La tradizionale scorpacciata del mese di maggio è ormai prossima al suo epilogo che, meteo permettendo, dovrebbe arrivare alle 18.20 (ora italiana) di questo pomeriggio con la bandiera verde della 101° Indianapolis 500. Come raccontato dall’esperienza vissuta in prima persona infatti, la corsa è solo la ciliegina sulla torta di una imponente sequenza di attività che trasformano il mese di maggio nella grande festa popolare dell’Indiana. Sportivamente parlando però che maggio è stato?
Il Gran premio, che riempie solo parzialmente il vuoto lasciato dalla decurtazione delle prove della 500 miglia, ha restitutito un po’ di “giustizia sportiva” al campionato, regalando una corsa lineare in cui Will Power ha finalmente potuto mettere a frutto il chiaro potenziale mostrato a Barber e Phoenix, centrando un successo perentorio che lo rilancia in chiave titolo. Il 2017 di Scott Dixon ha preso invece una piega opposta a quanto visto negli ultimi anni: nessuna vittoria ma grande consistenza fanno apparire il neozelandese come l’iniziale favorito per il titolo. Non è però lui a guidare la classifica, bensì Simon Pagenaud, altrettanto consistente in termini di risultati, ma ancora alla ricerca della fiducia nella monoposto che lo aveva reso quasi imbattibile nel 2016. Il francese ha chiuso il GP al quarto posto alle spalle di Hunter-Reay, come Power beneficiario di una corsa finalmente priva di contrattempi. La top 5 è poi stata chiusa da un Castroneves ancora velocissimo ma mai in grado, per questioni tecniche e/o strategiche, di condurre l’intera corsa sullo stesso alto livello di prestazione, che significa far rendere entrambe le mescole di gomme Firestone.
Chiuso il capitolo GP, è poi iniziata la preparazione per la 500 miglia. Una settimana di prove osteggiata a tratti dal vento e dalla pioggia, che hanno reso quasi inutile il terzo giorno di prove, oltre a cancellare buona parte del sabato di qualifiche. Nove giorni di prove interessanti, seppur privi di clamorose sorprese. Gli equilibri tecnici affermatisi hanno infatti ricalcato quanto visto nel 2016, con la Honda padrona della prestazione pura e una Chevrolet che contiene i danni, puntando tutto sul passo gara. La novità principale rispetto alla passata stagione si chiama affidabilità. Non potendo recuperare sul campo aerodinamico per via del congelamento degli aerokits, si dice che la Honda stia spremendo l’impossibile, tramite tarature elettroniche estremamente aggressive, dai suoi V6 bi-turbo, e se diverse avvisaglie si erano viste nelle corse precedenti (vedi la morìa delle vetture Andretti a Long Beach), il mese di maggio ha visto saltare ben 8 unità giapponesi, alcune a fine vita, altre appena sostituite. Come se non bastasse alcuni motori sono stati vittima di problemi noti, altri ne hanno presentato di nuovi e imprevisti, lasciando nel dubbio la HPD sulle cause, che potrebbero risiedere nei materiali o nell’assemblaggio.
Verosimilmente alcune vetture Chevrolet avranno la velocità per competere in gara con le migliori Honda, ma la casa americana e le sue squadre non hanno fatto segreto di puntare sui problemi dei rivali per essere là davanti nei giri che contano. È comunque impensabile che nessuno dei principali alfieri Honda veda il traguardo. Perché la situazione non è così catastrofica, tanto che alcune squadre non hanno avuto alcun problema di affidabilità. Perché il numero di piloti Honda in grado di vincere è impressionante. Dopo i tre anni del team Ganassi tra le file Chevy che avevano lasciato sulle spalle dei soli Rahal e Hunter-Reay le speranze di vittoria Honda, con una nettissimo divario di qualità tra i due schieramenti, il ritorno del manager di Pittsburgh, unito alla ritrovata competitività (seppur ad alto costo) delle vetture “giapponesi”, ha completamente ribaltato il tavolo.
