Nome: Juan Pablo Montoya
Data e luogo di nascita: 20 settembre 1975, Bogotà (Colombia)
Nazionalità: Colombiana
Ruolo: Pilota
“I’m an hardcore racer”. È lo stesso Juan Pablo Montoya a trovare le parole più giuste per sintetizzare il suo modo di essere, che ha dettato il percorso della sua carriera. Negli ultimi decenni forse nessun pilota nel panorama internazionale ha infatti rappresentato come il colombiano la voglia di correre, competere e vincere indipendentemente dal campionato o dal tipo di vettura. Che si trattasse di formula 1, champ cars, stock cars, ITC, Daytona Prototype o Late model su sterrato, il colombiano ha sempre corso alla sua maniera: aggressivo, spettacolare, quasi sempre vincente. Il palmares di Montoya è tra i più variegati e prestigiosi tra i piloti in attività, ma forse ancora più dei successi sono il suo straordinario controllo della vettura e i suoi sorpassi spettacolari ad aver lasciato davvero il segno, nel cuore dei tifosi e negli ultimi vent’anni di storia dell’automobilismo.
Juan Pablo Montoya nasce a Bogotà, Colombia, il 20 settembre 1975. Suo padre Pablo, architetto con una grande passione per le corse e trascorsi in varie competizioni amatoriali, trasmette la passione dei motori a tutta la famiglia, tanto che non solo Juan Pablo ma anche il fratello Federico e le sorelle Katalina e Liliana infilano prima o poi il casco per competere in pista col kart, piccole vetture o nel caso di Federico fino alla F.3. A ciò si somma l’influenza dello zio Diego, pilota CanAm e IMSA. Sulle gambe di Pablo, Montoya stringe per la prima volta un volante a 5 anni e da lì il debutto in kart è una naturale conseguenza. Supportato dal padre, che sarà una figura guida in tutta la sua carriera nonostante non pochi conflitti, Juan Pablo comincia a sviluppare il suo stile, facendo subito vedere una velocità innata e una inesauribile voglia di vincere. I successi in campo nazionale e continentale non si fanno attendere e portano alla partecipazione al campionato mondiale junior nel ’90, in cui Juan Pablo fa la conoscenza di un coetaneo brasiliano che incrocierà ancora lungo la sua carriera, Helio Castroneves. Il colombiano arriva fino alla finale, ma la sua bella rimonta è interrotta da un clamoroso incidente che lo vede centrare un avversario fermo in pista e uscire indenne da un gran volo. Dopo un altro anno in kart, nel 1992 i Montoya decidono di passare alle auto, optando per il più famoso corso di guida del continente, la Skip Barber Racing School di Sonoma. Tra gli istruttori c’è anche Vic Elford, leggendario pilota sport, che in Montoya riconosce subito un potenziale da campione del mondo, oltre che il suo miglior allievo di sempre. Tornato in Colombia Juan Pablo partecipa in numerose corse dei vari campionati nazionali, vincendo con regolarità in diversi tipi di auto, da F. Renault a vetture turismo. Nel ’93 stravince infatti il campionato National Swift Championship, corso su Golf GTI, e l’anno successivo torna negli States per partecipare al campionato Barber Saab, in cui si mette spesso in luce, mostrando una velocità quasi ineguagliabile. La barriera linguistica però si fa sentire, impedendo talvolta al colombiano di comprendere a pieno le procedure, in particolare per quanto riguarda le ripartenze, tipiche delle corse USA. Tra prestazioni superbe ed errori pacchiani, Juan Pablo porta a casa due corse ma manca il titolo, che va al connazionale Diego Guzman, con cui si accende una forte rivalità alimentata dai media colombiani. Occasionalmente Montoya si sposta anche al sud, partecipando in svariate corse in Messico, in cui fa della preziosa esperienza alla guida di vetture diversissime, prototipi e Formula N, una sorta di Formula 3 made in Mexico, con cui centra tre vittorie su quattro appuntamenti.
Cresciuto nel mito di Roberto Guerrero e Ayrton Senna, le ambizioni di Juan Pablo sono però ormai tutte spostate sulla scalata alla Formula 1, cosa che obbliga al trasferimento in Europa. Tramite il comune amico Peter Argetsinger, i Montoya entrano in contatto con il team Paul Stewart, che avendo però i sedili di F.3 già occupati da Ralph Firman e Helio Castroneves, propongono a Juan Pablo una stagione di acclimatamento in F. Vauxhall al fianco del veloce Jonny Kane, già vincente in F.Ford e in alcune corse invernali fuori campionato. Entrambi debuttanti nella serie ma alla guida di macchine vincenti, nelle prime corse Kane e Montoya faticano a rispettare le attese in un campionato che inizialmente è comandato da Martin O’Connell. Il nord irlandese, già conoscitore di tutte le piste, è però il primo a rimettere il team in carreggiata, cominciando una lunga rimonta che alla fine gli consegna il titolo. Montoya ci mette un po’ di più a capire la F. Vauxhall e le corse inglesi, ma dopo la prima vittoria al settimo appuntamento di Donington diventa una presenza fissa sul podio, portando a casa tre poles e altre due affermazioni che alla fine gli valgono il terzo posto in campionato, a 21 punti da Kane e 4 da O’Connell.
La crescita messa in mostra dopo Donington convince Juan Pablo a passare in F.3 per il 1996. Il team Paul Stewart decide però di tenere Firman e da contratto promuove Jonny Kane, costringendo il colombiano a trovare collocazione al team Fortec, con cui a inizio ’95 aveva avuto la prima presa di contatto con la vettura. Il team, alle prese con un motore Mitsubishi sorprendentemente efficace a inizio stagione ma via via superato dai migliori Mugen Honda, vive un buon avvio, con Guy Smith che centra la vittoria al primo appuntamento davanti a Montoya, che mette insieme diversi giri veloci e arriva al successo ancora a Donington, dopo soli quattro appuntamenti. Come nel ’95, il campionato di Montoya è però un continuo alternarsi di prodezze ed errori dovuti ad un’aggressività incontrollata. Fino a metà stagione il colombiano è il più credibile inseguitore di Firman, che domina la stagione, ma nonostante una pole, quattro giri veloci e un’altra dominante affermazione sul velocissimo circuito di Thruxton, alla fine del campionato è “solo” quinto, seppur davanti al compagno Smith. A Zandvoort per il Marlboro Masters Montoya centra un quarto posto, mentre maggior rammarico ci sarà a Macao, dove il colombiano dà spettacolo ma è frenato da problemi in partenza in entrambe le frazioni. Anche la singola uscita nell’ITC, al posto dell’infortunato Magnussen, non regala gioie particolari, anche se Montoya si prende la soddisfazione di mettersi dietro in qualifica altre tre Mercedes, oltre a fare la conoscenza di Dario Franchitti, con cui scambia una lunga serie di sportellate al primo giro della seconda frazione. Come a fine ’95, Montoya ritiene comunque di aver mostrato abbastanza in F.3 per poter pianificare il passo successivo, la F.3000 internazionale.
Nonostante i buoni rapporti con David Sears, patron del team Super Nova e suo estimatore fin dai tempi della Barber Saab, Montoya è contattato da Helmut Marko, titolare del team campione in carica con Jorg Muller. La trattativa avviene esclusivamente per via telefonica, con il manager austriaco impressionato dalla velocità mostrata da Montoya in F.3, ma anche incerto sul suo atteggiamento e la sua condotta. Le paure non tardano a rivelarsi fondate, perché alla prima corsa di Silverstone Montoya domina sul bagnato davanti a Zonta, ma vola fuori pista dopo un periodo di pace car. Un errore di deconcentrazione che Marko imputa alla scarsissima forma fisica del colombiano. Un dominio totale sul difficile e sconosciuto cittadino di Pau, risolleva una settimana più tardi le quotazioni di Montoya, la cui stagione sarà però ancora una volta un continuo alternarsi di alti e bassi. A Helsinki un’altra pole stratosferica conduce infatti a una brutta partenza e un incidente dopo pochi giri, seguito dal giro più veloce dopo le riparazioni e un altro incidente, stavolta definitivo. Dopo due corse travagliate a Hockenheim e Pergusa, Montoya torna quindi alla vittoria a Zeltweg dopo una tesissima battaglia con Zonta, che lo incalza fin quasi sotto il traguardo. Con tre corse da disputare i due sono separati da 3,5 punti, ma una bandiera nera a Spa per aver ostacolato il gruppo con l’ala anteriore a penzoloni gli fa perdere ancora terreno dal brasiliano, che vincendo al Mugello si assicura il titolo. Montoya, terzo con uno scarico rotto, chiude comunque la stagione in bellezza con la vittoria nell’ultimo appuntamento di Jerez, che segna anche la fine del rapporto con Marko, prossimo al ritiro dalla categoria, che pur apprezzando la strepitosa velocità naturale di Montoya, non finirà mai di rimproverargli la testardaggine riguardo la sua forma fisica, oltre all’incapacità di gestire la gara e i cali di concentrazione. Il difficile rapporto tra i due nel finale di stagione porta alla situazione paradossale che vede David Sears, titolare della vettura di Zonta, diventare il manager di Montoya, ovvero del rivale per il titolo. L’accordo con Sears è cruciale, perché oltre a offrire un’altra grande occasione per il titolo ’98, apre le porte al ruolo di tester in Williams, conquistato alla grande in una prova comparativa con Minassian, Ayari e Max Wilson.
Per il 1998 Montoya si accasa quindi al team SuperNova, dove recita ovviamente il ruolo di grande favorito ma con un antagonista forse inatteso, Nick Heidfeld, campione della F.3 tedesca, che al debutto con il Junior Team McLaren mette in mostra velocità e maturità da veterano. La stagione verte essenzialmente sul loro duello, con il colombiano che dopo errori e problemi vari mette finalmente a frutto tre pole consecutive centrando la vittoria nel terzo appuntamento di Barcellona, nonostante un incontro troppo ravvicinato con lo stesso Heidfeld, che gli va addosso e si gira in un tentativo di sorpasso. La seconda vittoria stagionale arriva poi subito a Silverstone, al termine di un dominio totale che precede il week end nero di Monaco. In prova Montoya fa un giro buono per la prima fila, ma i due migliori tempi gli vengono cancellati per ostruzionismo verso i rivali. Partito settimo, il colombiano infila uno dopo l’altro i suoi avversari fino al terzo posto, quando uno stop and go per aver tagliato la chicane lo fa retrocedere al sesto posto. Rientrato in pista, recupera quindi nuovamente fino al quarto posto, ma rovina l’ala anteriore contro il cambio di Davies e nel tentativo di difendere gli ultimi punti ostacola ancora il gruppo, finendo per eliminare il compagno di squadra Gareth Rees e tagliare il traguardo sesto, su tre ruote. La vittoria di Heidfeld mantiene molto aperto il campionato, ma Montoya riesce a cancellare il ricordo di Montecarlo centrando il secondo successo consecutivo a Pau, dove doppia tutti anche a causa di un ingorgo a metà gara che rallenta parte del gruppo. Dopo un bel secondo posto a Zeltweg al termine di una grande battaglia con Watt e Minassian, si presenta quindi a Hockenheim con 8 punti di vantaggio su Heidfeld, che però dimezza il distacco vincendo in casa con il colombiano terzo. Lo stesso risultato si ripete a Budapest, dove il tedesco vince dalla pole nonostante una furiosa polemica post qualifiche che vede Montoya accusarlo di ostruzionismo. Il colombiano si rifà con la pole nell’appuntamento successivo a Spa, ma alcuni problemi al cambio lo costringono a lasciare spazio a Rodriguez, che precede lui e Heidfeld sul traguardo. I duellanti arrivano così a Pergusa separati da un solo punto e Montoya si vede togliere la pole per non aver rispettato le bandiere gialle. Al via Heidfeld prende quindi il comando e dopo pochi giri guardando gli specchietti vede il rivale in testacoda. Rilassato, il tedesco ha il campionato in tasca, ma finisce per commettere lo stesso errore e cedere il comando a Montoya. Negli ultimi giri i due si ritrovano così ancora gomito a gomito quando un estremo tentativo di Heidfeld all’ultima chicane si risolve in un contatto ruota ruota che spedisce la Lola West in testacoda. I due riescono a proseguire chiudendo nell’ordine, con Montoya che vincendo si presenta all’ultimo appuntamento del Nurburgring con tre punti di vantaggio. Quello che dovrebbe essere un duello da urlo è però rovinato dalla penalità per benzina irregolare comminata al team West. Infrazione che pur non regalando particolari vantaggi non può non essere sanzionata dalla federazione. In una gara complicata dalla pioggia nell’ultima parte, Heidfeld rimonta dal fondo fino al nono posto, mentre Montoya chiude comodamente sul gradino più basso del podio per conquistare il primo importante titolo della carriera.
