Alonso e la 500 miglia: una sfida per entrambi

Fernando Alonso alla 500 miglia di Indianapolis è la notizia più importante nel mondo delle ruote scoperte americane dai tempi della scissione. Come accaduto con la partecipazione di Nigel Mansell infatti, l’attenzione dell’intero panorama motoristico internazionale tornerà a concentrarsi sulla capitale dell’Indiana per 10 giorni, qualcosa cui sicuramente l’IndyCar non era più abituata.

Certo, negli ultimi 22 anni tanti avvenimenti clamorosi hanno suscitato attenzione e segnato la storia recente della 500 miglia, ma nessuno ha avuto la portata internazionale dell’annuncio di mercoledì scorso.

Lo scontro del 1996 tra Indy500-US500 ha rappresentato l’apice della guerra tra Tony George e la CART, ma il suo impatto immediato ha riguardato solo appassionati e addetti ai lavori, mentre gli effetti della scissione, seppur subito tangibili, hanno richiesto anni per manifestarsi in tutta la loro gravità, sottraendo interesse verso la corsa al punto che anche i ritorni del team Ganassi nel 2000 e del team Penske nel 2001, hanno si rappresentato pietre miliari nella storia dello Speedway, alimentando però solo l’animosità tra i tifosi superstiti delle due serie. Stesso discorso vale per il passaggio del team Penske in IRL, l’evento che ha di fatto segnato la vittoria della IRL sulla CART. L’assorbimento della morente ChampCar da parte della lega di Tony George è invece passato del tutto inosservato al grande pubblico, disperso in 10 anni di conflitto.

Per quanto riguarda le recenti partecipazioni di grandi personaggi, solo due paralleli sono possibili. L’edizione 2014 ha visto il ritorno di due ex vincitori come Villeneuve e Montoya, ma soprattutto il debutto di Kurt Busch, campione Nascar 2004 sempre al centro dell’attenzione, in pista e fuori. La presenza dell’americano ha attirato sulla 500 miglia l’attenzione del mondo delle stock car, tipicamente abbastanza chiuso in se stesso, permettendo l’ennesimo interessante confronto tra le due categorie, che fino a quel momento aveva visto solo piloti a ruote scoperte tentare, con poca fortuna, la via di Daytona. La presenza di Busch aveva però smosso solo il mondo delle corse americano, con scarso impatto sul pubblico generalista o sugli appassionati d’oltreoceano. Diverso il discorso dell’edizione 2005, in cui il debutto di Danica Patrick ha attirato l’attenzione di un pubblico vasto ed eterogeneo, diventando un fenomeno mediatico in grado di trascendere lo sport e le barriere geografiche, tanto da far fioccare per anni bislacche ipotesi di un impegno dell’americana nel Circus.

La partecipazione di Alonso ha però un sapore totalmente diverso, ricordando più il debutto di Mansell a Surfers Paradise o le avventure di Clark, Stewart e Hill (per citarne alcuni) negli anni ’60. Lo spagnolo non smuoverà l’interesse del pubblico americano, né degli appassionati Nascar né tantomeno quello generalista, per cui è bene non attendersi significativi incrementi di audience televisiva locale. Sarà però certamente in grado, lo ha già fatto, di portare l’attenzione di buona parte del pubblico F1 su una corsa e una categoria di cui la gran parte degli appassionati europei poco sa, se non per i classici luoghi comuni vecchi di 40 anni sugli ovali e le corse a stelle e striscie.

Danica Patrick e Dan Wheldon in lotta nelle fasi finali della Indy 500 2005
Danica Patrick e Dan Wheldon in lotta nelle fasi finali della Indy 500 2005

 

Kurt Busch, sesto nella Indy 500 2014. espnfrontrow.com; IMS Photo
Kurt Busch, sesto nella Indy 500 2014. espnfrontrow.com; IMS Photo

 

Un’occasione da cogliere al volo

L’IndyCar godrà di una visibilità senza precedenti e dopo anni di campagne di promozione fallimentari, è chiamata a trarne il massimo beneficio. Superato brillantemente il disastro del 2015, quando i nuovi aerokit avevano portato a una serie di decolli dalle cause mai del tutto chiarite, il congelamento regolamentare non dovrebbe lasciare spazio a imprevisti di natura tecnica. Deve quindi essere questa l’occasione per tappare la bocca ai tanti critici delle corse su ovali. Le caratteristiche aerodinamiche delle vetture non potranno impedire la gara al risparmio in cui si sono trasformati i primi 150 giri dall’introduzione della DW12, la cui notevole scia ha imposto un modo di correre diverso rispetto al passato, impedendo anche alle vetture più veloci di avvantaggiarsi sul gruppo. La parità tecnica tra Honda e Chevrolet dovrebbe però garantire come nel 2016 un alto numero di contendenti alla vittoria, in grado di creare uno spettacolo eccitante nell’ultimo quarto di gara.