Se la Penske è normalmente un “esecutore” più che affidabile (3 vittorie su 5 corse parlano da sole), il team del Capitano non ha esattamente impressionato nelle prove, per quanto il Carb Day chiuso in testa da Castroneves con i compagni non lontani, facciano ben sperare. Il tonfo in qualifica (Will Power, il migliore, in terza fila) della compagine con base a Mooresville è stato compensato in casa Chevy dal team Carpenter. Patron Ed ha infatti lottato per la pole, replicando la bella prestazione di Newgarden nel 2016, con Hildebrand come sempre buona spalla in seconda fila. Nonostante le due pole (2013, 2014) il pilota dell’Indiana è ancora alla ricerca della prima corsa positiva a Indy dal 2008, cercando di evitare errori banali o rimanere indietro nel momento decisivo. Stesso discorso per Hildebrand, buon terzo a Phoenix e potenzialmente della partita nelle ultime fasi, a patto di evitare leggerezze come la tamponata del 2016 a Castroneves.
Leader del Carb Day, nonostante la posizione di partenza (19°) il brasiliano guiderà la carica del team Penske, cercando di risalire progressivamente alla ricerca del tanto sospirato quarto centro al Brickyard. Pagenaud, deludente in qualifica, è comuque atteso tra i protagonisti, sicuro di avere una macchina competitiva come nel 2016, dove solo un problema di misfire lo ha estromesso dalla lotta per la vittoria. Subito fuori nella passata edizione, Montoya ha puntato tutto sulla gara, dicendosi soddisfatto dei progressi compiuti dalla sua vettura. Partirà 18° ma le rimonte per lui non sono certo un problema. Qualche incognita in più la presenta invece Newgarden, violentemente a muro nel secondo giorno di prove. Il pilota del Tennesse partirà 22°, una posizione davanti a Pagenaud. Il più avanzato dei piloti del Capitano sarà come detto Will Power. L’australiano, già vincitore di due 500 miglia in carriera (Fontana 2014, Pocono 2016), ha già dimostrato di saper gestire la complessità di gare così lunghe. A parte un 2015 quasi perfetto, il suo rapporto con Indianapolis è però sempre stato conflittuale, tra errori della squadra (2010, 2011), incidenti incolpevoli (2012) e prestazioni sottotono (2013, 2016). Consistente nelle prove, sbloccatosi nel GP, il campione 2014 potrebbe fare il colpo grosso proprio nell’anno in cui forse è meno atteso.
Tra le altre squadre Chevrolet, Sage Karam potrebbe essere la sorpresa. Positivo al debutto nel 2014, la passata stagione il pilota della Pennsylvania è stato tra i protagonisti fino a metà gara, prima di abboccare clamorosamente all’amo tesogli da Towndend Bell, finendo scioccamente contro il muro della curva 1. Se saprà stare fuori dai guai, specie nei primi giri, il pilota Lexus (in IMSA) potrebbe davvero puntare a un gran risultato nel finale, in grado magari di valergli il biglietto di ritorno nel campionato. Poche speranze invece per gli altri. Le vetture del team Foyt sono apparse desolatamente lente, proprio come nel resto del campionato, per cui difficilmente vedremo Carlos Munoz proseguire la sua impressionante striscia di risultati allo Speedway. Chissà che qualcosa in più possa invece combinare Conor Daly, in difficoltà in qualifica ma piuttosto in palla nel Carb Day.
Il team Juncos, al debutto assoluto, non ha evidenziato progressi significativi nell’arco della settimana. Il brutto incidente di Spencer Pigot nel quarto giorno di prove non ha poi aiutato la situazione, ma il giovane californiano è stato poi bravo a riprendersi in qualifica, correndo non pochi rischi per strappare un posto davanti al compagno Saavedra. Davanti al colombiano anche il solito stoico Buddy Lazier, chiamato ancora una volta a riempire la griglia e come sempre più che decoroso in un team autogestito. Il vincitore 1996 si è preso il lusso di mettersi dietro anche Zach Veach, al debutto a Indy con il team Foyt e autore di un brutto incidente pochi minuti dopo il botto di Pigot.
Gabby Chaves, alla terza partecipazione, si è comportato abbastanza bene, mettendo in mostra una discreta velocità in chiave gara e piazzando la vettura del debuttante team Harding (schierata in collaborazione con il team Dreyer&Reinbold, che già segue Karam) al 25° posto.