Il colombiano, presenza fissa nei test Williams e ormai veloce quanto o più dei titolari, si aspetterebbe la promozione diretta in Formula 1, ma Frank Williams e Patrick Head hanno altre idee. Ingaggiato Zanardi, i due giudicano Montoya ancora troppo immaturo, dentro ma soprattutto fuori dalla pista, per reggere lo stress e l’attenzione mediatica tipica di un impegno nella massima serie. Decidono quindi di ingaggiare Ralf Schumacher, impedendo anche alla Jordan di portare al debutto il colombiano. Facendo valere il contratto firmato l’anno precedente, Williams decide quindi di far proseguire la maturazione del suo pilota in CART. A Barcellona, durante il primo test di Zanardi con il team infatti, Morris Nunn e Chip Ganassi vedono Montoya in azione, rimanendo impressionati dal controllo di macchina del neo campione di F.3000. Si raggiunge quindi l’accordo per un contratto triennale, annunciato durante l’ultimo fine settimana CART a Fontana.
Montoya si ritrova quindi nel 1999 a guidare la vettura campione in carica, con tutte le aspettative del caso, alimentate da dei test invernali positivi. Per il primo anno in realtà l’obiettivo è vincere qualche gara e conquistare il titolo di rookie of the year, ma dopo le prime corse è evidente come le ambizioni possano essere molto maggiori. Per nulla intimidito dalla velocità, Montoya è protagonista di un debutto complicato a Homestead, dove porta a casa un decimo posto dopo aver dato spettacolo per tutta la gara, alle prese con una vettura fortemente sovrasterzante. Già a Motegi l’ambiente CART prende però coscienza dei due lati del pilota Montoya. In prova il colombiano è protagonista di un diverbio con Michael Andretti, che sfocia presto in incidente. L’americano, con il serbatoio pieno, in curva 3 chiude la porta (di proposito o meno) in faccia a Montoya, alle prese con una simulazione di qualifica. I due percorrono così il rettilineo successivo affiancati, con il colombiano che per tutta risposta stringe via via contro il muro il rivale all’approssimarsi di curva 1. Quando l’americano tenta finalmente di impostare la curva il contatto è inevitabile e le due vetture finiscono violentemente contro le barriere. Scesi dai rispettivi rottami i due vanno vicini allo scontro, ma ancora peggio va tra i rispettivi titolari, con Carl Haas che infuriato lancia il suo caratteristico sigaro contro Chip Ganassi. Strigliato dai commissari e dalla squadra, in gara Montoya dà invece il meglio, rimontando da centro gruppo per poi tentare l’assalto alla vetta con una spettacolare manovra all’esterno su Adrian Fernandez, interrotta solo da una bandiera gialla. Un errore di calcolo del muretto gli costa però ogni speranza di lottare per la vittoria, facendolo chiudere 13°.
Che Mo Nunn fosse un grande ingegnere era cosa nota a tutti, che fosse anche profetico lo si è scoperto nel week end successivo, quando Montoya centra il suo primo successo a Long Beach, esattamente come previsto in inverno dall’ingegnere inglese. Il colombiano parte infatti quarto e dopo essersi sbarazzato di Herta e Franchitti ha solo un ostacolo davanti a se, Kanaan, che però scivola sull’asfalto sgretolato e finisce contro le gomme, regalando il comando al colombiano. Nazareth, tra gli ovali corti più difficili e reso ancora più critico dalla configurazione aerodinamica a basso carico imposta nel ’99, è il successivo teatro per le prodezze di Montoya. Il colombiano da infatti spettacolo, centrando la pole e lottando a lungo con Castroneves, che però è frenato da problemi ai box. Una volta liberatosi del brasiliano per Montoya la seconda vittoria consecutiva arriva in scioltezza, così come la terza due settimane più tardi a Rio, dove prende abilmente il comando alla prima curva con una gran staccata su Christian Fittipaldi, per poi controllare Franchitti per tutta la gara. Un’altra pole a St. Louis è rovinata da un errore strategico, ma ancora una volta Montoya vale il prezzo del biglietto, guidando perennemente in sovrasterzo all’uscita di curva 2 e mettendo a segno diversi sorpassi da brividi. Il copione si ripete a Milwaukee, dove il colombiano comanda a lungo la corsa davanti al compagno Vasser, ma entrambi sono costretti a una sosta supplementare per problemi di consumo, terminando ai margini della top ten. La strategia è ancora coinvolta a Portland, dove Juan parte dalla pole, sopravvive a un testacoda in ripartenza e precede Franchitti sul traguardo, non potendo però lottare con De Ferran, che vince nonostante una sosta in più negli ultimi giri. I due si scambiano poi le posizioni a Cleveland, dove Montoya parte ancora in pole, supera un periodo di difficoltà nella transizione tra bagnato e asciutto e dopo un sorpasso di forza sul brasiliano si invola verso il quarto successo stagionale.
Dopo 9 corse il colombiano guida quindi la classifica con 25 punti di vantaggio su De Ferran, ma nelle corse successive tutto rischia di andare in fumo. Dopo un doppio sorpasso spettacolare ai danni di Michael Andretti, Juan Pablo domina a Road America ma a metà gara accusa problemi al cambio, che lo costringono alla resa a pochi giri dalla fine dopo una lunga resistenza su Fittipaldi. Peggio va a Toronto, dove il colombiano si qualifica male, subisce una dubbia penalità per infrazione in pit lane e si ritira poi in un contatto evitabile con Jourdain. Un bel secondo posto in volata nella sua prima 500 miglia a Michigan rimette un po’ a posto le cose, ma l’ennesimo errore strategico costa caro a Detroit. Montoya parte infatti dalla pole e domina, ma un’incomprensione via radio lo lascia in pista durante una bandiera gialla, sfruttata dagli avversari per rifornire. Risultato: Montoya è costretto a fermarsi in bandiera verde, finendo in mezzo al gruppo, dove si tocca con Moreno e poi è centrato in regime di pace car da Castroneves, tradito da un’altra incomprensione radio nella procedura di ripartenza. Con le vittorie di Toronto e Detroit, Franchitti passa così a condurre il campionato con cinque punti sul colombiano, che però rimette a posto le cose nelle corse successive. A Mid Ohio una qualifica mediocre lo vede infatti superare gli avversari al primo pit stop e recuperare in pista ben 16” al duo Tracy-Franchitti. Se lo scozzese è però costretto ai box da una foratura, Tracy non può arrestare la furia di Montoya, che gli strappa il primato con una formidabile staccata all’esterno, prendendo poi il largo dopo il secondo pit stop. Gli sfidanti si ritrovano ai ferri corti anche nel nuovo ovale di Chicago, dove un lungo botta e risposta con Franchitti vede prevalere il colombiano. Lo scozzese, bloccato negli ultimi giri dietro alcuni doppiati, esce malamente sconfitto anche dalla battaglia successiva a Vancouver. In un circuito cittadino reso ancora più infido dalla pioggia, il pilota del team Green rimonta infatti fino a raggiungere il colombiano, partito in pole, ma un attacco sciagurato lo spedisce contro il muro mentre Montoya, indenne, conquista altri 22 punti fondamentali.
Dopo Laguna Seca, dove Franchitti si ritira per incidente e Montoya chiude solo ottavo un fine settimana reso tragico dalla scomparsa di Gonzalo Rodriguez, amico e avversario in F.3000, con tre gare da disputare e 28 punti di vantaggio il campionato sembrerebbe chiuso, ma nelle due corse successive succede di tutto. A Houston Montoya domina, mentre Franchitti è frenato da problemi di gomme. Prima delle soste però Castroneves va a sbattere in una stretta curva a sinistra e Montoya, non avvisato dell’ostruzione via radio, lo centra in pieno, buttando al vento una vittoria da KO. Franchitti invece rimonta e alla fine chiude secondo dietro il compagno Tracy. Tre settimane più tardi a Surfers Paradise lo scozzese non ha bisogno di aiuti e domina tutto il fine settimana mentre Montoya, in difficoltà in prova ma molto aggressivo in gara, dopo aver brevemente messo pressione al rivale perde posizioni in una sosta e lottando con Fernandez sbaglia completamente una frenata finendo nelle gomme. Un errore banale ma che permette a Franchitti, all’inseguimento per tutta la stagione, di presentarsi all’ultimo appuntamento di Fontana con 9 punti di vantaggio. Quello decisivo è però un duello a distanza, perché lo scozzese è subito spedito in fondo al gruppo da problemi durante le soste, quando i meccanici lo rimandano in pista con una ruota mal fissata che lo costringe a rifermarsi immediatamente, perdendo due giri. Montoya controlla quindi la situazione e quando negli ultimi giri il bluff del team Green non paga e Franchitti è costretto ad uno splash and go, al colombiano basta un quarto posto per laurearsi campione, chiudendo il campionato con gli stessi punti del rivale, ma 4 vittorie in più (7-3). Il campionato sportivamente parlando si chiude forse nel modo più giusto, con la vittoria del pilota in assoluto più veloce, ma dopo la bandiera a scacchi ci sarà poco da festeggiare, quando i piloti vengono informati della scomparsa di Greg Moore, protagonista di un terribile incidente in curva 2 al nono giro.
Per il 2000 Ganassi decide a sorpresa di abbandonare il pacchetto tecnico vincente negli ultimi quattro anni, accettando la cospicua offerta Toyota, ormai competitiva con Honda e Ford, e adottando il telaio Lola, molto efficace nel ’99 nelle mani di Castroneves e subito approvato da Montoya in un test a fine stagione. La prima corsa di Homestead vede il campione in carica riprendere da dove aveva lasciato, assumendo subito il comando al via con sorpasso all’esterno su De Ferran e cavalcata solitaria, fino alla rottura del motore. Dopo un week end di Long Beach incolore, che vede Montoya sempre dietro Vasser e con vari problemi tecnici in gara, a Rio il colombiano pressa a lungo il rookie Tagliani per la vetta, ma ancora una volta è messo fuori gioco da problemi tecnici. Anche Motegi vede un sostanziale dominio di entrambe le vetture del team Ganassi, ma se Vasser è attardato dai soliti problemi, Montoya è costretto a una sosta supplementare quando un cavo del turbo si disconnette, non facendolo andare oltre il settimo posto finale. Il colombiano domina anche nelle prime battute dell’appuntamento successivo a Nazareth, ma prima una sosta lenta e poi un incidente nel gruppo lo obbligano a una rimonta dal fondo, che lo vede sfruttare magistralmente ogni ripartenza per superare due/tre vetture per volta, fino al quarto posto finale. Il giorno dopo il team Ganassi è poi impegnato alla 500 miglia di Indianapolis, evento di cui Montoya sa poco ed eviterebbe volentieri per concentrarsi sui problemi del pacchetto Lola Toyota. La decisione di Chip Ganassi di superare il muro CART-IRL è però di quelle storiche, dando vita all’atteso confronto tra i campioni delle due categorie. Montoya, velocissimo per tutto il mese di prove, manca la pole, che va al campione IRL Greg Ray. In gara, dopo una prima intromissione di Robby Gordon, i due si danno poi battaglia, superandosi più volte prima che Ray finisca in sottosterzo contro il muro della curva 2. Una volta contenuto un breve assalto di Buddy Lazier, il resto della corsa fila via senza intoppi per Montoya, che trionfa superbamente supportato dal team di Chip Ganassi, che in victory lane definisce il colombiano “il miglior pilota del mondo al momento”.