Se poco o nulla si può fare contro la pioggia, che si spera stia alla larga dallo Speedway per prove e week end del Memorial Day, la direzione gara potrà invece influenzare due aspetti decisivi nella riuscita dell’evento: evitare un finale basato sui consumi e far terminare la corsa in regime di gara libera. Il finale 2016, seppur incerto fino all’ultimo, ha lasciato l’amaro in bocca a molti appassionati, privati di una grande battaglia per la vittoria dopo 3 ore di intensa competizione. Si deve quindi scongiurare un’ultima bandiera verde intorno ai 30 giri dal traguardo, la distanza di norma corrispondente a un pieno di etanolo. Dopo aver influenzato il risultato di St. Petersburg con una bandiera gialla assolutamente evitabile, è auspicabile che Brian Barnhart e soci gestiscano con attenzione la permanenza della pace car in pista, allungando nei limiti della logica (e della decenza) le ultime bandiere gialle per permettere a tutti di terminare la corsa senza ulteriori soste. Per quanto riguarda le possibilità di finale in bandiera gialla, se poco si può fare contro un incidente nelle ultimissime battute, nel 2014 la decisione dell’allora direttore di corsa Beaux Barfield di esporre la bandiera rossa a otto giri dalla fine, ha permesso lo spettacolare duello in cui Hunter-Reay ha avuto ragione di Castroneves. Successo americano nell’edizione arricchita dall’effetto Busch, non sfruttato a dovere dalla serie nei mesi successivi.

Un errore che l’IndyCar non può permettersi di ripetere.

Ryan Hunter-Reay si aggiudica in volata la Indy 500 2014. roadandtrack.com
Ryan Hunter-Reay si aggiudica in volata la Indy 500 2014. roadandtrack.com

 

La sfida di Alonso

Questo per quanto riguarda la serie, ma come sarà la 500 miglia di Fernando Alonso? Lo spagnolo si ritroverà immerso in un evento unico nel suo genere, lontano anni luce dal glamour e dall’esclusività dei gran premi, Monaco in testa. A Indy i piloti sono infatti chiamati a partecipare a innumerevoli cerimonie e attività con il pubblico e sarà quindi interessante vedere Alonso alle prese con un evento tipicamente americano, in cui la corsa è solo l’apice di quella che rimane in primo luogo una grande festa popolare.

L’adattamento vero però riguarderà ovviamente la pista. La prima presa di contatto con la Dallara potrebbe essere uno shock per Alonso, che abituato ai circa 900 cv della sua McLaren-Honda storcerà probabilmente il naso davanti ai 550-600 cv della DW12 in versione Indy, che vede la pressione del turbo ridotta a 130 kPa, con una perdita di potenza di oltre 100 cv rispetto alla configurazione stradale. A contare veramente sarà però il comportamento della vettura in piena velocità, dove il due volte campione del mondo si troverà alle prese con un’auto insolitamente leggera di aerodinamica, condizione che, unitamente alla disabitudine a certe velocità, potrebbe portare lo spagnolo a rivivere le sensazioni di Jacques Villeneuve.

Intervistato da Racer.com nel 2014 in occasione del ritorno allo Speedway, il canadese infatti diceva: “Il rookie orientation (il percorso di valutazione che i rookies e chi non ha preso parte alla corsa per qualche anno devono obbligatoriamente superare prima di poter provare con gli altri, ndr) è stato un trauma, devo ammetterlo. Tutto appariva sfocato, velocissimo e pensavo, <Hmmm, come va a finire se si rompe qualcosa qui, o qui?> e anche se sai che la macchina può fare tutto il giro in pieno, ci vuole un po’ per riuscirci. Tu pensi <ok, è ora di tenere giù>, ma poi ti ritrovi a dire <Oh, perché ho alzato il piede qui?>. E’ una sorta di istinto di conservazione. Quando poi siamo tornati per le prove però, dopo 10 giri gli automatismi sono tornati e riuscivo a fare tutto il giro in pieno, non sembrava più così veloce.”

