Nome: Simon Pagenaud
Data e luogo di nascita: 18 maggio 1984, Poitiers (Francia)
Nazionalità: Francese
Ruolo: Pilota
L’Alain Prost dell’IndyCar, così è stato soprannominato Simon Pagenaud. Se fosse solo una questione di titoli conquistati, l’appellativo spetterebbe di diritto a Sebastien Bourdais, ma l’attitudine meticolosa, riflessiva ed equilibrata, oltre alla capacità di tirar fuori il meglio da ogni situazione ormai ampiamente dimostrata dall’attuale pilota del team Penske, ricordano un po’ la straordinaria efficacia del “Professore” originale.
Simon Pagenaud nasce a Poitiers il 18 maggio 1984 in una famiglia benestante ma senza eccessi. Suo padre dirige infatti la catena di supermercati di famiglia mentre la madre, dopo una carriera da ballerina, insegna danza e fa anche da coreografa. Fin da piccolo Simon esprime un vivace interesse per le 4 ruote, che porta all’acquisto del suo primo go kart a 7 anni e all’esordio agonistico a 10. A differenza di molti altri campioni, in pista Simon non è però seguito passo passo dal padre, dovendo preoccuparsi personalmente della preparazione del kart, principale occupazione di ogni dopo scuola. Il duro lavoro è però ripagato da numerose vittorie sulla scena nazionale, che portano nel 2001 al debutto in monoposto nella F.Campus transalpina, dove Simon mette a segno 6 poles, 4 vittorie e altri 8 podi distribuiti su 17 gare, che gli valgono il secondo posto finale. Il 2002 vede poi l’esordio in F.Renault, dove coglie 1 vittoria e due poles, che unite a numerosi piazzamenti gli garantiscono il titolo di miglior esordiente e il terzo posto finale alle spalle dell’esperto Premat e del campione in carica Salignon.
Il 2003 è all’insegna della stabilità per Pagenaud, che evita il salto di categoria rimanendo con il team ASM, con cui partecipa al campionato francese, a due corse di quello tedesco e alla Eurocup. I risultati migliori arrivano proprio nella serie continentale, dove Simon porta a casa una vittoria (ad Assen davanti a un giovanissimo Lewis Hamilton) e il terzo posto finale in un parco partenti molto competitivo che vede prevalere Esteban Guerrieri. La stagione successiva segna il terzo anno in F.Renault 2000 per il francese, che continua nelle serie transalpina e continentale, questa volta con il Graff Racing. In patria arrivano tre vittorie e il terzo posto finale, con il compagno di squadra Patrick Pilet che conquista con margine il titolo. In Eurocup due vittorie non sono invece sufficienti a contenere il dominio di Scott Speed. Dopo tre anni di buona esperienza nella serie cadetta Pagenaud decide così per il salto in World Series, passando al team Saulnier al fianco di Ryo Fukuda. Per entrambi, alle prese con vetture lente e poco affidabili, la stagione sarà un tormento, con Pagenaud che porta a casa un podio e il 16° posto finale, mentre il giapponese è addirittura 20°.
Angosciato dai soliti problemi di budget, per il 2006 Simon fa la scelta che gli spalanca le porte del professionismo, spostando la sua carriera in America dove, consigliato dal connazionale Bourdais, si accasa al team Walker per correre in F.Atlantic. Il piano è molto semplice: la vittoria del campionato frutta un premio di 2 milioni di dollari e la concreta possibilità di effettuare il salto in ChampCar, per cui Simon sa di avere una sola possibilità per proseguire la sua carriera. Non vincere il titolo significherebbe abbandonare l’automobilismo di alto livello e tornare a lavorare nell’impresa di famiglia. Il francese si adatta benissimo alle Swift del campionato americano, impostando una campagna basata sulla consistenza nei piani alti della classifica. Ne viene fuori una sfida appassionante con l’astro nascente Graham Rahal, che mette insieme ben 5 vittorie su 12 appuntamenti, portando il confronto all’ultima corsa di Road America, dove Pagenaud arriva in testa alla classifica ma è subito eliminato in un incolpevole contatto. Anche le speranze di Rahal vanno però in fumo per un problema elettrico che consegna la vittoria finale al francese con 16 punti di vantaggio, frutto di un solo successo parziale ma ben 9 arrivi in top 5. La vittoria del titolo garantisce quindi a Simon il tanto sudato bonus di due milioni di dollari, che permette al suo team manager Derrick Walker di schierare per il 2007 un’altra delle nuove Panoz della serie ChampCar per il francese, che va ad affiancare il confermato Will Power, già avversario di Simon in World Series.
