Sembra cominciato ieri, ma il campionato IndyCar ha già raggiunto la sua metà stagione. Con nove corse alle spalle e “solo” otto da disputare, facciamo un parziale bilancio del 2017, confrontando quanto fin ora visto con le aspettative espresse nella nostra anteprima di febbraio.
L’incredibile salto di qualità delle squadre Honda è stato senza dubbio la più grossa sorpresa dell’anno. In una stagione in cui l’IndyCar ha congelato gli aerokit e concesso pochissima libertà di manovra ai costruttori sul fronte motori, la casa giapponese ha fatto un mezzo miracolo a livello elettronico, spremendo ogni cavallo disponibile dalla sua unità, già accreditata di un leggero vantaggio sui rivali della Chevrolet. Viaggiare sul limite comporta però dei rischi, e le squadre Honda ne hanno avuto una palese dimostrazione con l’impressionante numero di rotture fin ora registrato e che ha visto il suo apice nel mese di maggio, in cui tra prove e gare sono saltati più di dieci propulsori nipponici. Un prezzo da pagare accettabile comunque per avere una concreta possibilità di vittoria finale, quella che almeno 5 piloti Honda realisticamente hanno. Sorpresa ma non sovrastata, la Chevrolet ha comunque fatto valere l’innegabile superiorità del proprio aerokit, che ha messo le ali alla Penske negli stradali permanenti. Solo il team Ganassi e uno Scott Dixon in grandissima forma hanno retto l’urto a Barber e Indy GP, mentre sui cittadini il confronto tra i due pacchetti è sembrato estremamente equilibrato, nonostante la Honda abbia portato a casa il successo a St.Pete, Long Beach e nel doppio appuntamento di Detroit. Il vantaggio di potenza si è fatto nettamente sentire anche a Indianapolis, mentre l’efficienza aerodinamica ha prevalso a Phoenix, determinando un pesantissimo poker Chevrolet. Il rinnovato ovale del Texas, veloce come un super speedway ma di lunghezza e raggio di curva inferiore, ha visto invece un sostanziale pareggio tra i due pacchetti.
Considerando che tra le otte corse rimanenti contiamo quattro stradali permanenti, due ovali corti, un super speedway e un cittadino, la bilancia sembra pendere nettamente a favore della Chevrolet e del team Penske, ma non è comunque il caso di ripetere l’errore della vigilia sottovalutando la Honda e soprattutto il suo impressionante numero di potenziali contendenti a ogni signola vittoria. Con uno Scott Dixon a secco di vittorie ma protagonista del miglior avvio di campionato da oltre un decennio, considerando che tra le corse rimanenti abbiamo Toronto, Mid Ohio e Watkins Glen, la lotta per il titolo tra le due case dovrebbe rimanere apertissima fino a Sonoma.
Pos. | Pilota | Punti | Distacco | Corse | Vittorie | Podi | Top 5 | Top 10 | Poles | LL | L | GPV |
1 | Scott Dixon | 326 | 0 | 9 | 4 | 6 | 8 | 1 | 54 | 5 | 1 | |
2 | Simon Pagenaud | 313 | 13 | 9 | 1 | 4 | 7 | 7 | 129 | 2 | ||
3 | Takuma Sato | 312 | 14 | 9 | 1 | 1 | 3 | 6 | 41 | 3 | 1 | |
4 | Helio Castroneves | 305 | 21 | 9 | 1 | 4 | 8 | 2 | 119 | 5 | 1 | |
5 | Will Power | 286 | 40 | 9 | 2 | 4 | 4 | 4 | 3 | 365 | 5 | 2 |
6 | Graham Rahal | 283 | 43 | 9 | 2 | 2 | 3 | 5 | 2 | 96 | 4 | 1 |
7 | Josef Newgarden | 277 | 49 | 9 | 1 | 3 | 4 | 5 | 29 | 4 | 3 | |
8 | Tony Kanaan | 264 | 62 | 9 | 1 | 2 | 5 | 23 | 2 | 1 | ||
9 | Alexander Rossi | 254 | 72 | 9 | 2 | 4 | 23 | 1 | ||||
10 | James Hinchcliffe | 232 | 94 | 9 | 1 | 2 | 2 | 4 | 47 | 3 | ||
11 | Max Chilton | 229 | 97 | 9 | 1 | 3 | 58 | 2 | ||||
12 | Ed Jones | 228 | 98 | 9 | 1 | 1 | 4 | |||||
13 | Marco Andretti | 210 | 116 | 9 | 3 | |||||||
14 | Ryan Hunter-Reay | 194 | 132 | 9 | 1 | 2 | 2 | 56 | 2 | |||
15 | Mikhail Aleshin | 192 | 134 | 9 | 2 | 1 | 1 | |||||
16 | JR Hildebrand | 191 | 135 | 8 | 1 | 1 | 1 | 2 | 1 | |||