A differenza del canadese, Alonso non ha però esperienza pregressa sugli ovali e sarà chiamato a far suo in breve uno stile di guida profondamente diverso da quanto fin’ora affrontato in carriera. La guida su ovale, in particolare i super speedways, richiede movimenti estremamente dolci, sia nella gestione del volante che dell’acceleratore. Il bassissimo carico aerodinamico rende infatti la vettura nervosa e l’alta velocità amplifica gli effetti degli input più semplici. Lo spagnolo dovrà quindi imparare a reagire con compostezza alle sensazioni trasmesse dalla vettura, dosando con attenzione anche gesti banali come il rilascio in curva, la cui conseguente decelerazione sposta il peso sull’asse anteriore, alleggerendo pericolosamente il retrotreno. Per gli stessi motivi l’uso del freno in situazioni d’emergenza, o anche solo in corsia di decelerazione, richiederà una delicatezza cui il pilota McLaren non è forse abituato. La scorrevolezza in curva ottenuta con il minor angolo di sterzo possibile dovrebbe essere invece una tecnica tutto sommato familiare per lo spagnolo, che però dovrà inizialmente adeguarsi alla stranezza di un volante storto in rettilineo, a causa dell’assetto asimmetrico della vettura, che tende a curvare a sinistra in ogni condizione.

Superato il primo impatto, anche grazie all’aiuto di compagni esperti come Hunter-Reay, Andretti, Sato e lo stesso Rossi, oltre a un assetto che nei primi giorni di prove sarà certamente conservativo e volto a far crescere la fiducia nella vettura, il problema sarà raggiungere la velocità (al netto delle scie) per essere competitivi sia in qualifica che in gara. Alonso si troverà così a scontrarsi con un altro aspetto per certi versi frustrante del correre a Indianapolis con la DW12. Dice ancora Villeneuve: “Rispetto a quando vinsi nel ’95, il modo di guidare è cambiato. Ora si corre un po’ come in Nascar a Daytona. Se sei da solo, stai sempre in pieno. Queste macchine hanno meno potenza e se alzi appena il piede, perdi molto slancio. Se come ai vecchi tempi ci fosse da alzare il piede in curva avresti più controllo e quindi sapresti dove guadagnare. Ma stando sempre a tavoletta è davvero difficile capire dov’è il limite. Ho avuto qualche indizio solo dopo essermi intraversato un paio di volte questa settimana. La seconda ho lasciato delle belle strisciate sull’asfalto che mi hanno fatto pensare: <ok, magari da qui facciamo qualche passo indietro!>”.

La capacità di queste vetture di stare sempre in pieno per buona parte di uno stint può facilmente indurre in un rookie una sensazione di totale controllo. La DW12 però ha dimostrato di poter colpire subdolamente, cosa che nel 2014 Kurt Busch ha imparato finendo contro il muro della curva 2 in prova. Sceso dalla vettura, l’americano ha poi ammesso di non aver seguito l’evoluzione della pista e della vettura operando le dovute correzioni nell’abitacolo. Come usa dire il vincitore 1998 Eddie Cheever infatti, “Indy è come un organismo vivente. Cambia di continuo, insieme al vento, sembra avere un spirito. Devi capirla, ogni attimo, perché non sarà mai la stessa. E nel frattempo la tua macchina sta cercando di ucciderti”. Il comportamento della vettura può cambiare notevolmente infatti con il ridursi del carburante a bordo, l’usura delle gomme, ma soprattutto in funzione del vento, della temperatura dell’aria e dell’asfalto. Alonso dovrà quindi familiarizzare in fretta con gli strumenti che dall’abitacolo permettono una regolazione fine dell’assetto: le leve che controllano le barre anti rollio e il weight jacker, che permette di regolare il precarico di una delle quattro molle. Guidato da un ingegnere esperto come Ben Bretzman poi, dovrà per quanto possibile aiutare il muretto nel decidere le modifiche di assetto (soprattutto pressione gomme e ala anteriore) durante i pit stop, così da adattare la vettura alle mutabili condizioni ambientali e della pista, in modo non troppo dissimile da quanto è abituato a fare in F1.