L’ebbrezza da vittoria di Indy prosegue la domenica successiva a Milwaukee, dove Montoya mette in scena un dominio simile, piegando Michael Andretti per conquistare la prima storica vittoria della Toyota in CART. Detroit potrebbe poi regalare il tris, ma problemi al cambio pongono fine a una corsa dominata. La corsa successiva a Portland, primo stradale permanente della stagione, mette però in mostra i limiti della Lola, con Montoya che si barcamena in zona top ten prima di abbandonare per problemi meccanici. Una bella rimonta a Cleveland dopo il solito caos della prima curva non va invece oltre il sesto posto finale per un errore strategico. Un contatto con Franchitti al primo giro pone poi subito fine alla corsa di Toronto, cui segue la Michigan 500, dove il colombiano si mantiene a lungo in zona vittoria e negli ultimi giri si fa largo nel gruppo prendendo margine. Non riesce però a liberarsi di Michael Andretti, che con una Lola analoga gli contende il primato fino al traguardo, dove è il doppiato Marques a decidere la contesa concedendo la scia a Montoya, che conquista così la seconda 500 miglia in carriera. Il duello tra i due si ripropone una settimana dopo a Chicago, ma ancora una volta il colombiano deve abbandonare per problemi tecnici. Dopo un fine settimana difficile a Mid Ohio, Road America ripropone il copione del ’99: in difficoltà nelle prove, Montoya prende prepotentemente il comando dopo la prima sosta e va in fuga, prima che il cambio lo costringa mestamente al ritiro. Un possibile podio a Vancouver sfuma in circostanze simili, portando al fine settimana di Laguna Seca, dove il colombiano è il solo a tenere a vista le Penske, dovendo però accontentarsi del sesto posto dopo un’ultima sosta lenta. A St. Louis è invece lui per una volta ad approfittare dei problemi altrui, nello specifico di Andretti, per raccogliere il comando nelle ultime fasi e centrare il terzo successo stagionale, che sommato al secondo posto di Houston dietro un Vasser in gran forma, lasciano aperto qualche spiraglio in chiave campionato.
Le speranze cessano però subito nel penultimo appuntamento di Surfers Paradise, dove il colombiano centra una gran pole position davanti a De Ferran, con il quale si aggancia però maldestramente alla prima curva. Il colombiano affronta così l’ultima corsa di Fontana senza particolari ambizioni se non centrare l’ipotetica triple crown delle 500 miglia, ma dopo essere rimasto a lungo in testa il motore cede per l’ennesima volta con il traguardo ormai in vista. Il ritiro di Fontana determina così il nono posto finale in classifica, assolutamente non rappresentativo della velocità mostrata dal colombiano per buona parte della stagione. La corsa californiana chiude anche la parentesi CART nella carriera di Montoya: nell’estate 2000 il colombiano riceve infatti una breve telefonata da Frank Williams, spesso entusiasta spettatore dei successi americani del suo pupillo, per sondare la possibilità di un ruolo da titolare nel 2001 al posto di Jenson Button. Montoya ha pochi dubbi e in breve viene annunciato il suo passaggio per la stagione successiva alla Williams, nonostante il contratto di tre anni con Chip Ganassi.
Nell’autunno 2000 il colombiano torna quindi alla guida di una F1, trovando una vettura ben più avanzata di quella guidata nel ’98. Un enorme passo avanti arriva poi con le gomme Michelin, che nel 2001 lancia la sfida alla Bridgestone, monofornitore nelle due stagioni precedenti dopo il ritiro della Goodyear. Dopo dei test invernali discreti, Montoya si presenta però a Melbourne ancora non troppo convinto del metodo di lavoro impostato col team. La prima corsa lo vede così qualificarsi in mezzo al gruppo, a un secondo dal compagno Ralf Schumacher. Dopo aver perso molto tempo per via di un’escursione alla prima curva e un contatto con Eddie Irvine, il colombiano rimonta stabilmente, arrivando fino al terzo posto durante la fase dei pit stop, prima che la rottura del motore lo costringa al ritiro. Nel secondo appuntamento in Malesia il sesto posto in qualifica è vanificato da un problema in griglia che lo obbliga a partire dal fondo, prima di insabbiarsi preda del nubifragio. In Brasile comincia poi finalmente a vedersi il vero Montoya: quarto in griglia, con uno scatto fulmineo il colombiano si porta subito alle spalle di Michael Schumacher, che poi infila magistralmente con una staccata a ruote fumanti, per prendere per la prima volta il comando di un gran premio. Con una vettura più pesante per via della singola sosta preventivata, Montoya tiene a bada un aggressivo Schumacher nelle prime fasi e appare ampiamente in controllo della corsa, quando un errore in frenata del doppiato Verstappen lo mette fuori gara. Imola segna un piccolo passo indietro, con Ralf Schumacher che trionfa mentre Montoya lotta ai margini della zona punti con Trulli, che riesce a superare con un fantastico sorpasso all’esterno, prima che la vettura lo lasci ancora una volta a piedi. A Barcellona una grande partenza riscatta una brutta qualifica, dando il via a una gara molto consistente, che grazie anche ad alcuni ritiri vede il colombiano centrare un secondo posto alle spalle di Michael Schumacher, principale beneficiario del ritiro di Mika Hakkinen all’ultimo giro. Il duello con il tedesco si rinnova poi in Austria, dove Montoya batte per la prima volta Ralf in qualifica, prendendo subito il comando della gara. Le difficoltà delle gomme Michelin lasciano però presto il colombiano in balìa delle Ferrari, dalle quali si difende in tutti i modi, fino a finire nella sabbia nel tentativo di rispondere a un attacco all’esterno di Schumacher, a sua volta costretto fuori pista. Tornato in gara ai limiti della zona punti, Montoya è poi costretto ad abbandonare da altri problemi tecnici.
Dichiarazioni bellicose non trovano poi riscontro negli appuntamenti successivi di Monaco e Montreal, dove il colombiano si qualifica male ed è presto autore di due errori evitabili nei primi giri, mentre Ralf Schumacher porta a casa la vittoria in Canada. Il successivo Gp d’Europa segna finalmente un’inversione di tendenza. Montoya è ancora battuto in qualifica da Ralf, ma in gara porta a termine una prova consistente, conquistando un altro secondo posto, mentre un’altra buona gara in Francia è chiusa in anticipo per i soliti problemi tecnici. A Silverstone il colombiano è quindi autore di una bella partenza, portandosi al secondo posto dopo un bel sorpasso su Schumacher, per poi concludere buon 4° dopo aver battagliato con il compagno di squadra e Barrichello. Proprio in casa di Ralf, a Hockenheim, Montoya centra poi la prima pole position in F1, dominando la corsa fino alla prima sosta, quando un problema nel rifornimento lo relega al quarto posto, prima che il ritiro sopraggiunga per rottura del motore. Dopo un difficile fine settimana in Ungheria, concluso fuori dai punti, a Spa Montoya da il meglio di sé, centrando un gran pole position sulla pista che va asciugandosi. Il motore spento in griglia lo costringe però a prendere il via dal fondo, da cui parte una bella rimonta, presto interrotta dal solito problema al motore. Arriva quindi Monza, funestata dai fatti dell’11 settembre e dall’incidente di Alex Zanardi. Montoya conquista la terza pole stagionale e dopo aver ceduto inizialmente il comando a Barrichello, sfrutta le difficoltà ai box del brasiliano per tornare davanti e involarsi verso il primo successo in carriera. Il momento di forma prosegue poi a Indy, dove il colombiano rileva il comando da Schumacher con uno spettacolare sorpasso alla prima curva, prima di dire addio ai sogni di gloria per l’ennesima rottura del motore. L’ultimo appuntamento stagionale lo vede infine conquistare la prima fila a Suzuka, pista mai vista prima, e piazzarsi buon secondo dietro Michael Schumacher. Il colombiano chiude quindi il campionato al sesto posto con 31 punti (18 meno di Ralf Schumacher), bottino deludente considerate le potenziali vittorie di San Paolo, Hockenheim e Indianapolis.
Il sorpasso di Interlagos e lo scoppiettante finale di stagione elevano Montoya al ruolo di principale sfidante di Schumacher per la stagione 2002 e a Melbourne il mondiale parte bene. Sopravvissuto al disastro della prima curva, nonostante la Ferrari sia imprendibile Montoya approfitta alla grande di una ripartenza per soffiare il comando a Schumacher con una bella staccata all’esterno. Il tedesco non fa però troppa opposizione, consapevole di avere un ritmo nettamente superiore. I due danno vita a un bel duello ma alla fine il campione in carica torna davanti con un abile incrocio di traiettorie, con Montoya che porta a casa il secondo posto controllando Raikkonen. In Malesia poi la sfida si ripropone, con i duellanti in prima fila. Il tedesco dalla pole ha un avvio stentato e Montoya riesce ad affiancare all’esterno la Ferrari, che frenando sul cordolo della prima curva va in sottosterzo e carambola sulla Williams. In quello che sembrerebbe un normale contatto di gara, il tedesco perde l’ala anteriore e Montoya rimane attardato nel gruppo, ma incredibilmente i commissari puniscono il colombiano, la cui rimonta è interrotta da un drive through. Scontata la penalità Montoya riesce poi comunque a raggiungere il secondo posto dietro il compagno Ralf Schumacher. Interlagos segna la terza tappa del duello, ma questa volta i ruoli sono invertiti. Montoya parte a rilento dalla pole e nonostante una strenua difesa deve accodarsi a Schumacher. Il tentativo di riprendersi la posizione alla staccata successiva finisce poi con una chiusura secca del tedesco e l’ala anteriore della Williams distrutta. Mentre Schumacher si invola verso il successo, contrastato poco efficacemente da Ralf, Montoya rimonta, segna il giro veloce ma non va oltre il quinto posto. L’appuntamento seguente di Imola risveglia poi l’ambiente dalla parvenza di equilibrio tra i top teams. La Ferrari domina infatti in maniera imbarazzante e Montoya porta a casa un discreto quarto posto, ben staccato da Ralf. Un po’ meglio va a Barcellona dove il colombiano, lontanissimo dal campione del mondo, chiude secondo approfittando dei problemi di Barrichello e dell’errore del compagno di squadra. Dopo un terzo posto dietro le Ferrari al termine di un lungo duello con Ralf in Austria, a Montecarlo Montoya stacca tutti di 4 decimi, centrando una pole position strepitosa che apre una sequenza di 5 partenze al palo consecutive. La gara non va altrettanto bene, a causa di un avvio lento che lo vede cedere il comando a Coulthard, prima che il motore lo abbandoni a metà distanza. Non va meglio in Canada, dove Montoya deve prima cedere il comando a un Barrichello più leggero e dopo la prima sosta farsi largo nel gruppo con uno spettacolare sorpasso a tre su Raikkonen e Ralf. Nelle ultime fasi il colombiano si lancia poi all’inseguimento della Ferrari di testa, prima che il motore ceda ancora una volta. È invece un incidente con Coulthard in un estremo tentativo di difesa a rovinare una GP d’Europa poco entusiasmante.