17 | Carlos Munoz | 180 | 146 | 9 | 3 | |||||||
18 | Charlie Kimball | 143 | 183 | 9 | 2 | 1 | 42 | 3 | ||||
19 | Conor Daly | 140 | 186 | 9 | 1 | |||||||
20 | Sebastien Bourdais | 136 | 190 | 5 | 1 | 2 | 2 | 3 | 69 | 1 | ||
21 | Spencer Pigot | 124 | 202 | 7 | 3 | |||||||
22 | Ed Carpenter | 124 | 202 | 3 | 1 | 5 | 1 | |||||
23 | Juan Pablo Montoya | 93 | 233 | 2 | 1 | |||||||
24 | Gabby Chaves | 83 | 243 | 2 | 1 | 2 | ||||||
25 | Oriol Servia | 61 | 265 | 3 | ||||||||
26 | Fernando Alonso | 47 | 279 | 1 | 27 | 1 | ||||||
27 | Sebastian Saavedra | 33 | 293 | 1 | ||||||||
28 | Pippa Mann | 32 | 294 | 1 | ||||||||
29 | Esteban Gutierrez | 27 | 299 | 2 | ||||||||
30 | Jay Howard | 24 | 302 | 1 | ||||||||
31 | Zach Veach | 23 | 303 | 2 | ||||||||
32 | Sage Karam | 23 | 303 | 1 | ||||||||
33 | James Davison | 21 | 305 | 1 | ||||||||
34 | Jack Harvey | 17 | 309 | 1 | ||||||||
35 | Tristan Vautier | 15 | 311 | 1 | 15 | 1 | ||||||
36 | Buddy Lazier | 14 | 312 | 1 |
Vediamo nel dettaglio come è andata la prima metà stagione per tutti i protagonisti.
Simon Pagenaud ha guidato a lungo la classifica e si trova attualmente in seconda posizione, ma i numeri non sempre riflettono il vero andamento delle corse. Il campione in carica infatti sta indubbiamente faticando, non riuscendo a ritrovare quella perfetta alchimia con la sua vettura che lo aveva reso inarrestabile nel 2016. Più che della macchina più veloce, il francese ha più volte chiarito di volere una vettura cucita su misura, un obiettivo che lui e il suo ingegnere Ben Bretzman hanno centrato poche volte quest’anno. In difficoltà con i freni nella prima prova di St. Pete, il francese ha beneficiato (come del resto il vincitore Bourdais) di una bandiera gialla fortunata, ma il suo ritmo non è apparso irresistibile. Discorso diverso a Long Beach, dove una dubbia penalità in qualifica ha costretto il campione 2016 a prendere il via dalle retrovie, da cui è partita una poderosa rimonta frenata solo a metà gara da una foratura. Due corse solide ma tutt’altro che entusiasmanti a Barber e Indy Gp sono state infremmezzate dalla vittoria di Phoenix, la prima su un ovale, propiziata ancora una volta da una bandiera gialla favorevole. Dopo una Indy500 pessima, alle prese con una vettura mai competitiva, un week end incolore a Detroit ha poi condotto al bel podio del Texas. La costanza ha mantenuto finora Pagenaud nei piani alti della classifica, ma nonostante il calendario in discesa, per lottare per il titolo con Power e Dixon ci sarà bisogno di ritrovare almeno in parte la strepitosa velocità del 2016.
Newgarden per il momento ha rispettato in pieno le nostre aspettative. Ha faticato in qualifica mentre in gara è stato spesso veloce, a tratti spettacolare, ma ha anche commesso un po’ troppi errori gratuiti. Dopo due corse solide a St. Pete e Long Beach, il pilota del Tennesse ha offerto una prova maiuscola a Barber, dove si è issato a ruotate fino al secondo posto, beneficiando nel finale dei problemi di Power. Raramente, anche tra i senatori del team Penske, si era visto un pilota arrivare così rapidamente al successo. Poi però sono arrivati gli errorini di Phoenix, dove un podio probabile si è trasformato in un piazzamento fuori top ten, la doppia penalità per eccesso di velocità nella pit lane dell’Indy Grand Prix e il brutto botto in prova nella Indy 500, cui è seguita una corsa volitiva ma sfortunata. Detroit sembrava aver riconsegnato un Newgarden più maturo, ma la smentita è arrivata subito in Texas con una botta a muro evitabilissima. Con 49 punti da recuperare l’ex pilota ECR rimane ampiamente in corsa per il titolo, ma d’ora in poi ogni punto sarà pesantissimo e certe leggerezze non più ammissibili.
