatti coinvolto incolpevolmente in un maxi incidente in Texas, mentre in Iowa dopo aver fatto la pole è subito fermo per problemi elettrici. Dopo il podio di Richmond, inizia però la grande rimonta di Scott, che nelle gare successive recupera oltre 50 punti a Franchitti, a cominciare da Watkins Glen, dove vince per la terza volta consecutiva costringendo all’errore Castroneves e controllando lo scozzese. Si prosegue con la seconda vittoria consecutiva a Nashville, in cui Dixon va in testa con uno spettacolare sorpasso su Franchitti e Wheldon, prendendo poi il largo nel traffico. La perfetta applicazione della strategia lo vede quindi trionfare a Mid Ohio, dove il neozelandese gestisce al meglio i consumi, superando lo scozzese e il poleman Castroneves durante le soste per centrare il terzo successo di fila.
I duellanti subiscono una battuta d’arresto a Michigan, dove sono entrambi coinvolti nel maxi incidente che fa fuori mezza griglia, per poi scontrarsi ancora in Kentucky, dove Dixon si arrende a Kanaan ma recupera ancora su Franchitti, solo settimo al traguardo. Le corse successive vedono quindi un’incredibile escalation di tensione. A Sonoma Franchitti domina, con Kanaan che gli copre le spalle dagli attacchi di Dixon e Castroneves. Il neozelandese riesce però a ritardare più di tutti ogni sosta, insidiando il duo di testa. Proprio quando Franchitti sembra avviato a vincere, si tocca però con Marco Andretti, che uscendo dalla pit lane non da strada al capo squadra, danneggiandogli l’ala anteriore. Nella ripartenza successiva Dixon ha quindi vita facile nel passare lo scozzese, andando a vincere davanti a Castroneves e conquistando la testa campionato, mentre Franchitti chiude terzo difeso oltre ogni limite da Kanaan. Gli stessi protagonisti animano l’appuntamento successivo di Detroit, dove Castroneves parte in pole ma butta la vittoria alle ortiche con una tattica suicida, lasciando campo libero a Franchitti e Dixon. Scott riesce a beffare il rivale dopo l’ultima sosta, imbattendosi però nel finale in Buddy Rice, che va avanti ormai solo con i fumi dell’etanolo. In un estremo tentativo di sorpasso, Dixon e l’americano entrano in contatto col neozelandese che, volontariamente o meno, termina la propria carambola su Franchitti. Aiutato dai commissari lo scozzese riesce comunque a riprendere, tornando davanti in classifica per soli tre punti.
Tutto si decide quindi nell’ultimo appuntamento di Chicago, che vede Hornish dominare la corsa e Kanaan uscire subito di scena per problemi al motore. Dixon e Franchitti si marcano a vicenda, guadagnando un giro su tutti nel momento in cui una bandiera gialla fortunata premia la loro tattica risparmiosa. Grazie a una neutralizzazione nel finale entrambi evitano poi l’ultimo rabbocco, senza però la certezza di riuscire a vedere il traguardo. Quando la bandiera verde sventola per l’ultima volta, a due giri dalla fine, Dixon precede Franchitti. Lo scozzese non sembra in grado di portare un attacco efficace, ma proprio all’ultima curva Scott rallenta col serbatoio vuoto, lasciando corsa e campionato al rivale, prossimo al passaggio in Nascar.
Il 2008 è l’anno magico di Scott Dixon, che vince il campionato, la 500 miglia di Indianapolis e sposa la bellissima podista gallese Emma Davies. È una stagione in cui va tutto bene al neozelandese: la macchina è sempre velocissima, non ha mai problemi di affidabilità, la tattica è quasi sempre azzeccata e la fortuna non manca. Già a Homestead Dixon vince “aiutato” da Kanaan, che con la vittoria ormai in vista non può evitare la vettura fuori controllo di Viso. Dopo un errore a St Pete, un terzo posto a Motegi e un secondo in Kansas dietro Wheldon, a Indianapolis inizia la marcia trionfale. Scott sigla la pole e conduce gran parte della corsa, insidiato da Wheldon, Andretti e Kanaan. L’inglese è però attardato da problemi a un ammortizzatore mentre il brasiliano è coinvolto in un incidente. Nelle ultime battute spunta dal nulla Vitor Meira, che con una ripartenza strepitosa si infila tra Dixon e Carpenter prendendo il comando. All’ultimo pit stop i meccanici del team Ganassi restituiscono però la testa a Dixon, che nel finale non ha poi problemi a controllare il brasiliano, portando a casa il primo successo al Brickyard.
Nella corsa successiva a Milwaukee, un duello esaltante con Briscoe viene interrotto dalla bandiera gialla negli ultimi giri, con Scott che arriva secondo ma si rifà in Texas, dove va in testa nel finale ed è lui ad approfittare delle bandiere gialle per l’incidente tra Andretti e Hunter-Reay, gli avversari più pericolosi. Al Glen il neozelandese manca invece un clamoroso poker a causa di un maldestro testacoda dietro la pace car, che coinvolge anche l’incolpevole Briscoe. Piazzamenti a Richmond e in Iowa portano all’ennesima vittoria a Nashville, la più inaspettata della stagione. La gara è infatti comandata da Kanaan, quando durante una bandiera gialla tutti si fermano a rifornire, a eccezione di Dixon e Wheldon. Mentre l’inglese punta però ad andare in testa sperando nella pioggia incombente, per Dixon la chiamata ai box arriva semplicemente troppo tardi per rientrare. Puntualmente la corsa viene interrotta per pioggia dopo pochi minuti, con Scott vincitore.
A Edmonton il neozelandese vince invece piegando Castroneves, che precede di un soffio anche in Kentucky, dove il brasiliano resta a secco nel tentativo di evitare l’ultimo rabbocco. Per Dixon è la sesta vittoria stagionale, ma anche l’ultima, perché a Sonoma per una volta non tiene il passo delle Penske e a Detroit un errore strategico gli nega una vittoria certa. La fortuna lo assiste comunque, perché una penalità rallenta il rivale Castroneves e la corsa viene decurtata per il limite delle due ore, poco prima che Scott debba rientrare per effettuare un rabbocco, con conseguente perdita di posizioni e quindi punti. Il neozelandese arriva quindi a Chicago con un vantaggio considerevole su Castroneves, che lo precede di 3 millesimi sul traguardo non potendogli però sottrarre il secondo titolo in carriera.