Sul fronte Honda non si può non cominciare parlando di Scott Dixon. Il vincitore 2008 ha portato a casa una pole position straordinaria, vincendo le paure di una vettura troppo scarica e fidandosi ciecamente del suo ingegnere Chris Simmons. La guida chirurgica sul filo del disastro ha fruttato una media record per questa generazione di vetture, la prima pole position sopra le 232 mph dal 1996. Numeri capaci di infiammare il pubblico e ricordare, molto modestamente, i boati di quando Tom Carnegie era solito pronunciare il suo marchio di fabbrica: “it’s a neeew traaaack recooooord!!!”. Sarà il neozelandese in grado di replicare in gara? Difficile, perché nonostante la vittoria del 2008 Dixon non ha mai realmente brillato a Indianapolis, portando a casa meno di quanto il materiale a disposizione avrebbe permesso. Come detto altre volte il 4 volte campione IndyCar è un talento straordinario, ma non ha forse la necessaria cattiveria per fare a spallate nella ressa quasi da pack racing in cui si sono trasformati gli ultimi giri della Indy500 dall’introduzione della DW12. Se il motore reggerà, e il team Ganassi è stato fra i pochi a non avere problemi in tal senso, Dixon sarà della partita e se dovesse farcela…felici di essere smentiti, la sua leggenda crescerà ancora di più.
Chi non ha problemi a fare a ruotate è invece Tony Kanaan. Deluso in qualifica ma comunque in terza fila, il brasiliano è secondo forse solo a Tomas Scheckter nella quantità di vetture sorpassate all’esterno in partenza e ripartenza. Sarà però importante canalizzare questa carica competitiva nel finale, evitando dispersioni ed errori, come accaduto nel 2015. Kimball e Chilton, veloci a sprazzi nelle libere e autori di prove molto generose in qualifica, si sono comunque tenuti ben lontani dalle velocità di Dixon, ma rimangono dei buoni out siders. Il californiano in particolare ha già dimostrato nel 2015 di saper venire fuori al momento giusto.
Dopo una settimana di prove contrastante e una prima qualifica mediocre, il team Rahal si è rimesso in carreggiata domenica scorsa con una grande prova di Oriol Servia. Lo spagnolo, punito da un assetto troppo aggressivo nella sessione del sabato, ha poi infilato 4 giri sorprendentemente veloci la domenica, dando una bella svolta al mese della squadra, già ringalluzzita comunque dal bel sesto posto di Graham nel GP. I due partiranno in quarta e quinta fila e, considerando l’ottimo passo mostrato nelle ultime due sessioni libere, sono due “dark horses” di tutto rispetto. Servia ha già dimostrato nel 2011 e 2012 di sapersi fare largo nel finale e conquistare buoni risultati anche con vetture modeste. Rahal è il pilota da battere negli arrivi concitati, come dimostra la strepitosa affermazione di Texas 2016.
Chi è completamente mancato all’appello per ora, soprattutto in qualifica, è il team Schmidt, passato dall’avere tre vetture in Fast Nine nel 2016, al 13° posto in griglia di Aleshin quest’anno. Una perdita di competitività che ha spiazzato la stessa squadra e il poleman 2016 Hinchcliffe, che si è comunque detto fiducioso in ottica gara, dove più che la velocità pura conterà la consistenza nel traffico e nell’arco di uno stint.
La vera sorpresa delle prove è però stata il team Coyne, che piazza Ed Jones in quarta fila. Il pilota degli Emirati, autore del giro più veloce del mese a oltre 233 mph di media, ha impressionato la sua stessa squadra per l’adattabilità e la sicurezza mostrate. Un rapporto con gli ovali inizialmente difficile per Jones, al debutto assoluto in IndyLights nel 2015 col team Carlin, che è però poi migliorato fino alla Freedom 100 persa al fotofinish nel 2016 contro Dean Stoneman. Il campione IndyLights in carica sarà sicuramente tra gli osservati speciali. Chi poteva invece recitare il ruolo di favorito per la corsa è Sebastien Bourdais. Il francese, apparso a suo agio allo Speedway come mai in carriera, è passato in pochi secondi da una sicura pole position a un incidente catastrofico, a cruda testimonianza di quanto il limite tra giro perfetto e disastro rimanga sempre tremendamente sottile in una Indy comunque anestetizzata da troppa deportanza e poca potenza. Le fratture al bacino riportate hanno quindi costretto il quattro volte campione ChampCar a dare forfait, dovendo rinunciare anche a un campionato in cui, nonostante gli incolpevoli ritiri delle ultime due prove, avrebbe comunque recitato un ruolo da protagonista. Il francese sta comunque recuperando a ritmi sorprendenti, cosa che potrebbe permettergli di disputare le ultime corse dell’anno. Il suo posto a Indy verrà preso da James Davison, al ritorno allo Speedway dopo le esperienze del 2014 e 2015, che prenderà il via dopo aver messo insieme solo 90 minuti di prove nel Carb Day.