A Silverstone si rivede però il miglior Montoya, capace di strappare una pole strepitosa all’ultimo secondo e lottare ruota a ruota con Schumacher nelle prime fasi umide, prima che la pioggia si faccia più intensa, a tutto vantaggio della Ferrari e delle più efficaci Bridgestone. Nel finale il colombiano ingaggia poi un duello infuocato con la seconda Rossa di Barrichello, dovendo però infine accontentarsi del terzo posto. Un copione simile, stavolta sull’asciutto, si ripete poi a Magny-Cours, dove nei primi giri si assiste a un entusiasmante triello Montoya-Schumacher-Raikkonen. Il colombiano rimane in testa per metà gara, ritrovandosi però dietro a Schumacher e alle McLaren dopo l’ultima sosta, dovendosi quindi accontentare del quarto posto. Una brutta partenza a Hockenheim lo vede invece perdere il contatto con i primi dietro a Kimi Raikkonen, con il quale ingaggia uno spettacolare duello per la quarta posizione che vede i due battagliare per metà circuito, prima che la Williams abbia finalmente la meglio. Approfittando dei problemi di Barrichello e Ralf, il colombiano chiude comunque al secondo posto, per poi giungere solo 11° al termine di un difficile fine settimana in Ungheria. Va meglio a Spa, dove Montoya termina terzo controllando Coulthard nel finale, mentre la settima pole position stagionale (tante quante Michael Schumacher) non porta buoni frutti a Monza, dove il colombiano prima è ostacolato dal compagno di squadra e poi deve cedere il passo alle Ferrari, prima di ritirarsi per problemi alle sospensioni. La crescente rivalità tra i piloti Williams esplode poi a Indianapolis, dove Montoya parte male e al secondo giro stacca tardissimo nel tentativo di superare Ralf all’esterno della prima curva. Lo stesso fa però il tedesco, che però perde il posteriore innescando una collisione che manda su tutte le furie Patrick Head. Ralf è costretto al ritiro mentre Montoya recupera fino al quarto posto. La stagione si chiude quindi con un’altra quarta piazza a Suzuka al termine di un week end mediocre, risultato sufficiente a garantire al colombiano il terzo posto in classifica, seppur staccato di quasi 100 punti da Michael Schumacher e 27 da Barrichello.
A livello personale il 2002 rimane comunque un anno memorabile per Montoya, che a fine ottobre sposa Connie Freydell, studentessa colombiana conosciuta negli Stati Uniti, che negli anni successivi gli darà tre figli: Sebastian (2003), Paulina (2007) e Manuela (2010).
Il 2003 non si apre sotto i migliori auspici per la Williams, che nei test fatica a trovare il miglior bilanciamento per la sua FW25. È anche la stagione del nuovo punteggio, del parco chiuso e delle qualifiche con giro singolo e pieno di benzina, un format che molti credono si adatti a meraviglia a Montoya, ma che invece il colombiano non riuscirà sempre a sfruttare a pieno, amando maggiormente l’approccio progressivo permesso dai 12 giri cronometrati del precedente sistema. Nonostante tutto in Australia Montoya rischia di vincere. Partito terzo dietro le Ferrari, inizialmente il colombiano tiene il passo, sfruttando poi la confusione creata dall’incidente di Barrichello per prendere il comando e guidare la corsa più a lungo di tutti. Raikkonen e Schumacher però sono più veloci e riescono a sopravanzarlo durante le soste, ma quando il primo incorre in una penalità e il secondo è costretto a una sosta per rimuovere una paratia a penzoloni, Montoya riprende il comando e veleggia verso la vittoria quando negli ultimi giri finisce stupidamente in testacoda alla prima curva, lasciando la posizione a Coulthard che incredulo va a vincere, mentre il colombiano chiude secondo incalzato da Raikkonen e Schumacher. Segue poi una sequenza di corse sfortunate: in Malesia perde 3 giri dopo essere stato tamponato da Pizzonia in partenza; in Brasile sul bagnato da spettacolo nelle prime fasi ma è tra i tanti che vanno in aquaplaning nella Curva do Sol; a Imola è inizialmente quarto ma chiude solo ottavo a causa di problemi durante le soste. Arriva quindi il gran premio di Spagna, in cui la Williams appare inguidabile nelle prove ma che frutta comunque a Montoya un quinto posto, dopo alcuni bei sorpassi su Button e Ralf Schumacher. Le cose cominciano a cambiare però nel’appuntamento successivo di Zeltweg, che segna finalmente il ritorno alla competitività. Nelle prime fasi il colombiano incalza infatti Schumacher e passa a condurre quando il tedesco è frenato da un principio d’incendio durante la prima sosta. Quando poi si prospetta un bel duello per la vetta, il motore BMW esplode, costando un altro ritiro. A Montecarlo la Williams si dimostra però ancora in gran forma, centrando la pole con Ralf Schumacher e il terzo posto in griglia con Montoya. Al via il colombiano brucia Raikkonen e mette sotto pressione il compagno, che semina durante le soste per prendere il comando. Una volta in testa poi deve solo gestire il vantaggio sul finlandese, non senza apprensione quando negli ultimi giri la squadra si accorge del bassissimo livello dell’olio, che però basta per vedere il traguardo. Al successo di Monaco segue il terzo posto di Montreal, dove Montoya parte secondo dietro Ralf ma si complica la vita andando in testacoda al secondo giro. La rimonta nel finale si risolve poi in un trenino che vede Michael Schumacher precedere Ralf, Montoya e Alonso, senza che nessuno riesca anche solo a tentare una manovra di sorpasso.
Al Nurburgring, dopo una brutta partenza e un errata scelta delle gomme, Montoya recupera mettendo a segno uno spettacolare sorpasso all’esterno su Schumacher, che insieme al ritiro di Raikkonen gli vale il secondo posto dietro Ralf. Il medesimo risultato nel successivo GP di Francia segna poi un episodio cruciale nel rapporto tra il colombiano e la squadra. Montoya parte infatti secondo al fianco di Ralf e dopo aver subito nel primo stint, recupera prepotentemente sul compagno dopo il primo pit stop, prendendosi non pochi rischi nel traffico. Non riuscendo a impostare una manovra in pista, decide allora di fermarsi un giro prima di quanto concordato, così da avere due giri di vantaggio su Ralf a gomme fresche. Il tedesco però intuisce tutto e si ferma a sua volta un giro prima del previsto, riuscendo a rientrare in pista appena davanti a Montoya per centrare il secondo successo consecutivo. Il colombiano si convince che sia stata la squadra a istruire Ralf sulla tattica da adottare, accusando privatamente la Williams di favoritismo e provocando una gran discussione che di fatto segna la fine del rapporto con la squadra inglese. Poco dopo infatti Montoya si accorda con Ron Dennis per passare alla McLaren a partire dal 2005, ovvero alla scadenza del contratto con la Williams. Nonostante ciò le corse successive vanno bene, lanciando ancora di più Montoya in chiave titolo. A Silverstone il colombiano parte settimo e all’uscita della pace car perde ulteriori posizioni nell’aspettare il completamento della sosta di Ralf Schumacher. Alla ripartenza è però abile a seguire Barrichello, che con una Ferrari in gran forma mette su una rimonta spettacolare, aprendo la strada anche al colombiano. I due inanellano una lunga serie di sorpassi, ma poi Montoya perde il contatto scivolando sull’olio lasciato da Pizzonia. Lo stesso errore commesso da Kimi Raikkonen poco più tardi gli consegna però il secondo posto finale. A Hockenheim arriva finalmente la prima pole della stagione, che conduce a una facile vittoria quando Ralf, Barrichello e Raikkonen sono eliminati in un incidente alla prima curva. Segue quindi un deludente terzo posto in Ungheria. Dopo una partenza difficile sul lato sporco della pista, Montoya come gli altri rimane intruppato dietro la Jaguar di Webber, che permette ad Alonso di prendere il largo e involarsi verso la prima vittoria in carriera. Altro tempo perso in alcune battaglie con Schumacher e Trulli gli impediscono poi di lottare con Raikkonen per il secondo posto, ma è un suo errore a mettere a repentaglio il terzo gradino del podio, quando un solitario testacoda permette a Ralf di mettergli pressione fino alla bandiera a scacchi.
La lunga sequenza di risultati positivi permette comunque a Montoya di presentarsi al terzultimo appuntamento di Monza con un solo punto da recuperare su Michael Schumacher, ancora al vertice della classifica nonostante alcune corse difficili. Prima dell’appuntamento brianzolo però la Ferrari riesce a ottenere che le dimensioni degli pneumatici siano verificate sia prima che dopo la corsa, obbligando la Michelin ad alterare una costruzione giudicata regolare dalla FIA nelle due stagioni precedenti. Con ciò il divario tra Williams e Ferrari di fatto si azzera nelle ultime tre corse e a Monza Montoya e Schumacher danno vita a un duello epico. Un piccolo errore alla variante Ascari costa al colombiano la pole, svantaggio che Montoya tenta di compensare al primo giro attaccando all’esterno il tedesco alla Roggia, senza però riuscire a completare la manovra. Inizia quindi un elastico che vede Schumacher prendere il largo nei primi giri e Montoya avvicinarsi pericolosamente prima del secondo turno di soste, dove il sorpasso non riesce. Il colombiano continua poi a mettere pressione al rivale, ma nel finale l’interferenza di Frentzen e di una Jordan apre il divario tra i due, ponendo di fatto fine alla contesa. Montoya si presenta quindi a Indy con tre punti da recuperare. Partire dal lato sporco della pista lo obbliga subito a una rimonta di cui fa subito le spese Barrichello, che nel tentativo di resistere a un attacco all’esterno in curva 1 costringe Montoya quasi oltre il cordolo, portando a un contatto che manda in testacoda la Ferrari. Con la pioggia che fa capolino sullo Speedway il colombiano risale quindi in zona podio, fino a quando la direzione gara non decide di punirlo per il contatto con Barrichello. La penalità arriva però nel momento in cui la Williams decide di effettuare il cambio gomme, cosa che costringe Montoya a effettuare il drive through, fare un altro giro con le slick sul bagnato e fermarsi per montare le gomme da pioggia. Tutta la procedura costa al colombiano un giro, che unito ad altri inconvenienti lo fa terminare al sesto posto. Il risultato, sommato alla contemporanea vittoria di Schumacher, lo estromette dalla lotta per il titolo. Senza più velleità di successo finale, Montoya conquista poi la prima fila in Giappone proprio al fianco di Barrichello, che supera abilmente al primo giro in condizioni di umido. Sembrerebbe prospettarsi la terza vittoria stagionale, ma in realtà la sua gara dura pochi minuti a causa di un problema al cambio che lo mette presto fuori gioco. Montoya chiude quindi il campionato al terzo posto, a undici punti da Schumacher e nove da Raikkonen.