Nel 2009 Dixon è affiancato da un nuovo compagno di squadra, Dario Franchitti. Dan Wheldon lascia infatti il team Ganassi dopo tre stagioni non troppo soddisfacenti, in cui da comunque un grande contributo alla crescita di Dixon, soprattutto sugli ovali. Prima che il campionato IndyCar prenda il via, Scott accetta la proposta di De Ferran, suo grande estimatore, di correre la 12 ore di Sebring insieme allo stesso brasiliano e all’altro titolare Pagenaud. La corsa non andrà troppo bene, ma il neozelandese si prende la soddisfazione di piazzare la Acura in pole davanti a Audi e Peugeot ufficiali. È una stagione strana per il campione in carica, con tante vittorie esaltanti ma anche diverse gare sotto tono. Si inizia subito male a St Pete, a causa di un incidente con Mutoh che pone fine a una corsa tutt’altro che entusiasmante. Nulla di buono viene anche da Long Beach, una delle piste più indigeste al neozelandese, bravo però due settimane dopo in Kansas ad approfittare di un errore strategico della Penske e soffiare la vittoria a Briscoe. A Indianapolis Dixon e Franchitti sono i più veloci e guidano a lungo la corsa. Entrambi rimangono però attardati da soste lente nel momento topico, chiudendo sesto e settimo rispettivamente.
Sugli ovali Dixon ha una marcia in più del compagno, che però è più efficace nei circuiti cittadini, mentre sugli stradali il confronto è più equilibrato. A Milwaukee Scott centra la seconda vittoria, piombando su Briscoe nelle fasi conclusive durante un doppiaggio. In Iowa il neozelandese è poi quinto dopo un contatto nelle prime battute con Castroneves, tornando al successo a Richmond davanti a Franchitti. Nelle corse successive Dixon accumula quindi piazzamenti in top 5, tornando al successo a Mid Ohio, dove vince con un vantaggio enorme dopo aver passato Wilson durante il doppiaggio di Milka Duno. Per tutto il campionato il neozelandese si alterna in testa alla classifica con Franchitti e Briscoe, ma nelle ultime corse l’australiano sembra poter portare l’affondo decisivo: vince alla grande in Kentucky, con Dixon e Franchitti solo 6° e 7°; è secondo a Sonoma dietro lo scozzese, mentre Dixon si qualifica male e compromette tutto con una partenza azzardata; vince ancora a Chicago precedendo in volata il duo Ganassi. In Giappone però il pilota Penske rimette tutto in discussione colpendo il muro mentre lascia i box, con Dixon e Franchitti che colgono una doppietta.
All’ultima corsa di Homestead i tre si presentano così raccolti in un fazzoletto di punti, con Dixon a precedere Franchitti di 5 lunghezze e Briscoe di 8. Una volta in gara, Dixon e Briscoe sono più veloci e prendono il largo, mentre Franchitti rimane più attardato e punta tutto sui consumi, cercando sulla distanza di effettuare una sosta in meno. I tre doppiano tutto il gruppo e incredibilmente la corsa va via liscia senza bandiere gialle, con lo scozzese che procede a passo ridotto negli ultimi giri e sul traguardo precede di pochi secondi i rivali. Al suo ritorno in IndyCar, Franchitti è quindi di nuovo campione davanti al compagno di squadra.
Il 2010 segna un battuta d’arresto per Dixon, che pur arrivando terzo in classifica non è mai realmente coinvolto nella lotta per il titolo, che resta un affare privato tra Power e Franchitti. L’inizio di stagione è interlocutorio, con un sesto posto a San Paolo dopo un incidente in partenza, un errore a St Pete e la piazza d’onore a Barber. Al quarto posto di Long Beach fa poi seguito la vittoria in Kansas, che precede Indianapolis. Scott parte in seconda fila ed è tra i favoriti, ma la sua corsa si complica dopo una prima sosta difficile che lo spedisce a fondo gruppo. Con una macchina poco agile nel traffico inizia una lenta rimonta, ma il passo di Franchitti è inavvicinabile e alla fine Scott sarà solo quinto.
La sequenza di ovali successiva non porta risultati di rilievo fino alla trasferta canadese. A Toronto un incidente nel finale con Hunter-Reay è decisivo per le speranze di titolo di Scott, che vince però a Edmonton approfittando del pasticcio tra Castroneves e Power. Poche emozioni vengono dalle corse successive, fino al secondo posto di Sonoma dove Dixon, ormai fuori dai giochi per il titolo, è mandato in avanscoperta davanti a Franchitti per cercare di rubare la vittoria a Power, che però in California è insuperabile. Nelle corse successive continua la sequenza di mezzi risultati fino all’ultimo appuntamento di Homestead, dove Scott prima copre le spalle a Franchitti e poi, dopo il ritiro di Power, è lasciato libero di andare a cogliere il terzo successo stagionale, come lo scozzese, che però porta a casa il titolo.
Il 2011 vede il ritorno di un Dixon in forma campionato, che è però frenato da una serie di contrattempi quasi grotteschi. Nella prima corsa di St Pete è subito eliminato da un maxi incidente alla prima curva, mentre a Barber è secondo dietro Power. Un incidente provocato da Castroneves lo esclude poi dalla lotta per la vittoria a Long Beach e San Paolo lo vede solo 12°, al termine di una corsa resa caotica dalla pioggia. A Indianapolis Scott è tra i favoriti, partendo in prima fila e alternandosi a lungo in testa alla corsa con Franchitti. Nel finale, mentre il compagno tenta invano di evitare l’ultima sosta, Dixon fa la scelta giusta fermandosi a rabboccare. I meccanici non immettono però abbastanza etanolo per arrivare in fondo e Scott deve cedere al penultimo giro la posizione a Wheldon, che raccoglie la vittoria offertagli su un piatto d’argento da Hildebrand. Alla fine Dixon è solo quinto.
Nelle corse successive il neozelandese raccoglie due secondi posti nel doppio appuntamento in Texas, chiudendo settimo a Milwaukee, per poi tornare sul podio in Iowa. La trasferta canadese lo soddisfa a metà : a Edmonton Scott ha la corsa in mano, ma si ritira quando Viso sbaglia completamente una frenata andandogli addosso; a Toronto nel caos più totale è sempre tra i più veloci, rimontando abilmente nel traffico, ma a metà corsa perde la posizione su Franchitti durante i pit stop, non riuscendo più a superare il compagno, che va a vincere. Finalmente a Mid Ohio arriva la prima vittoria della stagione, dopo una corsa dominata e un sorpasso su Franchitti all’ultima ripartenza.