Chiudiamo parlando del team favorito, ovvero i campioni in carica del team Andretti. Dopo aver messo in mostra un bel salto in avanti su stradali e cittadini, il team del campione CART ’91 ha confermato la superiorità mostrata nel 2016, schierando 6 vetture quasi equamente competitive. Presente in Fast Nine con quattro piloti, la squadra ha mancato la pole, lanciando però chiari segnali in tutte le sessioni di prova. Qualunque fossero le condizioni, le vetture di Michael si sono dimostrate estremamente competitive. Alexander Rossi guida la carica dall’esterno della prima fila. Il vincitore uscente ha condotto un mese impeccabile, risultando quasi sempre tra i più veloci e dando grande prova di sé in qualifica. Primo ad uscire dopo il tremendo botto di Bourdais, con la pista piena di filler il californiano non ha battuto ciglio, scalzando Scott Dixon dalla vetta della classifica per poi essere battuto da Sato e Carpenter, in pista in condizioni più favorevoli. Circostanze straordinarie hanno ridotto l’attenzione sul campione in carica, ma Rossi ha la velocità e ora anche l’esperienza per poter puntare al bis. Il pelo non gli manca.
Takuma Sato ha guidato come sempre al limite tra aggressività e follia, colpendo per due volte il muro nell’ultima sessione di qualifica, senza mai togliere il piede dall’acceleratore, incurante delle possibili conseguenze. Sempre veloce in prova, come abbiamo scritto nella presentazione della stagione ha tutto per puntare al successo soffiatogli da Franchitti nel 2012, a patto di usare il cervello quando verrà il momento di prendere decisioni difficili.
Marco Andretti quest’anno ha limitato le dichiarazioni bellicose al minimo sindacale, concentrandosi sul lavoro di assetto. Poco incisivo in qualifica, dovrebbe avere tutti gli strumenti per puntare al successo. Sarà però fondamentale limitare quell’emotività che lo porta a passare metà gara urlando per radio, rimanendo invece concentrato sulla sua vettura, come fatto durante il mese. Fondamentale sarà quindi l’azione “calmante” di Bryan Herta, già protagonista nel successo 2016 di Rossi.
Un sorteggio sfortunato ha negato a Ryan Hunter-Reay la possibilità di lottare per la pole, ma il vincitore 2014 ha messo in chiaro in ogni sessione che chiunque punti al successo, dovrà fare i conti con lui. Veloce, esperto, concentrato, con Rahal e Montoya forse il più temibile avversario in caso di shoot out finale, il campione 2012 rimane la punta della squadra, salvo imprevisti come lo sciagurato incidente ai box del 2016.
Al volante di una vettura schierata da Andretti insieme a Michael Shank, per Jack Harvey è stato un debutto a Indianapolis piuttosto travagliato. A muro incolpevolmente il primo giorno, il suo apprendistato ha subito un ulteriore rallentamento per via di un motore Honda andato in fumo. Dopo una qualifica in versione “samurai”, con una toccata al muro della curva 2 tutt’altro che leggera, il due volte vice campione IndyLights ha mostrato un discreto passo nelle due ultime giornate di prove, seppur ancora un po’ distante dai tempi di Rossi e Sato.