Nonostante una velocità in qualifica invidiabile, Castroneves è ancora a secco di vittorie nel 2017, prolungando un digiuno di oltre tre anni. Se una certa inconsistenza nella gestione delle diverse mescole Firestone è costata qualche successo al brasiliano, in troppe occasioni il risultato grosso è sfumato per qualche errore strategico di Roger Penske. Niente di tutto questo ha invece pesato a Indianapolis, dove è stato il deficit di potenza Chevrolet-Honda a negargli ancora la quarta Indy500, che forse avrebbe meritato per quel finale di gara spettacolare. Alla ricerca del tanto agognato titolo, Helio sta quindi ancora puntando sulla consistenza, con ben 8 piazzamenti in top ten su nove corse, gli stessi di Scott Dixon. Solo un incidente incolpevole in Texas gli ha negato l’en plein. Tante volte però Castroneves si è trovato in questa situazione per poi vedersi sfuggire il titolo. Bisognerà quindi imparare dagli errori passati: evitare i fine settimana storti visti nel 2013 e 2014, continuare a massimizzare ogni risultato e mettere a segno qualche vittoria pesante nelle ultime corse, un’arte cara al suo ex compagno De Ferran.
Un 2017 partito malissimo sta lentando tornando sui binari giusti per Will Power. L’australiano, in pole a St. Pete, nelle prime corse ha avuto problemi di ogni tipo tra guasti, incidenti e anche la beffa della foratura di Barber a rovinare una corsa dominata. Dopo un altro successo incolpevolemente sfumato a Phoenix, una corsa finalmente regolare ha visto il trionfo del campione 2014 nell’Indy Grand Prix, prima di una Indy500 avara di soddisfazioni. Un fine settimana agro dolce a Detroit ha poi condotto alla seconda vittoria stagionale in Texas, dove l’australiano ha condotto con autorità dopo essere risalito alla grande da metà gruppo. Seppur meno impressionante del solito in qualifica, sfortuna permettendo Power ha tutte le possibilità di recuperare i 40 punti da Dixon, specie considerando le corse rimanenti, tra cui figura anche Pocono, in cui Will trionfò nel 2016. A nostro avviso è lui il favorito per il titolo.
Nove gare alle spalle e purtroppo poco di nuovo da dire sul team Foyt, addirittura danneggiato dal passaggio alla Chevrolet nella stagione in cui il ben conosciuto pacchetto Honda sembra aver rinvigorito tutte le compagini rimaste fedeli al costruttore nipponico. La rivoluzione tecnica compiuta nel reparto tecnico con l’ingaggio di Will Phillips non ha per il momento sortito gli effetti sperati, condannando Munoz e Daly a un posto fisso in fondo alla classifica. Il colombiano ha però saputo giocare meglio le proprie carte, guidando con la testa per portare a casa 3 piazzamenti in top ten. Daly, inizialmente molto in difficoltà con in nuovi freni Brembo-PFC, è risultato in generale meno efficace, seppur in lento miglioramento. Il settimo posto in Texas è stato il primo arrivo positivo, dopo aver visto un’altra bella prestazione a Phoenix rovinata da problemi al cambio.
Una prima metà stagione positiva ma non del tutto soddisfacente per il team SPM. L’avvio di James Hinchcliffe è stato eccellente, con una caparbia partenza a St. Pete rovinata solo da una bandiera gialla e poi il bellissimo successo di Long Beach, aiutato comunque dai problemi del team Andretti. In difficoltà a Indianapolis, il canadese rimane costantemente tra i più veloci piloti Honda, seppur non esente da errori, come il testacoda al primo giro a Detroit (compensato da una brillante rimonta fino al podio) o il contatto in pit lane con Castroneves in Texas. Potrebbe portare a casa almeno un altro successo nel 2017, ma il titolo per quest’anno appare fuori portata. Deve ancora limitare alcuni errorini per cancellare definitivamente lo spettro di Pagenaud, ma al momento sta nettamente vincendo il duello con il compagno di squadra.