Gli appuntamenti successivi sono poi all’insegna della consistenza, con un terzo posto a Loudon e due quinti a Sonoma e Baltimora, prima della trasferta giapponese sullo stradale di Motegi, dove trionfa controllando Power per tutta la corsa. È infine terzo in Kentucky, dietro Carpenter e Franchitti, nell’ultima gara della stagione che assegna punti. L’ultimo appuntamento di Las Vegas viene infatti cancellato dopo l’incidente mortale di Dan Wheldon, di cui come detto Scott era diventato uno dei più cari amici nel paddock. Franchitti porta quindi ancora a casa il titolo mentre il neozelandese chiude il campionato al terzo posto.
Il 2012 di Dixon assomiglia terribilmente alla stagione precedente, con tanti episodi sfortunati a estrometterlo dalla lotta per la vittoria finale. Nelle prime corse il neozelandese raccoglie due secondi posti: a St Pete, dove è forse troppo arrendevole nel duello con Castroneves, e a Barber, preceduto da Power. Un ritiro per problemi tecnici nella mai amata Long Beach, conduce poi al week end di San Paolo, dove è tradito da una bandiera gialla ed è solo 17°. A Indianapolis parte 15°, risalendo facilmente il gruppo e giocandosi la vittoria con Franchitti e Sato. Negli ultimi giri Dixon e lo scozzese si alternano più volte in testa, sottovalutando però l’aggressività del giapponese, che a due giri dal termine segue la strada aperta da Franchitti, superando di forza Dixon e facendogli perdere il contatto. All’ultimo giro un’altra azzardata manovra di Sato si conclude poi in un contatto con Franchitti in cui la Dallara del team Rahal ha la peggio. Le posizioni vengono congelate e Dixon si ritrova tra lo scozzese e Kanaan in un podio che è il miglior omaggio all’amico Wheldon.
A Detroit Scott supera la delusione, dominando una corsa a lungo interrotta per le pessime condizioni dell’asfalto. Il dominio prosegue in Texas, dove il neozelandese conduce gran parte della corsa esibendosi in spettacolari sovrasterzi a causa della nuova configurazione aerodinamica, fino a quando la vettura non diventa troppo “loose” anche per lui, spedendolo contro il muro. A Milwaukee è poi vittima di un’incredibile svista della direzione gara, che lo estromette dalla lotta per la vittoria ritenendolo colpevole di un presunto sorpasso anticipato in una ripartenza che viene addirittura annullata. Dopo un quarto posto in Iowa, la rottura del motore a Toronto si somma ai problemi elettrici che lo rallentano a Edmonton, dove chiude 10°. Le speranze di titolo di Scott risorgono nella solita Mid Ohio, dove coglie una perentoria vittoria davanti a Power, per poi affievolirsi di nuovo a Sonoma, dove il neozelandese è mandato in testacoda da Castroneves al primo giro. Una buona rimonta è poi rovinata da un arrischiato sorpasso ad Hunter-Reay, in cui l’ala anteriore ha la peggio. Senza più velleità di titolo, nelle ultime corse Dixon giunge quarto a Baltimora e terzo a Fontana, dietro Carpenter e Franchitti. La classifica finale lo vede terminare ancora una volta al terzo posto, alle spalle di Hunter Reay e Power ma nettamente davanti a Franchitti, mai a suo agio sulla nuova DW12.
Il 2013 di Dixon si può dividere in due fasi, che hanno come spartiacque un test effettuato dal team Ganassi a Sebring, alla vigilia della corsa di Pocono, che insieme a un motore Honda finalmente a punto permette alla squadra di ritrovare la forma vincente. La stagione parte infatti in modo pessimo a St Pete, con Franchitti e Dixon qualificati nelle retrovie con grossi problemi di adattamento alle nuove gomme Firestone. Mentre lo scozzese si ritira presto per un incidente, Scott adotta l’assetto del 2012 e nonostante un problema alla valvola Wastegate mette a segno una buona rimonta, che lo vede precedere in volata la De Silvestro e Viso per il quinto posto. Nella corsa successiva a Barber le cose vanno meglio e Dixon mette Hunter Reay sotto pressione fino al traguardo, centrando l’ennesima piazza d’onore in Alabama. A Long Beach poi il neozelandese pasticcia in qualifica, parte ultimo e viene tamponato da Vautier poco dopo la partenza.
Riesce comunque a recuperare il giro di distacco e chiudere ai margini della top ten, mentre a San Paolo è ancora la Wastegate a relegarlo al 17° posto. Indianapolis è il punto più basso della stagione per il team Ganassi, che si qualifica male e a differenza dell’anno precedente fatica a entrare nella top ten. Alla fine Scott è solo 14°. Nelle corse di Detroit porta a casa due quarti posti, il primo dei quali frutto di una rimonta strepitosa dal fondo del gruppo, a causa di una tamponata di Allmendinger al primo giro. Nell’appuntamento successivo in Texas, un probabile piazzamento in top5 non si materializza a causa di un problema alla trasmissione e anche le corse successive di Milwaukee e Iowa regalano poche soddisfazioni. Il test di Sebring permette poi finalmente al team Ganassi di rimettersi in carreggiata con le regolazioni per sospensioni e ammortizzatori, come si vede a Toronto. La svolta per la classifica arriva però prima, sull’ovale di Pocono, dove è la nuova impostazione del motore Honda a fare la differenza, con Dixon che guida una tripletta Ganassi, evitando il rabbocco finale che costa la gara a molti piloti Chevrolet.
Nel doppio appuntamento di Toronto Scott vince una difficile gara 1, avendo la meglio su Bourdais e Power, per poi dominare la seconda corsa davanti al leader di classifica Castroneves. Con tre vittorie consecutive, Dixon si candida quindi a sfidante principale del brasiliano, che riesce però a precederlo per il sesto posto a Mid Ohio in una corsa basata sui consumi. Un po’ come accaduto nel 2007, le ultime gare si svolgono in un clima infuocato. A Sonoma Scott è aggressivo come non mai, prendendosi la testa a ruotate su Power e Franchitti. Durante la sosta decisiva però, il neozelandese invade la piazzola Penske, colpendo un meccanico che fa poco per evitare lo scontro, cosa che costa a Dixon un drive through e molti punti in classifica. Nell’appuntamento successivo di Baltimora Scott, partito in pole, battaglia a lungo con Power, fino a quando un improvviso cambio di traiettoria dell’australiano in ripartenza non manda entrambi contro il muro. Nel dopo gara il neozelandese attacca pesantemente il direttore di corsa Beaux Barfield, reo di non aver permesso il recupero della sua auto, che con poche riparazioni avrebbe potuto riprendere. Memore di quanto accaduto a Milwaukee nel 2012, Dixon chiede addirittura la rimozione del direttore di gara, dichiarazioni che gli costano una pesante multa.