La bella battaglia a 3 dell’ultima stagione fa sperare in un campionato molto aperto per il 2004, con la Williams che si presenta ai nastri di partenza con una vettura innovativa, caratterizzata dal cosidetto muso a “tricheco”. Purtroppo le speranze vengono presto disattese al primo GP in Australia, dove le Ferrari fanno piazza pulita dei rivali. In qualifica Montoya riesce a piazzare la Williams al terzo posto, ma dopo una breve escursione alla prima curva e alcuni sorpassi grintosi riesce a portare a casa solo un sesto posto alle spalle di Ralf Schumacher, superato al secondo giro con una rischiosissima staccata alla curva 3, che però gli torna davanti durante i pit stops. Va meglio in Malesia, dove Montoya parte in seconda fila, segna il giro più veloce e come in un remake di Monza 2003 mette pressione a Schumacher per buona parte della gara, prima di perdere tempo prezioso dietro alcuni doppiati. In Bahrein il colombiano va poi vicinissimo alla pole, ma sia lui che il compagno perdono tempo prezioso nell’ultimo settore, lasciando la prima fila alle Ferrari, dominatrici il giorno seguente. Per Montoya si prospetta un comunque positivo terzo posto, ma la sua gara termina a pochi giri dal traguardo per problemi al cambio. Il podio arriva invece a Imola al termine di una corsa solitaria che offre tutte le sue emozioni al primo giro. Partito in seconda fila, Montoya viene chiuso brutalmente da Schumacher all’ingresso della Villeneuve, per poi essere accompagnato sull’erba in un ambizioso tentativo all’esterno al tornante della Tosa. In conferenza stampa il colombiano non manca di rimarcare l’episodio e quando il tedesco dice di non aver visto la Williams al suo fianco, Montoya lo fulmina con un “devi essere stupido o cieco per non avermi visto ma…sono le corse” che scatena l’ilarità della sala stampa. Il duello tra i due potrebbe proseguire a Barcellona, dove Schumacher parte in pole davanti al colombiano, che però è autore di una brutta partenza, prima di ritirarsi per problemi ai freni.
Le scintille proseguono invece a Montecarlo. Montoya parte solo nono ma è autore di un buon avvio, che lo vede superare abilmente Barrichello alla St. Devote alla ripartenza dopo l’incidente di Coulthard e Fisichella. Rientrato in pista dopo il primo pit stop, il colombiano si ritrova però dietro alla Jordan di Heidfeld, che lo rallenta per diversi giri prima che il pilota della Williams trovi il varco giusto al Mirabeau. Questo e una diversa strategia rispetto al leader Schumacher fanno finire Montoya indietro di un giro, quando la pace car torna in pista per l’incidente di Alonso. Già troppo vicini in svariate occasioni, i due finiscono per entrare in contatto sotto il tunnel, quando il tedesco decide di scaldare i freni inchiodando in mezzo alla curva e in piena traiettoria. La Ferrari carambola contro il muro danneggiando irrimediabilmente le sospensioni mentre Montoya riesce a proseguire chiudendo al quarto posto, primo dei doppiati. A 12 mesi dalla doppieta del 2003, il Nurburgring non porta poi bene alla Williams, che vede i suoi piloti entrare in contatto alla prima curva nella confusione del gruppo. Ralf si ritira mentre Montoya riesce a proseguire per concludere ottavo. Le vetture inglesi ritornano poi competitive nell’appuntamento successivo a Montreal, dove Ralf Schumacher parte in pole e tiene testa per tutta la corsa al fratello Michael mentre Montoya, meno efficace per tutto il fine settimana (per la prima volta in stagione), chiude solo quinto. Entrambi vengono però presto squalificati per irregolarità delle prese d’aria dei freni. Le cose vanno addirittura peggio a Indianapolis: Montoya è costretto a partire dai box quando la sua vettura rimane bloccata in griglia, mentre un cedimento meccanico spedisce Ralf Schumacher contro il muro dell’ovale, costringendolo a una lunga riabilitazione. La bella rimonta del colombiano è poi vanificata da una tardiva squalifica per irregolarità nel cambio di vettura. Il ritorno in Europa non migliora troppo la situazione: a Magny-Cours Montoya è velocissimo in prova, ma un brutto incidente nelle libere gli provoca un gran dolore al collo. Partito sesto, termina poi solo ottavo dopo un testacoda nelle prime fasi. A Silverstone una corsa abbastanza tranquilla lo vede invece concludere al quinto posto tra Button e Fisichella, mentre Gené sull’altra Williams arriva fuori dai primi 10.
A Hockenheim l’ennesima prima fila illude, ma una brutta partenza conduce a una corsa di rimonta che si conclude con un altro quinto posto. Il copione opposto va invece in scena a Budapest: dopo una brutta qualifica, addirittura dietro il nuovo compagno Pizzonia, Montoya azzecca una buona partenza, chiudendo al quarto posto senza però insidiare Alonso, ne tantomeno le imprendibili Ferrari. Spa ragala finalmente una corsa movimentata, anche se dal finale insoddisfacente. Partito solo 11° dopo una qualifica bagnata, Montoya è abile a evitare il maxi incidente all’Eau Rouge, installandosi al quinto posto alle spalle di Schumacher, che alla ripartenza fatica a mandare le gomme in temperatura. Difficoltà che il colombiano sfrutta egregiamente, confezionando uno spettacolare sorpasso all’esterno alla nuova Bus stop. La Ferrari è però superiore e il tedesco riesce a sopravanzare la Williams durante i pit stops. Montoya ha comunque l’occasione di salire sul podio replicando la precedente manovra sulla Renault di Trulli, che in un episodio analogo a quanto accaduto a Indy 2003, costringe Montoya quasi oltre il cordolo interno. Le vetture entrano in contatto e l’italiano è costretto al ritiro, ma questa volta i commissari non si sentono in dovere di emettere sanzioni. Sarà poi una foratura negli ultimi giri a negargli un possibile podio e costringerlo al ritiro. È quindi il turno di Monza, dove Montoya parte in prima fila facendo segnare nelle pre qualifiche la più alta media di sempre su un singolo giro. La gara inizia in condizioni di bagnato e nelle prime fasi il colombiano battaglia con Button e Alonso, mentre le Ferrari sono in difficoltà. Con il progressivo asciugarsi della pista le Rosse tornano però alla carica e alla fine Montoya deve accontentarsi di un deludente quinto posto dietro anche alle BAR, a causa di un problema di strumentazione che durante l’ultimo pit stop porta il team a immettere molto più carburante del necessario. Segue un anonimo GP di Cina in cui il colombiano chiude quinto subendo il ritmo del rientrante Ralf Schumacher, che centra poi un bel secondo posto alle spalle del fratello nel successivo GP del Giappone. Montoya, partito indietro a causa delle difficili condizioni meteo di fine qualifica, tenta la rimonta impegnandosi in numerosi duelli, portando però a casa solo un settimo posto. Il successivo Gp del Brasile chiude poi la stagione e anche l’avventura del colombiano alla Williams. Partito in prima fila su un asfalto umido, all’inizio Montoya fatica a tenere il passo dei diretti di rivali, ma tutto cambia dopo il primo cambio gomme, effettuato insieme a Kimi Raikkonen. I due percorrono affiancati la pit lane e sono vicinissimi al rientro in pista, quando con una gran staccata a gomme fredde Montoya sfila all’esterno il finlandese prendendo il comando. I due procedono a stretto contatto per il resto della distanza, battagliando nel traffico con la pioggia pronta a fare nuovamente capolino sul tracciato brasiliano. Montoya resiste però a ogni pressione, chiudendo in bellezza una stagione deludente date le aspettative della vigilia. Il colombiano termina infatti il campionato al quinto posto, a 90 punti da Michael Schumacher, campione per la settima volta.
Quando Montoya prova per la prima volta la McLaren nell’autunno 2004, scopre una macchina diversa dalle attese. Nervosa e sottosterzante, la vettura di Woking non si adatta molto bene alle qualità del colombiano. Lo stesso carattere si ripresenta nella nuova MP/4-20, progettata secondo le nuove regole sportive che bandiscono il cambio gomme se non in caso di foratura. Per quanto scorbutica, la nuova McLaren è però una macchina vincente, come Kimi Raikkonen dimostrerà dopo i primi gran premi di rodaggio. A Montoya servirà invece più tempo. La stagione parte ancora in Australia ed è un avvio lento per il team inglese, che vede Raikkonen partire dal fondo e chiudere 8° mentre Montoya prende il via dalla nona casella e porta a casa un sesto posto senza infamia e senza lode. Un’altra gara tranquilla conduce poi a un buon quarto posto in Malesia dopo una brutta qualifica. La svolta della stagione (se non del biennio) arriva però nelle settimane successive, e non dalla pista: durante una partita di tennis (ma molti parlano di una scorribanda in motocross), Montoya si frattura la scapola sinistra, incidente che lo costringe a saltare i GP di Bahrein e San Marino. Al suo posto corrono i tester De la Rosa e Wurz, che offrono prestazioni analoghe a quanto mostrato dal colombiano nelle prime due uscite. Ancora piuttosto dolorante, Montoya torna a Barcellona, dove chiude mestamente all’ottavo posto mentre Kimi Raikkonen, dopo le avvisaglie di Imola, centra un successo dominante. Si va quindi a Montecarlo, dove la stagione prende una piega ancora più paradossale quando Montoya è penalizzato e costretto a partire dal fondo per aver causato un rallentamento a catena, che nelle libere provoca un incidente multiplo tra Villeneuve, Ralf Schumacher e Coulthard. Mentre Raikkonen centra un altro successo, il colombiano mette in atto una buona rimonta portando a casa il quinto posto. Il successivo Gp d’Europa è invece rovinato da un contatto in partenza con Webber che lascia attardato Montoya, solo settimo al traguardo.
Le cose cominciano a cambiare, almeno in termini di competitività, nell’appuntamento successivo in Canada, dove il colombiano appare per la prima volta più veloce di Raikkonen. Dopo aver messo sotto pressione le Renault, Montoya infatti approfitta dei problemi di Fisichella e dell’errore di Alonso per prendere il comando, seguito da vicino dal compango. La prima vittoria dell’anno sembra in vista, ma proprio prima dell’ultimo pit stop l’incidente di Button porta in pista la pace car, senza che il team possa richiamare in tempo Montoya per la sosta. Il colombiano è quindi costretto a completare un altro passaggio dietro la safety car mentre Raikkonen entra subito ai box, ereditando poi il comando. Le cose vanno invece di mal in peggio per Montoya, che lascia la pit lane non rispettando il semaforo rosso, infrazione che gli costa la squalifica dal gran premio. Dopo il fiasco di Indianapolis, che vede i team Michelin disertare la corsa, la F1 torna in Europa per il GP di Francia, dove Montoya parte in mezzo al gruppo e giunge fino in zona podio quando si ritira per problemi al cambio, dovendo prima sopportare il sorpasso ai box di Raikkonen, partito più indietro e con un maggior carico di carburante. A Silverstone però si torna finalmente a vedere un Montoya in forma vittoria. Da un discreto terzo posto in griglia, il colombiano è autore di uno splendido avvio che lo vede sopravanzare Button e affiancare all’esterno Alonso, superato poi all’ingresso della curva Maggots. Mentre Raikkonen recupera ancora una volta dal fondo, davanti Montoya tiene a bada lo spagnolo, portando a casa il primo successo stagionale. È ancora sul podio, ma un gradino più in basso, nell’appuntamento successivo a Hockenheim, dove il colombiano compromette le sue speranze di vittoria con un testacoda in qualifica all’ultima curva, mentre lotta per la pole con Raikkonen. Errore poi aggravato dal ritiro del finlandese, che consegna la vittoria al rivale Alonso. Partito in prima fila, in Ungheria Montoya supera Schumacher durante i pit stop e sembra avviato verso una facile vittoria quando la rottura del semiasse lo estromette dalla competizione, con il sospetto che il guasto sia addebitabile al contatto con un apparecchio di raffreddamento durante il giro di uscita dai box. I punti persi aumentano poi in Turchia, dove il colombiano è comodamente secondo dietro Raikkonen quando è colpito nel posteriore dal doppiato Monteiro, che lo accusa di avergli tagliato la strada in frenata, compromettendo l’aerodinamica della sua Jordan. A due giri dal traguardo Montoya finisce quindi nella via di fuga, trovandosi a dover contenere Alonso, che lo supera alla curva 8 quando la McLaren va dritta a causa dei danni al diffusore. Con Raikkonen ancora attardato dalla rottura del motore in prova, i due si scontrano ancora a Monza, dove Montoya parte dalla pole e stacca progressivamente lo spagnolo, che però rinviene nel finale quando la delaminazione di uno pneumatico costringe il colombiano a rallentare, senza però negargli il secondo successo stagionale. Gli alti e bassi proseguono poi a Spa, dove Montoya centra la pole e comanda le prime fasi bagnate davanti a Raikkonen, ancora in corsa per il mondiale, che passa davanti durante le soste. Per il colombiano il secondo posto sembra in cassaforte, ma un avventato tentativo di sdoppiaggio da parte di Pizzonia termina con la Williams e la McLaren ferme nella via di fuga della curva Fagnes, a 4 giri dal traguardo. Il riscatto arriva quindi a Interlagos, dove in un remake del 2004 Montoya e Raikkonen si liberano del polesitter Alonso, ingaggiando un duello ravvicinato in cui il colombiano riesce a precedere il compagno sul traguardo e centrare il terzo successo stagionale. Come da copione la corsa successiva però va malissimo. Con le qualifiche influenzate dal maltempo, a Suzuka i big partono dal fondo e Montoya è in piena rimonta quando nella curva che immette sul rettilineo d’arrivo è spedito contro il muro da Villeneuve, che viene penalizzato. Con il campionato costruttori ancora aperto, in Cina la McLaren cerca la doppietta ma Alonso non fa sconti, precedendo con sicurezza Raikkonen e Montoya, che non vede il traguardo dopo aver centrato il tombino scoperto di un cordolo. Si chiude quindi malamente una stagione contraddittoria, subito rovinata dall’infortunio e non aiutata da numerosi errori e sfortune, sportive e tecniche. Nonostante le tre vittorie non sorprende quindi il quarto posto in classifica generale, a 73 punti da Alonso, 52 da Raikkonen e alle spalle anche della tutt’altro che irresistibile Ferrari di Schumacher.