Aleshin per ora è forsa la maggior delusione della stagione. Atteso al definitivo salto di qualità, il russo per ora ha faticato a mostrare la velocità più volte apprezzata nel 2016. In difficoltà inizialmente con i nuovi freni, nelle prime corse il russo ha combinato poco, collezionando inoltre una serie di contatti evitabili. Il calendario presenta ora alcuni appuntamenti che lo hanno già visto mettersi in evidenza. Speriamo quindi di vedere un Aleshin più efficace in un confronto con Hinchcliffe in cui lo davamo per favorito ma che per ora lo vede senza dubbio perdente.
La Honda ha indubbiamente fatto passi da gigante, ma questo non spiega completamente la stagione del team Ganassi. La compagine di Chip è andata infatti oltre le aspettative, almeno con la vettura n.9, guadagnandosi nuovamente il ruolo di top team Honda, grazie all’impressionante cura per il dettaglio imposta dalle particolari caratteristiche dell’aerokit giapponese. L’altro segreto, tutt’altro che occulto, sta però nel talento di Scott Dixon. Ancora incredibilmente a secco di vittorie, il neozelandese sta offrendo forse il massimo del suo sconfinato potenziale. Privato di una vittoria certa a St. Pete da una bandiera gialla di troppo e di una probabile a Long Beach da una neutralizzazione mancata, il 4 volte campione ha contenuto i danni a Phoenix, per poi superarsi a Barber e Indy GP, unico pilota Honda in grado di impensierire le Penske. Miracolato a Indy dopo la strepistosa pole, un solido week end a Detroit (nonostante i postumi dell’incidente) ha permesso a Dixon di conquistare la vetta della classifica. Il calendario non appare favorevole alla Honda, ma considerando che gli 8 appuntamenti rimanenti comprendono due storiche roccaforti del kiwi come Mid Ohio e Watkins Glen, oltre a Toronto dove nel 2016 dominò, il neozelandese appare l’unico veramente in grado di arginare l’avanzata in classifica di Power. Alla fine però i tanti punti persi incolpevolmente tra Indy e Texas potrebbero risultare troppi anche per lui.
Per il momento la stagione di Kanaan è stata innegabilmente sotto tono. Mai veloce come Dixon, il brasiliano ha visto sfumare solidi piazzamenti nelle prime corse per contatti non troppo colpevoli ma comunque evitabili. Anche gli stradali hanno portato poca fortuna e se l’assalto finale alla Indy500 gli è stato precluso dai danni causati da alcuni detriti, il secondo posto in Texas è arrivato al termine di una corsa troppo sopra le righe. Kanaan rimane uno dei piloti più popolari del campionato e un serio contendente alla vittoria in tutti gli ovali, ma su stradali e cittadini i suoi giorni migliori in IndyCar sono passati da un pezzo. Il 2017 sarà quindi probabilmente il suo ultimo anno in pianta stabile nella serie.
Fatto salvo per un positivo Indy Gp, tutto in rimonta dopo una brutta qualifica, il 2017 di Max Chilton fino alla Indy500 è parso inconcludente come il precedente. Un azzardo strategico ha proiettato in testa l’ex pilota Marussia per 50 giri, più di tutti, grazie a una guida aggressiva e un’auto veloce. Un’altra discreta prestazione in Texas, rovinata dall’incolpevole incidente finale, ha poi confermato un discreto adattamento agli ovali veloci. Il problema rimangono però le prestazioni mediocri nelle altre piste, in particolare i cittadini, cui l’inglese sembra proprio far fatica ad abituarsi. Senz’altro meglio dovrebbe andare già domenica a Road America, dove fu veloce nel 2016, e più avanti a Watkins Glen. Per il resto non si prospettano miglioramenti a breve.
Kimball non ha fatto vedere grossi miglioramenti dal 2016, ma sul suo bilancio pesano i ritiri di Indy e Texas, dove avrebbe potuto dire la sua nel finale. Un altro ritiro incolpevole lo ha poi visto protagonista all’Indy GP. Per il resto le solite prestazioni da parte bassa della top 10. Chissà che l’avvicendamento di ingegneri con Kanaan (Kimball è ora seguito da Todd Malloy mentre il brasiliano è tornato a lavorare con Eric Cowdin) non possa dare i suoi frutti nella seconda metà stagione.