Nel doppio appuntamento di Houston, Scott se la deve ancora vedere con Power. Nella prima corsa l’australiano rimane attardato da un errore strategico e Dixon può vincere con facilità. In gara 2 è invece il pilota Penske, tallonato per tutta la corsa dal neozelandese, a portare a casa la vittoria. I 90 punti conquistati, parallelamente al doppio ritiro di Castroneves per problemi al cambio, lanciano Dixon in testa al campionato con 25 lunghezze di vantaggio sul rivale. A Houston il team Ganassi perde però Dario Franchitti, coinvolto in un terribile incidente che lo porterà al ritiro definitivo dalle corse. Il posto dello scozzese nell’ultima corsa viene preso da Tagliani che, insieme a Kimball, da manforte a Dixon a Fontana. Scott conduce una gara attenta, cercando di evitare le mille insidie del traffico e di un asfalto molto scivoloso. L’elevato numero di ritiri e i problemi finali di Castroneves rendono però il lavoro più semplice e il quinto posto alla fine è sufficiente al neozelandese per conquistare il terzo titolo in carriera.
Nonostante il titolo vinto in extremis, le difficoltà di inizio stagione culminate col flop di Indianapolis spingono Chip Ganassi ad abbandonare la Honda, portando la squadra sotto la tenda Chevrolet. Il team Ganassi torna quindi a condividere la motorizzazione con il team Penske, mentre la squadra di Michael Andretti compie il percorso inverso, andando a capitanare la pattuglia del costruttore giapponese. C’è però un’altra grande novità: le conseguenze dell’incidente di Houston costringono Dario Franchitti al ritiro, ponendo fine ad una collaborazione tecnico-sportiva estremamente proficua con Dixon. Il neozelandese si ritrova così a dividere il box con il confermato Kimball, il rientrante Briscoe e Tony Kanaan, che sostituisce Franchitti alla guida della vettura Target numero 10. Seppur amici ormai di lunga data, nei primi mesi la collaborazione tecnica tra Dixon e il brasiliano stenta a decollare, anche a causa di due stili di guida piuttosto differenti. Se a ciò si sommano le inaspettate difficoltà del team nell’adattamento al motore Chevrolet, si spiegano almeno in parte i risultati che nelle prime corse della stagione arrivano col contagocce.
Nella prova inaugurale di St.Pete Scott porta a casa un discreto quarto posto, avendo ragione di Kanaan durante le soste senza però mai impensierire le Penske. Va peggio a Long Beach, dove il neozelandese entra in lotta per la vittoria solo grazie a un azzardo strategico nel finale, che però non paga, relegandolo fuori dalla top ten. Dopo un discreto terzo posto nella prova bagnata di Barber, il mese di maggio segna un brutto stop per le ambizioni di titolo di Dixon, che prima rovina il suo Gp di Indianapolis finendo nella sabbia in un maldestro contrattacco su Power, poi conclude la sua Indy500 contro il muro della curva 4 mentre si trova nel gruppo di testa. Un altro fine settimana poco esaltante frutta un 12° e un 4° posto nel doppio appuntamento di Detroit, cui segue una corsa regolare in Texas, dove una lunga battaglia con Kanaan e Montoya si conclude con un quinto posto. Il secondo double header stagionale a Houston va anche peggio di Detroit: gara 1 vede Scott finire a muro sul bagnato mentre nella seconda frazione sono problemi ai freni a concluderne anzi tempo la corsa. Nelle due corse successive di Pocono e Iowa, Kanaan è il dominatore assoluto, ma gli va male in entrambi i casi. In Pennsylvania il brasiliano è penalizzato da una strategia errata, terminando quarto davanti a un meno incisivo Dixon. In Iowa il duo Ganassi guida gran parte della corsa, con il brasiliano a condurre, ma entrambi sono beffati nel finale da Hunter Reay e Newgarden, che cambiano le gomme durante l’ultima neutralizzazione e in pochi giri sono in grado di superare senza sforzo praticamente tutto il gruppo.
Due corse discrete nel doppio appuntamento di Toronto fruttano un paio di piazzamenti in top ten, precedendo Mid Ohio, dove la stagione di Dixon trova finalmente un senso. Ormai universalmente riconosciuto come il dominatore della pista, in virtù delle 4 vittorie fin qui raccolte, Scott è atteso tra i protagonisti, ma un errore in qualifica sotto la pioggia lo costringe a partire dal fondo. Incapace di risalire il gruppo in una pista in cui i sorpassi sono proibitivi, Scott approfitta di una felice intuizione strategica di Mike Hull per prendere il comando a metà gara. Una volta a pista libera il neozelandese ha quindi la possibilità di sfoderare il suo vero passo gara, viaggiando più forte di tutti nonostante la sosta anticipata lo costringa a risparmiare carburante. Arriva così la prima vittoria stagionale per squadra e pilota, che dopo un non trascendentale quarto posto a Milwaukee concedono il bis a Sonoma, dove Scott supera Power durante le soste ed è poi bravo a mettere pressione a Conway, che su una diversa strategia prende il comando nel finale ma è poi costretto a cedere il passo dal serbatoio vuoto. L’ultimo appuntamento di Fontana va invece con merito a Kanaan, che prende il largo nel finale precedendo il compagno di squadra in una doppietta Ganassi. Dixon termina così il 2014 al terzo posto, un piazzamento forse fin troppo generoso per una stagione a tratti insufficiente e salvata dalla eccellente striscia di risultati delle ultime quattro gare.