Il 2006, caratterizzato dal ripristino dei cambi gomme e dal passaggio ai motori V8, promette spettacolo con l’atteso ritorno della Ferrari e le conferme di Renault e McLaren. Le prime due rispetterano le attese, mentre la McLaren vivrà una stagione deludente, alle prese con una MP/4 21 solo occasionalmente in grado di lottare per la vittoria. Da Montoya si attende una prova di orgoglio, dopo essere stato sonoramente battuto dal compagno per la prima volta in carriera. Il campionato parte in Bahrein e rispetta i pronostici. Alonso e Schumacher si giocano la vittoria mentre Raikkonen parte ultimo e raggiunge il podio, superando anche Montoya, che chiude solo quinto dovendosi arrendere per due volte a Jenson Button. Sopravvissuto all’incidente del primo giro che esclude il compagno di squadra, il colombiano è poi quarto in Malesia, ma la stagione comincia a prendere una brutta piega in Australia, dove Montoya va in testacoda nel giro di ricognizione ed è salvato solo dalla ripetizione della procedura di partenza. Al restart perde poi il contatto da Alonso e Raikkonen nel traffico e si ritira dopo un’uscita all’ultima curva mentre bracca Ralf Schumacher. Dopo i disastri antipodali si rivede poi un Montoya solido a Imola, pista mai amata, dove il colombiano è più efficace di Raikkonen per tutto il fine settimana e centra un bel terzo posto, seppur staccato da Alonso e Schumacher. Seguono due brutti ritiri: un motore rotto al Nurburgring a mettere fine a una prova sotto tono e un evitabilissimo testacoda a Barcellona in un’altra prova insulsa. Un po’ di luce si vede quindi a Montecarlo, dove Montoya si qualifica quarto e pur non tenendo il ritmo di Raikkonen, che contende il comando ad Alonso, giunge secondo approfittando dei ritiri del compagno e di Webber. Sono però le ultime buone notizie per il colombiano, perchè dopo un sesto posto a Silverstone senza infamia e senza lode, in Canada si qualifica male e dopo aver abilmente superato Schumacher si imbatte in Rosberg, che prima salta l’ultima chicane per evitare il sorpasso e poi in un estremo tentativo di resistenza all’esterno si tocca con il colombiano, finendo nelle barriere. Montoya riesce invece a proseguire, ma pochi giri più tardi finisce a sua volta contro il muro dei campioni, che pone fine alla sua gara. Una settimana più tardi a Indianapolis una qualifica mediocre lo vede poi tamponare, tra tutti, proprio Raikkonen alla prima curva, a causa di un rallentamento improvviso delle vetture davanti. Il contatto genera un maxi incidente che fa fuori sette vetture. Ron Dennis probabilmente valuta ormai da tempo l’accantonamento di Montoya, ma l’assist perfetto gli arriva proprio dal colombiano, che inizia a guardarsi attorno per la prossima stagione, prendendo contatto soprattutto con la Red Bull. Durante la trasferta americana Montoya sente però Chip Ganassi, che casualmente sta cercando un pilota per il suo programma #42 in Nascar. Il colombiano, che tre anni prima aveva guidato la stock car di Jeff Gordon in un evento promozionale a Indianapolis, non disdegna la possibilità. Consapevole che difficilmente nelle stagioni successive si troverà nelle condizioni di lottare per il titolo, decide di sparigliare le carte, compiendo una mossa storica verso un campionato all’opposto della F1 ma ugualmente ricco e dall’enorme seguito, almeno negli Stati Uniti. Montoya e Ganassi annunciano così la loro collaborazione una settimana dopo il Gp degli USA, sorprendendo la McLaren, che reagisce alla notizia togliendo il volante al colombiano per il resto della stagione.
Dopo una iniziale resistenza dovuta agli obblighi contrattuali, McLaren e Mercedes lasciano libero Montoya di debuttare nelle stock cars già nel 2006. Per Montoya il team Ganassi prepara il classico percorsco ABC, ovvero Arca, Busch Series e poi Cup, la serie regina del mondo Nascar. Il debutto arriva il 6 ottobre a Talladega, dove Montoya sperimenta per la prima volta il bump drafting e prende confidenza con la corsa di gruppo e le ripartenze in stile Nascar. La prima presa di contatto è buona, terminando con un terzo posto che convince il team a passare subito alla Busch. Al debutto a Memphis Montoya conquista una quarta fila in griglia e nonostante varie vicissitudini, compresi contatti e testacoda, si mostra competitivo portando a casa un undicesimo posto finale. Prestazioni contrastanti arrivano negli appuntamenti successivi, fino al fatidico debutto in Cup nell’ultimo appuntamento stagionale di Homestead, già sede della prima corsa CART nel ’99, seppur in un’altra configurazione. Partito 29°, il colombiano tiene il ritmo ed è protagonista di una buona prova tra i primi venti, ma un piccolo diverbio con Ryan Newman porta alla ritorsione del pilota dell’Indiana, che negli ultimi giri spedisce Montoya contro il muro della curva 2. L’impatto è violento e scatena un incendio clamoroso, non impedendo comunque al colombiano di lasciare la vettura indenne. Già dalle prime prese di contatto la squadra fa però anche conoscenza con il carattere difficile dell’ex F1, che forse orgogliosamente da poco peso ai tentativi da aiuto di Casey Mears, in partenza per il team Hendrick, che a Homestead guida per l’ultima volta la vettura Texaco #42 (Montoya corre con una vettura simile ma con numero 30). Col tempo Montoya imparerà ad apprezzare l’aiuto di colleghi come Martin, Stewart e Harvick, con cui non mancheranno comunque gli scontri, fino ad offrirsi di aiutare il suo ex compagno Raikkonen quando il finlandese saggerà le stock car nel 2011.
Il finale del 2006 da quindi a Montoya un’idea sull’avventura in cui si è andato a cacciare e che per il 2007 prevede un doppio impegno in Cup e Busch Series. Il primo appuntamento del nuovo anno si tiene sì a Daytona, ma non su una stock car. Come parte del team Ganassi Montoya è infatti invitato a partecipare alla 24 ore di Daytona al fianco di Scott Pruett e Salvador Duran, che al termine di una dura battaglia piegano gli equipaggi dei team Samax e SunTrust/Taylor. Le aspettative sulla stagione Nascar di Montoya sono alle stelle, ma realisticamente team e pilota si rassegnano ad una annata di alti e bassi. Nella sua prima Daytona 500 Montoya fa il compitino, ma trova scarsissima collaborazione dai nuovi colleghi nel gioco delle scie, non riuscendo quindi a inserirsi nelle posizioni che contano e portando a casa un 19° posto finale dopo aver perso un giro ai box. È presto chiaro che le Dodge del team Ganassi non sono particolarmente competitive, tanto che sia Montoya che i compagni Sorenson e Stremme faticano a mettere insieme prestazioni degne di nota. Nella prima parte della stagione il colombiano riesce però a mettersi in mostra ad Atlanta, dove gravita a lungo intorno al podio e coglie un positivo quinto posto. Una prestazione simile si ripete poche settimane dopo in Texas, dove arriva ottavo non prima di aver inavvertitamente colpito Tony Stewart, che finisce in testacoda coinvolgendo anche Jimmie Johnson. Atlanta lo vede terminare all’ottavo posto anche in Busch Series, categoria in cui fa scalpore qualche settimana prima nella prova stradale di Mexico City, dove da spettacolo inanellando sorpassi nel gruppo. Solo quello per la vittoria è fuori posto, con una staccata al limite con cui fa fuori il compagno Pruett senza particolari sensi di colpa. In Cup il resto della stagione continua tra corse nel gruppo e contatti fino a Sonoma, dove il colombiano rimonta da una bella qualifica, dando spettacolo nel gruppo nonostante un’altra toccata maldestra su Kurt Busch. È però un azzardo strategico a metterlo in corsa per la vittoria, quando il team decide di lasciarlo fuori nelle ultime fasi a giocarsi la vittoria con Harvick e McMurray, con cui inscena un tesissimo duello fino al sorpasso decisivo in curva 1, cui segue una marcia singhiozzante fino al traguardo per conquistare il primo storico successo nella serie maggiore della Nascar. Di ritorno sugli ovali le cose ricominciano però a farsi difficili e continuano i battibecchi con i colleghi, in particolare Harvick, con cui Montoya si scontra in varie occasioni. I due battagliano anche a Indianapolis, dove Juan parte in prima fila, è competitivo per tutta la gara e nel finale approfitta dei problemi dell’americano per chiudere secondo dietro Tony Stewart. Due settimane più tardi però i nodi vengono al pettine a Watkins Glen, dove Montoya gravita a lungo attorno alla top 5 ma viene tamponato da Truex in una ripartenza, finendo per franare proprio su Harvick, col quale si accende un focoso dibattito in pista. La stagione va avanti senza particolari sussulti fino ad altri due piazzamenti su alcuni dei tracciati più difficili e caratteristici: un decimo posto al Monster Mile di Dover e un ottavo sul mezzo miglio di Martinsville, a riprova dei progressi fatti nella gestione del traffico. In assenza di altri rookie di peso (il rivale principale è David Ragan, alla guida di una ben più competitiva Ford del team Roush), il 20° posto finale, davanti ai compagni di squadra, è comunque sufficiente a Montoya per laurearsi rookie of the year. L’avventura in Busch dura invece solo mezza stagione, prima che il colombiano abbandoni tutto non considerandola strettamente necessaria per il suo apprendimento.