Un 2017 a due facce fin ora per Graham Rahal. Un disastro a detta dello stesso interessato fino a maggio, seguito da un improvviso ritorno alla vittoria. Nonostante gli importanti innesti invernali nel reparto tecnico, la squadra ha infatti faticato inizialmente a replicare gli exploit delle stagioni precedenti, risultando spesso indietro nel set up di base. Nonostante un’altra qualifica difficile, la stagione è cambiata nel GP di Indy, dove Rahal ha recuperato dalle retrovie fino al 6° posto finale. Una foratura gli ha negato ogni velleità di successo nella 500 miglia, ma il riscatto è arrivato presto, con un dominio quasi eccessivo nel doppio appuntamento di Detroit. Una prova matura in Texas ha poi lasciato il pilota dell’Ohio con un 6° posto in classifica e 43 punti da recuperare. Senza troppa pressione addosso, con la speranza di qualche battuta d’arresto dei principali rivali Graham potrebbe dire la sua in chiave titolo, in attesa del potenziale salto di qualità che arriverebbe dalla probabile seconda vettura del team nel 2018.
Dato lo stravolgimento tecnico occorso in inverno, dare il team Coyne come sorpresa della stagione era una previsione abbastanza scontata. Il livello di prestazioni visto fin ora è andato però un po’ oltre le aspettative. Più che la vittoria di Bourdais a St. Pete, propiziata da una bandiera gialla fortunata ma comunque impossibile senza un gran passo gara, a sorprendere è stato il salto in avanti sugli ovali, terreno che nel 2016 vedeva il team occupare saldamente le ultime posizioni. Peccato che Bourdais non abbia potuto trarne vantaggio. Dopo la bella vittoria in Florida, il francese ha dimostrato di fare sul serio con il secondo posto di Long Beach e una prova solida a Barber. I sogni di titolo sono naufragati però con lo sfortunato doppio zero di Phoenix e Indy GP. Sempre veloce nelle prove, il 4 volte campione ChampCar sembrava pronto per una Indy500 da protagonista, ma il destino ha voluto diversamente. Speriamo di rivederlo prima di Sonoma.
Seppur non in grado di compensare la perdita di Bourdais, Ed Jones è stato fin ora protagonista di una stagione d’esordio positiva. Il britannico in pista con i colori degli Emirati Arabi Uniti, ha confermato le doti già apprezzate in Indy Lights: buona velocità, adattabilità ai diversi tracciati, pochi errori. A suo agio nelle posizioni di testa fin dalla prova di apertura, Long Beach e Barber hanno visto un crescendo fino a Indy, dove Jones si è dimostrato velocissimo in prova e maturo abbastanza da aspettare gli ultimi giri per mostrare il potenziale della sua vettura. Peccato che un piccolo danno al musetto abbia rovinato la penetrazione aerodinamica della sua Dallara, relegandolo a un comunque impressionante terzo posto, vedendosi però soffiare da Alonso il titolo di rookie dell’anno. Il suo compito sarà ora continuare la crescita, facendosi valere nel confronto con un compagno dalla vasta esperienza come Gutierrez.
La stagione del team Carpenter sta seguendo più o meno il cammino che avevamo prospettato in inverno. Hildebrand non sembra ancora aver ritrovato il passo giusto su stradali e cittadini, dando raramente l’impressione di poter lottare per un posto in top ten con la sola velocità. Meglio è andata, ma era facile aspettarselo, a Phoenix e Indianapolis. Nella speranza che trovi a breve la strada per offrire buone prestazioni su ogni tipo di pista, requisito essenziale per una riconferma che ad oggi appare alquanto incerta, l’attesa si concentra ora su Iowa e St. Louis, ovali corti in cui l’aerokit Chevy farà ancora la differenza. I precedenti del team (dominio di Newgarden nel 2016) sono tutti a suo favore.
Chi ha fatto vedere progressi evidenti è invece Spencer Pigot. Il giovane californiano si è infatti dimostrato a più riprese un vero mastino, capace di un passo gara da podio e di sorpassi decisi e senza timori reverenziali. Peccato che nessuna delle sue migliori prestazioni sia stata coronata dal risultato atteso, a causa di guai meccanici ed alcuni errori evitabili (Barber e il motore spento a Indy GP). Se la velocità in gara non è mancata, soprattutto sugli stradali, per poter ambire a risultati grossi Pigot deve però assolutamente migliorare in qualifica, dove lo scarso feeling con l’extra grip garantito dalla mescola morbida lo ha fin ora condannato a uscire mestamente in Q1. Frenato da problemi tecnici nella preparazione per Phoenix, Carpenter è stato velocissimo a Indianapolis, non riuscendo però ad adattare la vettura alle mutabili condizioni della pista. Una buona prova in Texas si è poi malamente conclusa nel big one causato dal contatto tra Kanaan e Hinchcliffe.