Nove anni dopo il successo con Wheldon e Mears, il 2015 rivede Dixon in victory lane alla 24 ore di Daytona. Sempre efficace ma spesso alla guida della macchina “sbagliata”, il neozelandese ha finalmente l’occasione di portare a casa il secondo Rolex della carriera, non lasciandosela sfuggire grazie ad un ultimo turno di guida strepitoso, in cui Scott ha la meglio su Jordan Taylor sia sul piano della velocità che su quello dei consumi, facendo vedere il meglio del suo repertorio. Dopo un 2014 di rodaggio, il team Ganassi si presenta ai nastri di partenza della nuova stagione IndyCar forte del nuovo aerokit Chevrolet, dimostratosi nettamente superiore al pacchetto Honda nei test invernali, e della buona chimica raggiunta dal duo Dixon-Kanaan alla fine dell’anno precedente. La prima corsa non va però come previsto a causa di numerosi problemi durante le soste, che confinano costantemente Scott in mezzo al gruppo e al 15° posto finale. Dopo un undicesimo posto nella corsa farsa di New Orleans, flagellata dalla pioggia e dagli incidenti, Dixon riempie un’altra casella della sua brillante carriera a Long Beach, pista in cui non ha mai brillato. Aiutato dai dettagliatissimi appunti dell’amico Franchitti, il neozelandese piazza la sua vettura in seconda fila, superando Castroneves ai box anche grazie a un’incomprensione del brasiliano con Kanaan. Una volta al comando, Scott ha poi gioco facile nel controllare la Penske fino al traguardo, conquistando la vittoria in una delle poche piste per lui ancora inviolate. Una buona corsa conduce poi al terzo posto di Barber, dove nel finale il neozelandese non riesce a difendere la piazza d’onore da un Rahal inarrestabile. La prima fila al fianco di Power nel Gp di Indianapolis è invece solo il viatico per un incidente in partenza, in cui Scott è maldestramente centrato da Castroneves. Riparata la vettura, Dixon riparte dal fondo, staccato da Power di oltre 40 secondi, riuscendo a portare a casa almeno il decimo posto nonostante l’assenza di bandiere gialle.
Dopo aver primeggiato nel 2008, Scott torna quindi in pole alla Indy500, nonostante le qualifiche ridotte a due giri in assetto da gara, per scongiurare il ripetersi dei decolli che hanno condizionato la settimana precedente di prove. In gara Dixon è poi grande protagonista, guidando il gruppo più a lungo di tutti, nonostante la pressione delle altre vetture Penske e Ganassi, che dominano l’evento. La lotta per il successo è ovviamente appannaggio dei piloti superstiti delle due squadre, con Dixon che spalleggiato da Kimball se la deve vedere con Montoya e Power. Il neozelandese da inizialmente l’impressione di potercela fare, ma un deciso sorpasso di Montoya a 5 giri dal termine, complice anche un sacchetto che ostruisce un radiatore, gli fa perdere tempo prezioso, relegandolo al quarto posto finale. Alla delusione di Indianapolis segue un double header di Detroit segnato dal maltempo. Gara1 vede Scott chiudere al quinto posto, quando la minaccia dei fulmini porta alla conclusione anticipata dell’evento. In gara 2, dopo aver perso tempo dietro Newgarden, il neozelandese mette in atto una bella rimonta sui fuggitivi Power e Montoya, ma dopo varie neutralizzazioni la sua corsa termina contro le barriere dopo essere stato colpito involontariamente dal compagno Kimball. La sequenza di corse negative si interrompe finalmente in Texas, dove Scott domina precedendo Kanaan in una bella doppietta del team Ganassi, ma gli appuntamenti successivi di Toronto, Fontana e Milwaukee, regalano solo mediocri piazzamenti in top ten. Va addirittura peggio in Iowa, dove Dixon si ritira a causa di problemi tecnici, non potendo approfittare del ritiro di Montoya, che guida la classifica.
Staccato dal colombiano di quasi 50 punti, il terreno amico di Mid Ohio sembrerebbe l’ultima speranza per il neozelandese, che da copione parte in pole e domina le prime fasi, salvo poi essere spedito nelle retrovie da una bandiera gialla uscita al momento sbagliato. Montoya, fino a quel momento disperso nel gruppo, compie invece il percorso opposto, fino a quando la neutralizzazione causata da un testacoda sospetto di Karam, compagno di Dixon al team Ganassi, rovina la corsa del colombiano, lanciando il neozelandese al quarto posto, posizione che conserva fino al traguardo. Una deludente nona piazza nell’appuntamento successivo di Pocono, funestato dalla scomparsa di Justin Wilson, sembrerebbe lasciare ancora una volta poche speranze per Dixon, che si presenta al gran finale di Fontana con 47 punti da recuperare su Montoya e 13 su Rahal. La corsa californiana regala però come Indianapolis punteggio doppio, mantenendo aperte le speranze teoriche anche di Power, Castroneves e Newgarden. Il misero nono posto della qualifica non aiuta a instillare ottimismo all’interno del team Ganassi, ma nei primi giri Dixon mostra la grinta dei giorni migliori, installandosi subito in coda a Montoya per poi passare davanti durante le soste. Quando poi il colombiano entra incredibilmente in contatto con Power, danneggiando l’ala anteriore, il team Ganassi capisce di avere l’occasione di fare il colpaccio. Dixon passa a condurre grazie a un ritmo superiore alla concorrenza e i compagni di squadra riescono tutti a raggiungere piazzamenti in top 5, con Montoya che per vincere il titolo deve arrivare almeno sesto. Nonostante un inseguimento disperato negli ultimi giri, il colombiano deve accontentarsi della settima piazza, che lo condanna al pari punti con Dixon, che però vincendo a Sonoma può contare su un successo in più. Per il neozelandese si tratta quindi del quarto titolo IndyCar personale, che va a rompere la maledizione dei quattro anni intercorsi tra i campionati conquistati in precedenza.
Il 2016 per il team Ganassi si apre con un annuncio triste: dopo 26 anni di collaborazione, nel 2017 la squadra non avrà più il supporto dello sponsor Target, già ridotto alla sola vettura #9, che sosterrà solo il programma Nascar di Kyle Larson. In omaggio ai vecchi tempi la vettura di Dixon rispolvera quindi le saette che a fine anni ’90 adornavano le vetture di Vasser, Zanardi e Montoya. Neanche questo riesce però a cambiare la fortuna di Scott a St.Pete, dove problemi di raffreddamento dei freni affliggono tutte le vetture del team Ganassi, non facendo andare il neozelandese oltre il settimo posto. Decisamente meglio va invece a Phoenix, dove Scott si installa al secondo posto dopo aver visto Montoya e Castroneves subito eliminati da forature, per poi passare davanti a Kanaan durante un turno di soste. Una volta al comando, il campione in carica non ha quindi troppi problemi nel controllare Pagenaud e Power, andando a conquistare il primo successo della stagione.