La prova però più difficile per Alonso sarà imparare a gestire il traffico degli ovali. Se l’enorme scia della DW12 è in parte responsabile della serrata competizione osservata negli ultimi anni, la sua elevata deportanza è però ciò che realmente permette alle vetture di procedere a stretto contatto. Questo non significa che la vettura sia però insensibile alle turbolenze, che in un pacchetto serrato di vetture possono costituire un problema critico, variando notevolmente il comportamento della vettura, che può facilmente passare dal sottosterzo al sovrasterzo. In questo caso Alonso dovrà far suo un altro controsenso degli ovali, imparando ancora una volta dall’errore di Kurt Busch. Come dice Mario Andretti a Motorsport.com infatti: ”Gli specialisti degli stradali hanno la tendenza a esagerare nelle correzioni sugli ovali, abbiamo visto molti esempi nel passato in IndyCar. Se senti che stai perdendo il posteriore, devi quasi lasciarlo andare. Se controsterzi troppo e la macchina riguadagna aderenza infatti, finisci per colpire il muro di muso”.

Un altro aspetto nuovo riguardo il traffico sarà poi il rapporto continuo via radio con lo spotter, oltre alla gestione delle distanze di sorpasso dagli specchietti e le traiettorie disponibili, che si ridurranno progressivamente durante la gara, rendendo imperativo evitare il cosiddetto “grey”, lo sporco che si accumula fuori traiettoria, responsabile ogni anno di buona parte degli incidenti.

Prima della corsa Alonso dovrà poi affrontare il complesso sistema di qualifica, che vede i piloti ripetere numerose volte i canonici  4 giri cronometrati, da affrontarsi con il minimo carico aerodinamico possibile, in una condizione di incipiente sovrasterzo che, per quanto detto sopra, rappresenta una prova massacrante per i nervi e, nei casi peggiori, i riflessi dei piloti, chiamati a correzioni fulminee. Una simile sfida, resa ancora più difficile dal traffico, potrebbe ripresentarsi poi nel finale di gara, dove la ricerca della maggior velocità possibile va inevitabilmente a discapito della stabilità. Alonso e Bretzman dovranno allora essere bravi a evitare l’errore di Barrichello e del team KV nel 2012, rimasti indietro nel momento decisivo perché troppo conservativi con il carico aerodinamico, o quello nel 2014 del rientrante Montoya, impossibilitato a inserirsi nella lotta per la vittoria dopo aver sottovalutato l’efficacia degli aggiustamenti, ai box e in vettura.

 

Solo lati positivi, o quasi…

Sono quindi tante le sfide che soprattutto Alonso, ma anche la stessa IndyCar, dovranno affrontare nel mese di maggio. Se tutto andrà per il meglio, non c’è motivo per cui lo spagnolo non possa inserirsi nella lotta di testa e dimostrare ancora, se ce ne fosse bisogno, la sua enorme classe. Veterani e promesse di Indy avranno invece l’occasione di mettere in mostra il proprio valore di fronte ad una platea molto più vasta del solito e chissà, magari aprirsi possibilità inaspettate per il futuro.

Non si vedono aspetti negativi quindi in questa entusiasmante avventura, a parte la mole già impressionante di autoproclamati esperti di motorsport che hanno cominciato la loro disinformata, quindi ignorante, opera di demolizione di gara e corse su ovali, rifacendosi come detto in apertura a preconcetti vecchi di almeno 40 anni e, probabilmente, falsi già in origine. Di certo a riguardo abbiamo solo il giudizio dei tanti piloti europei (di F.1 e non) che andando a correre aldilà dell’Atlantico hanno trovato (e raccontato) un livello di professionalità e agonismo che poco si rispecchiava nell’atteggiamento scettico al limite della derisione di tanti addetti ai lavori del Circus, alcuni dei quali non hanno mancato di dimostrare la propria ignoranza anche nelle ultime ore. È questo il piccolo prezzo per avere a Indianapolis forse il miglior pilota del mondo…prezzo che tutto sommato tutti noi appassionati veri delle corse USA paghiamo volentieri, nella speranza di una grande 500 miglia, al termine della quale forse anche gli scettici avranno maturato un po’ di rispetto e considerazione per una gara con 800 curve a sinistra e oltre 100 anni di storia.

 

Immagine di copertina: indycar.com