L’unico reale centro dell’attenzione è stato però, inevitabilmente, Fernando Alonso. Il due volte campione del mondo ha condotto un mese di maggio impeccabile, adattandosi magnificamente alle tante insidie delle corse su ovali. Superato lo shock del primo giro “wide open”, l’asturiano ha guidato come un veterano, senza mai forzare la situazione, procedendo per gradi. Assistito da una squadra di grande esperienza, da un coach d’eccezione come Gil De Ferran (“il mio Yoda”, come lo definisce Pagenaud) e da un pacchetto Honda in gran forma, lo spagnolo si è inserito senza troppa fatica nei piani alti della classifica. Non è tanto la velocità a stupire, quanto la maestrìa con cui l’alfiere McLaren ha subito imparato a gestire il traffico, il vento, le turbolenze. Lo si è visto buttarsi in mezzo a due vetture, scendere sistematicamente sotto la riga bianca, superare di slancio e allontanarsi senza fatica, guidare sotto l’ala posteriore delle altre macchine e addirittura mettere a segno sorpassi nelle short chute, i brevi rettilinei tra le curve 1 e 2, 3 e 4. Una manovra rara e che richiede fiducia nell’altro pilota e non pochi attributi. Alonso non è però un rookie normale, e non si tratta solo di esperienza o titoli vinti. È l’incredibile applicazione e dedizione, la volontà di tentare tutto il possibile e non lasciare nulla al caso che lasciano stupefatti (ma non troppo data la natura del personaggio). Ogni mattina prima delle prove lo spagnolo si è sottoposto a intense sessioni (oltre due ore) al simulatore Honda, provando nuove traiettorie, simulando situazioni di gara, ingressi ai box ecc. Già prima di fare il rookie test ha passato settimane a guardare 20/25 delle precedenti edizioni della corsa, cercando di carpire non tanto i segreti di guida, ma le dinamiche della corsa e le strategie. Una volta arrivato a Indy ha poi guardato ancora tutte le corse con Gil De Ferran, discutendo e valutando ogni possibile situazione, ogni possibile alternativa. Oltre a studiare per settimane dati tecnici sugli anni passati fornitigli dal team e dalla Honda, si è poi fatto preparare dagli ingegneri McLaren uno studio statistico sullo sviluppo storico delle corse, con dati sull’incidenza delle bandiere gialle, il numero di soste, il numero di giri di gara libera, l’andamento delle vetture nell’arco della gara e dei singoli stints. Insomma quella dello spagnolo è stata una preparazione maniacale con un unico scopo, vincere la 500 miglia al primo colpo e poi puntare alla 24 ore di Le Mans.
Ci riuscirà? Difficile a dirsi. L’ex pilota Ferrari ha preparato tutto il possibile, ma verosimilmente certe dinamiche le vivrà solo in gara, quando la competizione con gli altri piloti si farà via via sempre meno amichevole e negoziare un sorpasso fianco a fianco significherà essere disposti a fare la curva con due ruote sullo sporco. Rispetto alle prove Alonso dovrà poi fare i conti con una pista in cui i riferimenti usati per 10 giorni non varranno più, mascherati dalla enorme marea umana che riempie le tribune e rende improvvisamente il nastro d’asfalto ancora più stretto e soffocante. Dovrà poi fare i conti con la pit lane più affollata della sua carriera, un posto dove la corsa si è talvolta vinta, ma molto più spesso persa.
Insomma ci sono tutti gli ingredienti per una 500 miglia da consegnare alla storia. Come sempre le speranze sono 4:
Nessun grave incidente, in particolare con vetture sulle reti, pericolo purtroppo sempre presente in ovali così veloci
Una corsa non condizionata dal meteo, anche se purtroppo le previsioni non sono favorevoli e tutto potrebbe slittare al lunedì
Un finale in corsa libera, senza quindi bandiere gialle a rovinare tre ore di festa dei motori
Un finale di corsa vera, senza quindi strategie e consumi a dettare il ritmo, come accaduto nel 2016.
Detto questo, buona Indianapolis 500 a tutti, vinca il migliore!
Griglia di partenza – Indianapolis 500
Pos.
Pilota
Velocità (mph)
Distacco (s)
Pilota
Velocità (mph)
Distacco (s)
Pilota
Velocità (mph)
Distacco (s)
1
Scott Dixon
232.164
2:35.063
2
Ed Carpenter
231.664
0,3346
3
Alexander Rossi
231.487
0,4533
4
Takuma Sato
231.365
0,5351
5
Fernando Alonso
231.3
0,5793
6
JR Hildebrand
230.889
0,8561
7
Tony Kanaan
230.828
0,8971
8
Marco Andretti
230.474
1,1368
9
Will Power
230.2
1,3229
10
Ryan Hunter-Reay
231.442
0,4833
11
Ed Jones
230.578
1,0663
12
Oriol Servia
230.309
1,2488
13
Mikhail Aleshin
230.271
1,2747
14
Graham Rahal
230.253
1,2869
15
Max Chilton
230.068
1,4128
16
Charlie Kimball
229.956
1,4884
17
James Hinchcliffe
229.86
1,5539
18
Juan Pablo Montoya
229.565
1,755
19
Helio Castroneves
229.515
1,7898
20
Jay Howard
229.414
1,8583
21
Sage Karam
229.38
1,8817
22
Josef Newgarden
228.501
2,4858
23
Simon Pagenaud
228.093
2,7673
24
Carlos Munoz
227.921
2,8867
25
Gabby Chaves
226.921
3,5828
26
Conor Daly
226.439
3,9201
27
Jack Harvey
225.742
4,4111
28
Pippa Mann
225.008
4,9314
29
Spencer Pigot
224.052
5,6138
30
Buddy Lazier
223.417
6,071
31
Sebastian Saavedra
221.142
7,7281
32
Zach Veach
221.081
7,773
33
James Davison
senza tempo
Indianapolis 500 – Ordine d’arrivo
Pos.