Con una stagione stock car alle spalle si potrebbe pensare a una nuovo anno in crescendo, ma in realtà il 2008 di Montoya è deludente, alle prese con una Dodge Ganassi davvero poco competitiva. A poco serve anche l’avvicendamento di crew chief, che vede Brian Pattie subentrare a Donnie Wingo. In realtà la stagione inizia bene, con una replica della vittoria alla 24 ore di Daytona, questa volta in equipaggio con Pruett, Rojas e il vecchio rivale Franchitti, ora compagno in Nascar alla guida della vettura #41. Nelle stock car però le cose non decollano e a parte due buoni piazzamenti a Sonoma e Watkins Glen, sugli ovali l’unica soddisfazione è un secondo posto nella prima corsa di Talladega, chiusa in bandiera gialla. Ne scaturisce un 25° posto finale, davanti a Sorenson, ma è una magra consolazione. Peggio va a Franchitti, mai competitivo, che si infortuna a Talladega ed è costretto ad abbandonare quando il programma #41 termina i fondi.
Il 2009 vede grosse novità, con la crisi economica che porta alla fusione tra i team Ganassi e Earnhardt. Ne scaturisce un team a due punte, con Montoya a condurre la vettura 42, sponsorizzata dalla Target, e Martin Truex Jr. sulla #1 Bass Pro. La novità più importante del sodalizio e però la Chevrolet Impala portata in dote dal team Earnhardt. Chiusa al secondo posto in volata la 24 ore di Daytona alle spalle della più potente Riley-Porsche di David Donuhue, Montoya si butta sul campionato Nascar e dopo alcune prove il cambio di passo comincia ad apprezzarsi. Il colombiano mette infatti insieme 12 top ten nelle prime 26 gare, qualificandosi come ottavo per la Chase for the Cup, i playoff per determinare il campione. Tra i piazzamenti non figura però quello più importante, Indianapolis, dove il colombiano domina la corsa, prima di ricevere una penalità per un eccesso di velocità in pit lane quasi impercettibile. Finito in mezzo al gruppo, la vettura non si dimostra altrettanto efficace nel traffico, terminando tristemente la giornata in 11° piazza. All’inizio della Chase Montoya sembra seriamente in corsa per il titolo, combattendo alla grande nella prima gara di Loudon con Mark Martin, prima di chiudere terzo dietro anche a Danny Hamlin. Il gran momento di forma prosegue negli appuntamenti successivi, dove il colombiano coglie due solidi quarti posti a Dover e in Kansas, seguiti da un gran terzo posto a Fontana, dove battaglia a lungo con Jimmie Johnson e termina terzo in volata dietro Jeff Gordon. Si presenta quindi a Charlotte al terzo posto in classifica, ma la sua gara è rovinata da un contatto con Martin e una successiva foratura. Si riprende però a Martinsville, dove conduce nelle prime fasi, rimane in zona vittoria per tutta la gara e chiude terzo dietro Hamlin e il solito Johnson. Il colombiano affronta quindi le ultime quattro gare dalla quinta posizione in classifica, ma la rincorsa al titolo si esaurisce a Talladega, dove arriva un 19° posto, e in Texas, dove un incidente con Carl Edwards pone fine ai giochi. Un solido ottavo posto a Phoenix conduce poi a un battibecco con Tony Stewart a Homestead a chiudere malamente una stagione comunque eccellente, in cui Montoya dimostra che nello giuste condizioni è ormai un pilota stock car di buon livello.
Nel 2010 da un punto di vista velocistico Montoya e Ganassi dimostrano che le prestazioni viste nel 2009 non sono state un caso, ma mancherà ancora una volta il guizzo finale per portare a casa risultati grossi. Quello che non manca a Jamie McMurray, di ritorno al team Ganassi dopo 4 anni al team Roush. Dopo una 24 ore di Daytona sfortunata, il ritorno sull’ovale della Florida vede un Montoya molto competitivo nella 500 miglia. Il colombiano si perde però nella confusione degli ultimi giri mentre McMurray, invisibile per tutta la gara, viene fuori al momento giusto beffando in volata Dale Earnhardt Jr. e avviando in modo scoppiettante la nuova collaborazione con il team EGR. Montoya chiude invece decimo ed è solo 37° due settimane dopo a Las Vegas, dove si ritira dopo un contatto proprio con il nuovo compagno di squadra. Le cose migliorano presto con il terzo posto di Atlanta, dove rimane tra i protagonisti per tutta la corsa e nel finale insegue a pochi decimi il leader Kurt Busch, quando Edwards decide di mandare per aria Keselowski causando la neutralizzazione della corsa. Alla decisiva ripartenza poi il colombiano rimane sorpreso dal restart un po’ anticipato di Busch, chiudendo terzo beffato anche da Kenseth. Nelle corse seguenti alterna quindi sequenze di ottimi piazzamenti a gare sottotono, portando a casa 6 top ten fino a Indianapolis, che a distanza di 12 mesi rimane amara. Il colombiano domina infatti in maniera similare al 2009, ma nelle ultime battute un errore strategico si rivela decisivo. La scelta cade infatti sul cambio di tutte e quattro le gomme, contro le due di alcuni avversari. Il colombiano si ritrova così nel traffico ed è coinvolto in un incidente negli ultimi giri, mentre il solito McMurray sceglie la tattica corretta, viene fuori al momento giusto e dopo la Daytona 500 porta a casa anche la Brickyard 400. La tanto sospirata vittoria per Montoya arriva comunque due settimane dopo a Watkins Glen, dove il colombiano è protagonista di un entusiasmante duello con Marcos Ambrose, che gli contende a lungo la testa ma alla fine chiude terzo dietro anche a Kurt Busch. Nelle corse successive Montoya conquista poi 4 piazzamenti di fila, non sufficienti però ad aggiudicarsi un posto nella Chase for the Cup. Le ultime gare non offrono particolari sussulti, eccezion fatta per un terzo posto a Talladega, mentre McMurray riesce a centrare il terzo successo stagionale, trionfando a Charlotte. Per Montoya la stagione si chiude con un 17° posto in classifica, 1 vittoria, 14 piazzamenti in top ten e la frustrazione per la mancanza di una vittoria su ovale spesso a un passo, oltre che per i successi di McMurray, meno costante ma in grado di trarre il massimo negli appuntamenti più importanti.
Dopo due anni positivi sul profilo delle prestazioni, problemi economici e difficili ristrutturazioni interne comprometteno la competitività della squadra, portando a un triennio di scarsi risultati. Dopo un altro secondo posto alla 24 ore di Daytona, Montoya è protagonista di una buona Daytona 500, che però lo vede perdere il supporto di McMurray in una gara che favorisce i “tandem”. Senza la giusta collaborazione il colombiano non riesce a inserirsi nella volata finale e chiude 6°, cui si aggiungono nelle prime corse un bel terzo posto a Las Vegas dietro Edwards e Stewart e un quarto a Martinsville. Nel resto della stagione l’ex F1 fatica però a mostrarsi competitivo, raccogliendo solo alcuni sporadici piazzamenti, con poca fortuna anche negli stradali. Non va meglio a McMurray, che non va oltre un quarto posto a Indy e la 27° piazza finale, contro la 21° di Montoya. Il 2012 è addirittura catastrofico per il team, che vede i suoi piloti chiudere al 21° e 22° posto in classifica con 4 arrivi in top ten complessivi. Solo la Daytona 500 passa agli annali, ma per un incredibile incidente in regime di pace car in cui la vettura di Montoya finisce ad alta velocità contro un camioncino asciuga pista, causando un enorme incendio che richiede alcune decine di minuti per essere domato. L’episodio, causato ovviamente da un cedimento meccanico, sarà per anni motivo di ilarità tra i tifosi Nascar meno tolleranti con l’invasione straniera cominciata con l’arrivo del colombiano e della Toyota. Il 2013 finalmente da un po’ di speranza, aprendosi con il terzo successo personale alla 24 ore di Daytona in equipaggio con Pruett, Rojas e Charlie Kimball. In Nascar, pur non migliorando in classifica finale, Montoya porta a casa 7 piazzamenti in top ten, chiude alle spalle di Stewart a Dover (nonostante una polemica con Johnson per una ripartenza controversa) e soprattutto va vicinissimo al successo a Richmond, dove conduce negli ultimi giri incalzato da Harvick, quando una bandiera gialla rimette tutto in discussione. La sosta per gomme fresche lo spedisce quindi nel traffico, dove Montoya non trova il corridoio giusto, dovendosi ancora una volta accontentare, questa volta di un quarto posto. Un altro bel podio arriva poi a Bristol, al termine di una rimonta da una penalità nelle prime fasi. Il colombiano chiude quindi il campionato al 21° posto, un po’ staccato da McMurray, la cui stagione ugualmente modesta è però impreziosita da un liberatorio successo a Talladega. A metà stagione intanto il team Ganassi informa Montoya dell’intenzione di lasciarlo libero al termine del contratto. Stanco di lottare nelle retrovie e desideroso di ricominciare a vincere, il colombiano inizialmente considera un passaggio al team Forniture Row, reduce da una brillante stagione con Kurt Busch, per poi guardare nuovamente alle ruote scoperte, snobbate per anni e tornate improvvisamente tra i suoi interessi. In particolare Montoya contatta Roger Penske, che si dice subito interessato a schierare stabilmente la vettura #2 guidata saltuariamente da AJ Allmendinger. Anche Michael Andretti si fa vivo per sondare la disponibilità dell’ex rivale, ma Montoya punta esclusivamente alla vettura del Capitano, che nel settembre 2013 annuncia un accordo triennale in IndyCar.
Fin dai primi test il ritorno alle monoposto si dimostra difficile, soprattutto a causa delle enormi differenze negli spazi di frenata e nell’aderenza in curva garantita dalle ali. Sugli ovali invece il colombiano si dimostra subito abbastanza a suo agio, soprattutto nelle piste più veloci. Le prove pre campionato sullo stradale di Barber illudono tifosi e addetti ai lavori, ma al primo appuntamento di St. Pete il risveglio è traumatico. Montoya, che mai aveva provato la mescola Firestone morbida, si qualifica nelle retrovie e in gara subisce sorpassi un po’ da tutti, portando la vettura al traguardo al 15° posto. Il secondo appuntamento va in scena a Long Beach e nonostante una qualifica non entusiasmante il colombiano attua una paziente progressione in gara, ingaggia una spettacolare battaglia con Munoz ed è poi bravo a evitare il disastro innescato da Hunter-Reay, chiudendo la corsa al quarto posto dietro il giovane connazionale. Il terreno amico di Barber, unito alla pioggia che cade copiosa, gli permettono nella corsa successiva di dare sfogo alla sua sensibilità e abilità nel sorpasso. Partito a centro gruppo il colombiano si porta in breve tra i primi, inanellando una spettacolare sequenza di sorpassi all’esterno nell’ultima curva. Potrebbe giocarsi la vittoria, ma in una chicane veloce la reazione a una sbandata improvvisa di Dixon scompone la sua Dallara, che finisce nella sabbia perdendo un giro. Dopo una rimonta spettacolare nelle prime fasi del GP di Indy, problemi tecnici e un contatto maldestro con Rahal lo relegano al 15° posto. Segue la Indy500, che per metà gara lo vede risparmiare carburante nel tentativo di completare la distanza con una sosta in meno dei rivali. Una penalità per eccesso di velocità in pit lane rovina però la strategia, costringendolo a una rimonta che nel finale non va oltre il quinto posto, frenato da un insufficiente adattamento della vettura alle condizioni della pista. Il dual in Detroit non regala particolari soddisfazioni, evidenziando ancora un passo gara non ottimale sui cittadini, mentre il super speedway del Texas lo vede beffare sulla distanza Dixon e Kanaan per cogliere un ottimo terzo posto. Segue un fortunoso secondo posto nella prima corsa di Houston, propiziato da un azzardo strategico premiato dai tanti incidenti nel finale. È invece settimo nella seconda gara, non riuscendo a prevalere nelle ultime battute su un coriaceo Jack Hawksworth. Il ritorno al successo arriva come prevedibile in una 500 miglia, a Pocono, dove nel finale Montoya sale in cattedra, supera abilmente i compagni di squadra e si invola verso il primo successo su ovale da St. Louis 2000. Una buona prova in Iowa è invece rovinata da un contatto incolpevole con Carpenter, che lo spedisce a muro. Male va anche a Toronto dove il colombiano, mai competitivo, colleziona due incidenti, mentre Mid Ohio porta solo un 11°. Un bel podio a Milwaukee, dove Juan Pablo vince un lungo duello con Kanaan dovendosi però accontentare del secondo posto dietro Power, apre poi un buon finale di stagione. Sonoma vede infatti progressi sugli stradali permanenti, con un quinto posto frutto di diversi sorpassi, cui segue la quarta piazza di Fontana, dove Juan comanda le prime fasi ma è frenato dalla rottura del weight jacker, che gli impedisce ogni regolazione di assetto dall’abitacolo. Il colombiano chiude quindi la sua prima stagione al quarto posto in classifica, risultato per certi versi falsato dal punteggio doppio attribuito nelle 500 miglia, che maschera le notevoli difficoltà incontrate su stradali e cittadini. Durante l’estate il team Penske schiera una vettura per Montoya anche nelle corse Nascar di Michigan e Indianapolis, dove il colombiano non va oltre un 18° e un 23° posto.