L’appuntamento successivo sulle strade di Long Beach sembrerebbe seguire il copione già visto nel 2015, con Dixon e Castroneves in prima fila a giocarsi la vittoria. Il tutto si decide all’ultima sosta, quando Scott supera il brasiliano ma è beffato da Pagenaud, che si ferma più tardi di tutti e rientrando in pista con due ruote oltre la riga bianca prende il comando. Il neozelandese nel finale avrebbe un’occasione per tornare davanti, ma decide di non rischiare, accontentandosi di un secondo posto condito dalle polemiche. Il team Ganassi accusa infatti la direzione gara per non aver penalizzato il taglio di Pagenaud, ma a ben guardare in predecedenza diversi piloti, tra cui lo stesso Dixon, non sono stati puniti per la medesima infrazione. La frustrazione più grande deriva però dall’errore della squadra, che non si era avveduta della sosta ritardata di Pagenaud, invitando Dixon a risparmiare carburante dopo aver conquistato la posizione ai danni di Castroneves. Frustrazione che cresce a Barber, dove Scott parte in seconda fila ma è centrato al tornantino da Bourdais, non riuscendo poi ad andare oltre il decimo posto data l’assenza di bandiere gialle.
Lo stentato inizio di stagione, ormai un classico dei campionati di Dixon, si conferma nel mese di Indianapolis, che vede Scott solo settimo nello stradale, frenato da problemi al turbo, e poi impalpabile nella 500 miglia, dove chiude 8° dopo aver anche colpito il muro. Il doppio appuntamento di Detroit conferma il momento negativo, nella forma di problemi elettrici in gara 1 e del team Penske in gara 2, dove in partenza una ruotata di Castroneves gli danneggia lo sterzo e poi un attacco insensato di Montoya gli causa una foratura. Nonostante tutto Scott riesce a chiudere 5°, aumentando i rimpianti per un fine settimana che poteva regalare ben altre soddisfazioni. La frustrazione peggiora se possibile a Road America, dove il neozelandese è l’unico a tenere il passo di Power, prima di essere eliminato da un problema agli scarichi. Una boccata d’ossigeno arriva in Iowa, dove Scott chiude terzo tra le Penske dopo una bella battaglia con Power per la piazza d’onore, ma Toronto regala un’altra delusione. Portata a casa la prima pole dell’anno, il campione in carica comanda senza fatica la corsa seguito da Pagenaud, ma una bandiera gialla uscita al momento sbagliato rovina i piani di entrambi, facendoli piombare in mezzo al gruppo e regalando la vittoria a Power. Nei due appuntamenti successivi le sventure invece sono totalmente auto inflitte. A Mid Ohio Scott è atteso come mattatore, ma un errore della squadra in qualifica gli impedisce di completare un secondo giro veloce in Q2, relegandolo all’11° posto. In gara è invece il neozelandese che in un attacco piuttosto ottimistico distrugge la sospensione anteriore destra contro la fiancata di Castroneves. Un probabile top 5 in Texas è invece rovinato da un evitabile contatto con Carpenter che spedisce la Dallara n.9 contro il muro.
Quando a inizio stagione il progetto di una corsa nelle strade di Boston fallisce miseramente, Scott è il più felice nell’apprendere che in sostituzione viene scelta Watkins Glen, in passato suo terreno di caccia al pari di Mid Ohio. Le aspettative non vengono disattese: Scott domina tutte le sessioni di prove e in gara sparisce, facendo un’altra corsa rispetto al resto del gruppo. Anche quando alcuni incidenti nel finale impongono di risparmiare carburante il neozelandese non fa una piega, viaggiando più forte anche di chi sceglie di tirare al massimo ed effettuare un rabbocco del finale. Il secondo successo stagionale è quindi la naturale conseguenza di una superiorità imbarazzante. Abbandonata da tempo ogni speranza di titolo, a Sonoma Scott può comunque allungare la sua striscia di 10 stagioni consecutive chiuse in top 3, forte delle vittorie conseguite in California negli ultimi due anni. La corsa si rivela invece un disastro per il team Ganassi, che vede tutte le sue vetture attardate da vari problemi. Scott chiude quindi al sesto posto una stagione frustrante, molto migliore del 2015 in termini di velocità pura, ma troppo spesso viziata da problemi tecnici, sfortune e qualche errore imprevisto. A luglio Scott fa anche il suo debutto alla 24 ore Le Mans sulla Ford GT ufficiale del team Ganassi, completando l’equipaggio #67 composto da Ryan Briscoe e Richard Westbrook. Inizialmente in difficoltà avendo potuto coprire pochi, problematici giri nelle prove per via della pioggia, il neozelandese entra pian piano in sintonia con la pista francese, viaggiando nella seconda metà gara sullo stesso passo dei migliori. I tre si giocano la vittoria con la vettura #66 gemella e la Ferrari del team Risi, rimanendo però attardati da alcune virtual safety car durante la notte. Arriva così un agrodolce terzo posto di classe, con Scott che si prende comunque la soddisfazione di far segnare il giro più veloce.
A sorpresa nell’inverno Ganassi decide di tornare sotto la tenda Honda, nonostante il pacchetto Chevy si sia dimostrato largamente superiore nelle due stagioni precedenti. La scelta, proiettata al ritorno ad un kit aerodinamico unico nel 2018, è comunque accolta con favore dell’ambiente, favorito dall’avere i due top teams impegnati con diversi costruttori. Tante sono le incertezze sulla vigilia del campionato di Scott, che però a St. Pete spazza via tutto, dominando le prove e mettendo in mostra un passo inavvicinabile in gara. Peccato che la solita bandiera gialla rovini tutto, costringendolo a una rimonta del fondo che si chiude al terzo posto. In prima fila anche a Long Beach, il neozelandese comanda le prime fasi, ma lo spettro della neutralizzazione di St. Pete tradisce Mike Hull, che richiama Dixon ai box quando vede Andretti fermarsi in pista. La bandiera gialla però questa volta non arriva e Scott è da lì costretto a una tattica al risparmio che lo fa chiudere al quarto posto. Una bella sorpresa arriva poi in Alabama, dove il neozelandese è l’unico pilota Honda a contrastare le Penske, mancando il successo dopo aver subito un bel sorpasso da Newgarden, che contiene Scott fino al traguardo. Dopo un buon quinto posto nel dominio Chevy di Phoenix, una prova simile all’Alabama nell’Indy GP conduce ad un’altra ottima seconda piazza dietro Power. Arriva così la Indy500, dove Scott si fida del suo ingegnere Chris Simmons, affrontando la qualifica con un assetto scarichissimo che però paga, permettendo al kiwi di centrare la terza pole position al Brickyard. Poche ore dopo però Scott è incredibilmente vittima, insieme a Franchitti e alla moglie Emma, di una rapina allo sportello di un Taco Bell nei pressi dello Speedway, cui fortunatamente scampa senza un graffio. Brividi addirittura peggiori arrivano però durante la 500 miglia, che a un quarto di gara lo vede centrare la vettura fuori controllo di Howard e spiccare un terrificante volo verso le reti di contenimento interne. Nonostante un incontro troppo ravvicinato tra casco e muretto, Scott esce incredibilmente incolume dalla sua Dallara, riportando solo una piccola frattura a un piede.