Il team Andretti è stato sicuramente il maggior beneficiario dei progressi Honda. In crisi totale nel 2016, la compagine di Michael ha però fatto enormi passi avanti dal punto di vista tecnico, con acquisti importanti in grado di far cambiare marcia alla squadra, soprattutto sui cittadini, riuscendo a presentare almeno una vettura competitiva in quasi tutti gli appuntamenti, cosa non sempre accaduta negli ultimi anni.
Come Newgarden, anche Takuma Sato ha rispettato in pieno le nostre aspettative. Il giapponese ha aperto la stagione con una prova maiuscola a St. Pete, faticando poi tra guasti e qualifiche sotto tono fino a Indy, dove ha centrato con merito quel successo sfuggitogli per un soffio nel 2012. La vittoria ha cambiato la carriera e anche il campionato del giapponese, ritrovatosi improvvisamente in corsa per il titolo a causa dei doppi punti che, ancora una volta, hanno stravolto la classifica falsando in parte l’andamento del campionato. Sato ha comunque approffitato di questa opportunità, facendo seguire al trionfo di Indy un Dual in Detroit da protagonista. Peccato che le vecchie abitudini siano tornate maldestramente in scena in Texas, dove il giapponese ha chiuso con un errore imperdonabile una corsa vissuta sul filo della follia. È questa indole incontrollabile, unita alla incostanza sua e del pur migliorato team Andretti, a escludere a nostro avviso Sato dai contendenti al titolo, nonostante la posizione di classifica estremamente favorevole.
I risultati potrebbero non testimoniarlo, ma il 2017 di Andretti è sicuramente un passo avanti rispetto alle ultime due stagioni. Spesso tra i più veloci nelle libere, tre corse sono state però rovinate da una incredibile serie di problemi tecnici e sfortune, che lo hanno tolto di mezzo nelle prime battute. Nelle altre, a parte il settimo posto di St. Pete e il sesto un po’ fortunoso in Texas, l’americano semplicemente non è stato abbastanza veloce. Grande rammarico soprattutto per Indianapolis, dove la sua vettura per qualche motivo si è dimostrata meno competitiva di quelle dei compagni. Come per Pigot, il principale problema di Andretti rimane però la qualifica. Fino a quando non riuscirà a piazzarsi perlomeno ai margini della Fast Six, sarà difficile ambire a piazzamenti migliori di qualche settimo posto.
La nuvola nera del 2016 non sembra voler abbandonare la vettura di Ryan Hunter-Reay. Il campione 2012 si è dimostrato efficace come sempre, ma dopo la buona partenza di St. Pete il motore rotto a Long Beach (e conseguente podio sfumato) ha aperto una sequanza di corse disastrose fino a Indy Gp, dove è arrivato un bel terzo posto al termine di una corsa d’attacco. Peccato che la fortuna al Brickyard sia finita lì, condannando RHR al ritiro in una Indy500 condotta da protagonista e ampiamente alla sua portata. Un Dual in Detroit opaco, seguito dall’incolpevole incidente in Texas hanno posto qualche interrogativo sulla competitività della Dallara n.28, ma siamo sicuri che Hunter Reay sarà ancora tra i protagonisti nelle piste favorevoli alle particolari caratteristiche del pacchetto Honda.
La seconda stagione è spesso la più difficile per un pilota, ma Alexander Rossi sta mettendo bene a frutto quanto appreso nel 2016, mostrandosi competitivo in buona parte delle corse fin qui svolte. Superati i problemi della prova di apertura, Rossi sembrava lanciato verso il successo a Long Beach, prima di essere tradito dal motore. Disperso nelle difficoltà del team a Phoenix e coinvolto in un evitabile incidente in Texas, l’americano ha comunque portato a casa buoni piazzamenti a Barber, Indy GP e Detroit, dimostrandosi in grado di rivaleggiare con il migliore dei compagni su ogni tipo di terreno. Un po’ di delusione è arrivata invece nella difesa di Indy, dove un ultimo pit stop difficoltoso lo ha separato dal gruppetto di testa. Difficilmente Rossi potrà rientrare nei giochi per il titolo, ma almeno una vittoria da qui a Sonoma è sicuramente alla sua portata e, aggiungiamo, sarebbe ampiamente meritata.