Con una stagione di acclimatamento alle spalle, per il 2015 Montoya è atteso, stavolta a buon diritto, tra i principali candidati al titolo, pur rimanendo delle riserve sul suo adattamento alle gomme “rosse”. I dubbi sembrano dissipati a St. Pete, dove il colombiano bracca Power, lo supera (complice un problema a una gomma) durante l’ultimo turno di soste e resiste ad un ultimo disperato attacco per cogliere il primo successo stagionale. Dopo prove difficili la pioggia fa cancellare le qualifiche sul nuovo stradale di New Orleans, garantendo a Montoya la partenza al palo. Nelle prime battute il colombiano conduce sul bagnato, ma presto la pioggia e una sconcertante sequenza di incidenti trasformano la competizione in una farsa, dalla quale l’ex F1 esce con un quarto posto. È poi terzo a Long Beach, bravo a tenere dietro una muta di avversari ma incapace di contrastare Dixon e Castroneves per la vittoria. Una brutta qualifica e qualche contatto di troppo in gara portano solo a un 14° posto a Barber, cui segue il podio dell’Indy GP al termine di una prova solida. Arriva quindi la Indy 500, che inizia malissimo per il colombiano, partito nelle retrovie e tamponato da Simona De Silvestro durante una neutralizzazione. Quando la bandiera verde sventola Montoya si ritrova ultimo, ma inizia lentamente a scalare la classifica, giungendo ai pieni alti quando la gara entra nella fase decisiva. All’ultima ripartenza il tutto si risolve in una sfida finale con Power e Dixon, che Montoya supera mettendo addirittura due ruote sull’erba. Tra sorpassi e controsorpassi, a 5 giri dalla fine il colombiano si ritrova terzo, ma dopo un clamoroso sovrasterzo in curva 2 trova lo slancio giusto per passare in tre curve prima Dixon e poi Power. L’australiano lo bracca fin sotto il traguardo, ma quando Montoya esce per l’ultima volta dalla curva 4 sa che nessuno può più riprenderlo, lasciandosi andare a delle urla selvagge via radio. Per il colombiano arriva quindi il secondo successo al Brickyard, che in virtù dei doppi punti lo lancia ancora di più in chiave titolo.
Due gare positive ma sfortunate sulle strade umide di Detroit portano solo due decimi posti, ma data l’inconsistenza dei principali rivali, Montoya imposta le corse successive sulla costanza, massimizzando il risultato senza correre rischi eccessivi. In Texas il team Ganassi centra una doppietta, ma a Fontana e Milwuakee Montoya guadagna punti preziosi su Dixon con altri due quarti posti. Anche un incidente per cedimento meccanico in Iowa è poi alleviato da una sorte simile per il rivale, che perde punti anche a Toronto. A Mid Ohio Juan è in difficoltà fin dalle prove, ma una bandiera gialla a metà gara rovina la gara del dominatore Dixon, spedendo il colombiano in avanscoperta. Un testacoda sospetto di Karam, compagno di Dixon, ribalta però la situazione, regalando un quarto posto al neozelandese e rispedendo Montoya fuori dalla top ten. L’ultima 500 miglia di Pocono, funestata dalla scomparsa di Justin Wilson, vede Montoya venire fuori al momento giusto e contendere la vittoria nel finale, congelato dalla rottura del motore di Chaves. Il colombiano porta comunque a casa un terzo posto, che sommato al ritiro di Rahal e al nono posto di Dixon lo fanno arrivare all’ultimo appuntamento con 34 punti sull’americano e 47 sul neozelandese. Sonoma, come Indianapolis, regala però punteggio doppio, rendendo possibili anche clamorosi capovolgimenti di fronte. Montoya si qualifica davanti ai rivali, occupando inizialmente il quarto posto davanti a Dixon, in furiosa rimonta nei primi giri. Tutto cambia però a metà gara, quando una bandiera gialla sfortunata spedisce i primi in fondo al gruppo, con Power e Montoya a seguire Dixon. La situazione sarebbe ancora gestibile, ma uno sfortunato contatto tra compagni di squadra danneggia l’ala anteriore del colombiano, costringendolo a un’ulteriore sosta. Mentre Dixon prosegue fino a raggiungere il comando e conquistare i punti bonus disponibili, Montoya rimonta fino al settimo posto, sufficiente solo a pareggiare i punti del neozelandese, che vincendo a Sonoma raggiunge quota tre successi contro i due del colombiano. Dopo aver condotto il campionato fin da St. Pete, Montoya si vede quindi soffiare il titolo all’ultima corsa. Titolo che sarebbe stato suo per 8 punti senza l’insensata, ma da tutti accettata, regola dei punti doppi.
Determinato a fare giustizia di un titolo perso più per le regole cervellotiche che per i valori espressi in pista, Montoya si presenta a St. Pete in gran forma, soffiando il comando a Pagenaud con un gran sorpasso all’esterno per centrare il secondo successo consecutivo nelle strade della Florida, nonostante uno sterzo che negli ultimi giri diventa sempre più ingestibile. Una foratura a inizio gara lo esclude però subito dalla lotta a Phoenix, dove chiude nono, mentre in una replica della corsa 2015 termina 4° a Long Beach. Partito dalle retrovie a Barber, è poi bravo a risalire fino al quinto posto senza l’aiuto di bandiere gialle, concludendo poi ottavo nel GP di Indy a causa di un’infrazione in pit lane. Dopo prove promettenti la Indy500 lo vede però primo dei ritirati, quando perde il controllo della vettura in curva 2, abbandonando prima di metà gara. È la svolta della stagione per Montoya, che da qui in poi fatica a mettere insieme un fine settimana privo di intoppi. Dopo un buon terzo posto in gara 1 a Detroit, al termine di un duro confronto con Power e Pagenaud, gara 2 lo vede infatti rovinare l’ala anteriore contro Dixon e poi impattare contro il muro in un improvviso sovrasterzo di potenza. Delle qualifiche mediocri non lo fanno andare oltre un sudato 7° posto a Road America, seguito da un ritiro con motore in fumo in Iowa e uno sfortunato 20° posto a Toronto, dove il colombiano sbatte violentemente nelle prove, sopravvive a una tamponata a Newgarden, infila una grandiosa serie di sorpassi ma rimane poi imbottigliato incolpevolmente dietro la vettura incidentata di Hawksworth, perdendo un giro. La stessa velocità non si nota però nelle quattro corse successive, che portano altrettanti piazzamenti attorno alla top ten e precedono la convincente prova di Sonoma, dove Montoya torna a qualificarsi nei piani alti della classifica, terminando la corsa al terzo posto dietro Pagenaud e Rahal.
Una stagione positiva all’inizio con un imprevedibile flessione dopo Indy, vede quindi il colombiano piazzarsi all’8° posto in classifica. Questo, unito a un contratto in scadenza e all’arrivo non più procrastinabile di Josef Newgarden, non lasciano scelta a Roger Penske e Tim Cindric, che per il 2017 possono offrire a Montoya solo un programma part time incentrato sul mese di maggio, con la prospettiva di un impegno a tempo pieno nel 2018 nel nuovo programma IMSA. In assenza di sedili potenzialmente vincenti, il colombiano accetta il programma a lungo termine prospettatogli da Penske e a dicembre partecipa per la prima volta alla Corsa dei Campioni, svolta in casa a Miami, dove si laurea immediatamente campione nel concorso individuale, battendo in finale Tom Kristensen. Dopo aver svolto diversi test nei primi mesi del 2017, si presenta in forma per il Gp di Indy, dove in contrapposizione a quanto osservato negli anni precedenti, si qualifica bene ma non è altrettanto efficace nella gara, che chiude 10°. Seguono due settimane sofferte di prove a Indy per la Penske, con il pacchetto Chevy in difficoltà rispetto alla Honda. Stando fuori dai guai il colombiano riesce comunque a portare a termine una buona gara, chiudendo al sesto posto. Nei mesi successivi è poi scelto come tester, al fianco di Oriol Servia, per portare al debutto la nuova aerodinamica unica che la serie adotterà dal 2018. In agosto arriva infine l’annuncio del suo impegno in IMSA nel 2018 con la Penske, alla guida della Acura DPi al fianco del due volte campione Dane Cameron.
Anno | Serie | Squadra | N | Sponsor | Gare | Pos. Finale | Punti | Vittorie | Podi | Top5 | Top10 | Pole P. | LL | L | GPV |
1999 | CART | Ganassi | 4 | Target | 20 | 1 | 212 | 7 | 9 | 10 | 13 | 7 | 954 | 15 | 6 |
2000 | CART | Ganassi | 1 | Target | 20 | 9 | 126 | 3 | 4 | 5 | 9 | 7 | 819 | 11 | nd |
2000 | IRL | Ganassi | 9 | Target | 1 | 25 | 54 | 1 | 1 | 1 | 1 | 0 | 167 | 1 | nd |
2014 | IndyCar | Penske | 2 | PPG | 18 | 4 | 586 | 1 | 4 | 8 | 9 | 1 | 167 | 6 | 2 |
2015 | IndyCar | Penske | 2 | Verizon | 16 | 2 | 556 | 2 | 5 | 9 | 13 | 2 | 145 | 8 | 1 |
2016 | IndyCar | Penske | 2 | Verizon | 16 | 8 | 433 | 1 | 3 | 5 | 10 | – | 123 | 5 | 0 |
2017 | IndyCar | Penske | 22 | Fitzgerald | 2 | 24 | 93 | 0 | 0 | 0 | 2 | 0 | 1 | 1 | 0 |
93 | 2060 | 15 | 26 | 38 | 57 | 17 | 2376 | 47 | |||||||
LL: Numero di giri condotti in testa
L: Numero di gare condotte in testa GPV: Giri più veloci |
Vittorie | Stradali | Cittadini | Ovali | Totale | |||||||
1999 | Long Beach | Nazareth | Rio | Cleveland | Chicago | Vancouver | Mid Ohio | 2 | 2 | 3 | 7 |
2000 | Indy500 | Milwaukee | Michigan | St. Louis | 0 | 0 | 4 | 4 | |||
2014 | Pocono | 0 | 0 | 1 | 1 | ||||||
2015 | St. Pete | Indy500 | 0 | 1 | 1 | 2 | |||||
2016 | St. Pete | 0 | 1 | 0 | 1 | ||||||
2017 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||||
Totale | 2 | 4 | 9 | 15 | |||||||
Quote | 13,3% | 26,7% | 60,0% | 100,0% |
Foto di copertina: Peter Burke, champcar.com – 1999