Nonostante ciò è comunque ancora secondo nella prima corsa di Detroit, chiudendo poi sesto gara 2. Dopo una 24 ore di Le Mans non entusiasmante anche per via dei problemi al piede, il ritorno in America coincide con la corsa del Texas, dove Scott è in piena lotta per la vittoria con Will Power, quando nel tentativo di inserirsi tra i due Sato tocca l’erba a 7 giri dalla bandiera scacchi, travolgendo Dixon, che esce dalla vettura incolume ma furioso. Il riscatto non si fa però attendere e a Road America si vede il miglior Dixon della stagione. Dato il dominio in qualifica, prima della partenza i piloti Penske scherzano su chi tra loro taglierà per primo il traguardo, ma in gara Scott mette subito le cose in chiaro, mettendo subito pressione su Power e Pagenaud, che passa durante le soste, avendo poi la meglio in pista su Castroneves e Newgarden per conquistare la vittoria e un largo margine in testa al campionato. Dopo aver raggiunto l’apice la stagione del neozelandese vive però una flessione. Un week end difficile in Iowa conduce ad un mediocre ottavo posto per gentile concessione di Kanaan, cui segue una decima piazza a Toronto dopo un contatto con Power al primo giro. Anche il terreno solitamente amico di Mid Ohio non lo aiuta, a causa di un problema ad un ammortizzatore che lo relega al nono posto. La tendenza sembrerebbe cambiare a Pocono, dove il neozelandese conduce più a lungo di tutti, non avendo però nel finale la velocità del gruppo di testa, raccogliendo solo un sesto posto. Sempre a capo del contingente Honda a St. Louis, pista favorevole alla Chevrolet, Scott è poi bravo ad approfittare del battibecco in casa Penske per superare Pagenaud e chiudere secondo alle spalle di Newgarden, che con due corse da disputare lo precede in classifica di 31 punti. A Watkins Glen l’americano rischia però di compromettere tutto con un maldestro errore in uscita dalla pit lane, ma Dixon ne approfitta solo parzialmente, dovendosi inchinare a Rossi, che lo controlla abilmente fino al traguardo. Il secondo posto permette comunque a Scott di presentarsi a Sonoma con soli tre punti di ritardo, ma come nel 2016 la Penske domina l’evento. Partito sesto, Scott rimane infatti a lungo impelagato in una battaglia con Castroneves, non avendo comunque il passo per lottare con Newgarden, che vince meritatamente il titolo. Scott chiude invece la corsa quarto, portando a casa un terzo posto in classifica che gli va un po’ stretto, considerando i tanti punti persi incolpevolmente a Indy e Texas.
Dopo una stagione di incertezze relative alla sponsorizzazione, nel 2018 Ganassi incassa per la vettura #9 il sostegno full time della PNC Bank di Pittsburgh, da anni associata alla squadra come sponsor minore. Il 2017 da uomo di vertice Honda convince la casa giapponese a puntare su Scott per il programma di test privati con il nuovo aerokit, che comportando una sostanziale riduzione di deportanza dovrebbe sulla carta favorire le eccellenti doti di controllo del neozelandese. Nonostante questo vantaggio però il team Ganassi, tornato dopo 5 anni a una formazione a due punte con il rookie of the year Ed Jones ad affiancare Dixon, fatica a ingranare nelle prime corse. Una difficile qualifica bagnata e un clamoroso svarione che lo vede centrare Sato a inizio gara, costringono infatti il 4 volte campione a una difficile rimonta fino al sesto posto finale a St. Pete, cui segue un quarto posto per certi versi fortunoso a Phoenix, dove Scott emerge dal gruppo dopo l’ultima sosta, beneficiando di alcuni ritiri davanti a lui. Un probabile podio sfuma invece a Long Beach quando una bandiera gialla sfortunata rovina la corsa a lui e Bourdais, che gli soffia poi sul traguardo il quinto posto nella bagnatissimo appuntamento successivo a Barber. Il difficile momento in qualifica prosegue quindi nell’Indy GP dove Scott è eliminato addirittura in Q1, mettendo però in mostra un passo gara da vittoria il giorno seguente, che gli permette di risalire dal 18° al 2° posto finale. Dopo la sfortuna di Long Beach, una bandiera gialla fortunata raddrizza invece una Indy500 mediocre, permettendo al neozelandese di conquistare un terzo posto prezioso per via dei punti doppi.
La stagione cambia finalmente volto a Detroit, dove Dixon deve arrendersi in qualifica a un sorprendente Marco Andretti, prendendo però saldamente il comando a metà gara per conquistare il primo successo stagionale. Una prova più tranquilla lo vede poi chiudere quarto il giorno dopo dietro il compagno Jones. Il copione di Detroit 1 si ripete per certi versi in Texas, dove Scott si avvicina progressivamente al vertice, prendendo il comando durante il penultimo turno di soste per conquistare il secondo successo stagionale e portare a 23 le lunghezze di vantaggio sul rivale della stagione, Alexander Rossi. Divario che aumenta a Road America, dove Scott rimane ancora fuori dalla Fast Six, ma in una gara priva di bandiere gialle è comunque in grado di risalire al terzo posto, non potendo però impensierire Newgarden e Hunter-Reay. Dopo la tappa dell’Iowa, difficile per tutti i contendenti al titolo, a Toronto Dixon conquista un successo fondamentale in chiave titolo, passando in testa dopo un madornale errore di Newgarden e approfittando delle disavventure di Rossi, Power e Hunter-Reay. Sotto di 70 punti, il campione di Indy 2016 suona però la carica a Mid Ohio, feudo del neozelandese, conquistando una schiacciante vittoria con Scott solo quinto, per poi fare il bis a Pocono, dove però Dixon limita i danni chiudendo in terza piazza grazie anche al devastante incidente del primo giro che fa fuori numerosi protagonisti.