Pilota
Squadra
Pacchetto
N
Sponsor
Tempo
1
Takuma Sato (L)
Andretti
Honda
26
Ruoff
200 giri in 03:13:03.3584 – 155,395 mph
2
Helio Castroneves (L)
Penske
Chevrolet
3
Shell
0.2011
3
Ed Jones
Coyne
Honda
19
Boy Scouts of America
0.5278
4
Max Chilton (LL)(L)
Ganassi
Honda
8
Gallagher
1.137
5
Tony Kanaan (L)
Ganassi
Honda
10
NTT Data
1.647
6
Juan Pablo Montoya
Penske
Chevrolet
22
Fitzgerald
1.715
7
Alexander Rossi (L)
Andretti
Honda
98
Napa/Castrol
2.422
8
Marco Andretti
Andretti
Honda
27
Uniter Fiber & Data
2.541
9
Gabby Chaves
Harding – DRR
Chevrolet
88
Harding Group
3.831
10
Carlos Munoz
Foyt
Chevrolet
14
ABC Supply
4.532
11
Ed Carpenter (L)
Carpenter
Chevrolet
20
Fuzzy’s Vodka
4.623
12
Graham Rahal (L)
Rahal
Honda
15
Stake n’ Shake
5.031
13
Mikhail Aleshin
Schmidt
Honda
7
Lucas
5.699
14
Simon Pagenaud
Penske
Chevrolet
1
Menard’s
6.051
15
Sebastian Saavedra
Juncos
Chevrolet
17
AFS
12.667
16
JR Hildebrand (L)
Carpenter
Chevrolet
21
Preferred
33.219
17
Pippa Mann
Coyne
Honda
63
Susan G. Komen
1 giro
18
Spencer Pigot
Juncos
Chevrolet
11
Oceanfront Recovery
6 giri
19
Josef Newgarden
Penske
Chevrolet
2
Hum
14 giri
20
James Davison
Coyne
Honda
18
Sonny’s/Geico
incidente
21
Oriol Servia
Rahal
Honda
16
Manitowoc
incidente
22
James Hinchcliffe
Schmidt
Honda
5
Arrow Electronics
incidente
23
Will Power
Penske
Chevrolet
12
Verizon
incidente
24
Fernando Alonso (L)
Andretti
Honda
29
motore
25
Charlie Kimball (L)
Ganassi
Honda
83
Tresiba
motore
26
Zach Veach
Foyt
Chevrolet
40
Indy Women in Tech
27
Ryan Hunter-Reay (L)
Andretti
Honda
28
DHL
motore
28
Sage Karam
Dreyer&Reinbold
Chevrolet
24
Mecum
29
Buddy Lazier
Lazier
Chevrolet
44
incidente
30
Conor Daly
Foyt
Chevrolet
4
ABC Supply
incidente
31
Jack Harvey
Andretti
Honda
50
Sirius XM
incidente
32
Scott Dixon (L)
Ganassi
Honda
9
Camping World
incidente
33
Jay Howard
Schmidt
Honda
77
Lucas
incidente
Giro più veloce
Takuma Sato
39.790
229.190 mph
Velocità massima
Sage Karam
236.059 mph
379.819 km/h
Giri condotti in testa
Max Chilton
50
Ryan Hunter-Reay
28
Fernando Alonso
27
Alexander Rossi
23
Tony Kanaan
22
Takuma Sato
17
Helio Castroneves
9
Ed Carpenter
5
Charlie Kimball
5
Scott Dixon
5
Graham Rahal
2
JR Hildebrand
2
LL: Due punti per il maggior numero di giri in testa
L: Punto per aver condotto almeno un giro in testa