A St. Louis una corsa tesissima tra Dixon, Rossi e Power si trasforma nel finale in un confronto strategico in cui la tattica aggressiva dell’australiano ha la meglio sul gioco al risparmio dell’americano e l’ultimo splah and go troppo ritardato del neozelandese, che si presenta a Portland con 24 punti di vantaggio. L’ennesima brutta qualifica si trasforma in incubo al primo giro, quando Scott si ritrova coinvolto in un incidente multiplo da cui esce però incredibilmente senza danni e ancora a pieni giri. La sorte è evidentemente con lui in Oregon, perchè dopo i guai al cambio che mettono fuori gioco Power, una bandiera gialla sfortunata spedisce Rossi, sicuro vincitore, in fondo al gruppo mentre Scott si ritrova nelle prime posizioni. I due chiudono rispettivamente 7° e 5°, presentandosi all’ultimo appuntamento di Sonoma separati da 29 lunghezze. Nonostante i punti doppi gli lascino ancora buone possibilità di conquistare il titolo, l’americano spreca però tutto al primo giro rimediando una foratura in un contatto con Andretti. Nonostante una bella rimonta nel finale, a Dixon basta così un tranquillo secondo posto dietro Hunter-Reay per superare Mario Andretti, Dario Franchitti e Sebastien Bourdais, laureandosi campione per la quinta volta in carriera.
Anno | Serie | Squadra | N | Sponsor | Gare | Pos. Finale | Punti | Vittorie | Podi | Top5 | Top10 | Pole P. | LL | L | GPV |
2001 | CART | Pac West | 18 | Nextel | 20 | 8 | 98 | 1 | 2 | 6 | 10 | 0 | 74 | 7 | 0 |
2002 | CART | Ganassi | Target | 19 | 13 | 97 | 0 | 1 | 3 | 12 | 0 | 0 | 0 | nd | |
2003 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 16 | 1 | 507 | 3 | 8 | 9 | 11 | 5 | 748 | 14 | nd |
2004 | IRL/IndyCar | Ganassi | 1 | Target | 15 | 10 | 355 | 0 | 1 | 2 | 10 | 0 | 3 | 1 | nd |
2005 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 17 | 13 | 321 | 1 | 1 | 1 | 5 | 0 | 25 | 1 | nd |
2006 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 14 | 4 | 460 | 2 | 6 | 9 | 12 | 1 | 215 | 9 | nd |
2007 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 17 | 2 | 624 | 4 | 10 | 13 | 16 | 2 | 291 | 13 | nd |
2008 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 18 | 1 | 646 | 6 | 13 | 15 | 15 | 7 | 900 | 12 | nd |
2009 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 17 | 2 | 605 | 5 | 10 | 12 | 14 | 2 | 815 | 12 | nd |
2010 | IRL/IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 17 | 3 | 547 | 3 | 5 | 9 | 15 | 0 | 279 | 9 | nd |
2011 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 17 | 3 | 518 | 2 | 9 | 12 | 13 | 2 | 190 | 7 | nd |
2012 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 15 | 3 | 435 | 2 | 6 | 8 | 9 | 1 | 456 | 9 | nd |
2013 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 19 | 1 | 577 | 4 | 6 | 10 | 12 | 2 | 239 | 8 | 0 |
2014 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 18 | 3 | 604 | 2 | 4 | 11 | 12 | 1 | 97 | 8 | 3 |
2015 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 16 | 1 | 556 | 3 | 4 | 7 | 12 | 2 | 306 | 10 | 3 |
2016 | IndyCar | Ganassi | 9 | Target | 16 | 6 | 477 | 2 | 4 | 5 | 11 | 2 | 268 | 7 | 3 |
2017 | IndyCar | Ganassi | 9 | NTT Data | 17 | 3 | 621 | 1 | 7 | 9 | 16 | 1 | 131 | 8 | 1 |
2018 | IndyCar | Ganassi | 9 | PNC Bank | 17 | 1 | 678 | 3 | 9 | 13 | 15 | 1 | 357 | 6 | 3 |
Carriera | 305 | 8726 | 44 | 106 | 154 | 220 | 29 | 5394 | 141 |
*1 gara fuori calendario
Vittorie | Stradali | Cittadini | Ovali | Totale | ||||||
2001 | Nazareth | 0 | 0 | 1 | 1 | |||||
2002 | 0 | 0 | 0 | 0 | ||||||
2003 | Homestead | Pikes Peak | Richmond | 0 | 0 | 3 | 3 | |||
2004 | 0 | 0 | 0 | 0 | ||||||
2005 | Watkins Glen | 1 | 0 | 0 | 1 | |||||
2006 | Watkins Glen | Nashville | 1 | 0 | 1 | 2 | ||||
2007 | Watkins Glen | Nashville | Mid Ohio | Sonoma | 3 | 0 | 1 | 4 | ||
2008 | Homestead | Indy500 | Texas | Nashville | Edmonton | Kentucky | 1 | 0 | 5 | 6 |
2009 | Kansas | Milwaukee | Richmond | Mid Ohio | Motegi | 1 | 0 | 4 | 5 | |
2010 | Kansas | Edmonton | Homestead | 1 | 0 | 2 | 3 | |||
2011 | Mid Ohio | Motegi | 2 | 0 | 0 | 2 | ||||
2012 | Detroit | Mid Ohio | 1 | 1 | 0 | 2 | ||||
2013 | Pocono | Toronto 1 | Toronto 2 | Houston 1 | 0 | 3 | 1 | 4 | ||
2014 | Mid Ohio | Sonoma | 2 | 0 | 0 | 2 | ||||
2015 | Long Beach | Texas | Sonoma | 1 | 1 | 1 | 3 | |||
2016 | Phoenix | Watkins Glen | 1 | 0 | 1 | 2 | ||||
2017 | Road America | 1 | 0 | 0 | 1 | |||||
2018 | Detroit 1 | Texas | Toronto | 0 | 2 | 1 | 3 | |||
Totale | 16 | 7 | 21 | 44 | ||||||
Quote | 36,4% | 15,9% | 47,7% | 100% |