Arriva quindi il tanto atteso debutto nella categoria maggiore, che nel 2007 apre i battenti nel cittadino di Las Vegas. Nonostante un contrattempo in prova con Paul Tracy e vari problemi, Simon piazza la sua vettura in terza fila, non lontano dal più esperto Power, che conquista la pole. Dopo aver perso qualche posizione nelle prime fasi, mette poi in mostra un buon ritmo, issandosi fino alla seconda piazza grazie alle strategie, prima che un problema al motore gli neghi un probabile arrivo in top 5. A Long Beach le cose non vanno molto diversamente: un’eccellente terza piazza in qualifica è seguita da una corsa di costante marcatura sul compagno Power, ai margini della top 5, prima che un problema al cambio costringa il francese a finire nelle gomme e perdere numerosi giri. Nella corsa successiva di Houston le disavventure proseguono, con problemi tecnici in prova e una foratura rimediata al primo giro, ma viene fuori comunque un buon quinto posto, frutta di una strategia azzeccata, un gran ritmo e qualche sorpasso. Dopo aver preceduto Power per la prima volta nelle qualifiche di Portland, la gara si mette subito in salita alla prima curva per una manovra azzardata di Dan Clarke, fruttando solo un ottavo posto. A Cleveland arriva la prima fila, al fianco di Bourdais, e in gara il campione in carica se la deve vedere con entrambe le vetture del team Australia. Il terzetto prende il largo sul gruppo, ma Pagenaud non può approfittare dei problemi incontrati dai rivali a causa di una bandiera gialla uscita al momento sbagliato. Un’ulteriore posizione persa a vantaggio di Wilson lo relega poi al quinto posto finale. I due piloti del team Australia continuano a viaggiare in tandem anche nell’appuntamento successivo di Mont Tremblant, dove entrambi spengono il motore in partenza per poi prodursi in una bella rimonta, con Pagenaud che conduce brevemente durante un acquazzone che stravolge la corsa. Alla fine il francese si piazza al quarto posto proprio dietro a Power.
La corsa successiva ripropone un copione praticamente uguale, seppur in uno scenario differente. Sul cittadino di Toronto infatti Simon rimane subito attardato da un contatto con Tagliani, che lo costringe ad adottare una strategia alternativa. Questa e il solito scroscio di pioggia che stravolge la gara conducono il francese brevemente al comando e poi definitivamente in quarta posizione, mentre Power va a vincere. La trasferta canadese si chiude quindi nell’aeroporto di Edmonton, dove arriva un altro quarto posto, stavolta meno movimentato, che porta Simon al quinto posto in classifica, staccato di 51 punti da Bourdais e di 30 da Doornbos, che guida la classifica dei rookies. Alcuni contatti nel gruppo a San Jose e Road America interrompono però la striscia positiva, che non riprende neanche nella prima tappa della trasferta europea a Zolder, dove Simon è in corsa per il podio quando un problema alla radio gli fa mancare l’ultima sosta collettiva, costringendolo a una strategia fallimentare. Una gara di posizione ad Assen lo vede invece controllare un aggressivo Bourdais fino al traguardo per chiudere sesto. Senza radio, una corsa ragionata conduce poi a un discreto quinto posto a Surfers Paradise, mentre nell’ultimo appuntamento di Mexico City sopravvive a un contatto con il muro in partenza per evitare una vettura ferma e veleggia tranquillamente verso un quarto posto, quando in una ripartenza nel finale è superato da Tracy e Servia, dovendosi accontentare di un’altra sesta piazza. Il francese chiude quindi all’ottavo posto una stagione positiva ma priva di acuti, piazzandosi al terzo posto nella graduatoria dei rookies a 36 punti da Doornbos e 12 da Rahal.
L’anno nuovo porta la riunificazione, o annessione, della ChampCar con la IRL/IndyCar, fatto di per sé positivo, se non fosse che il team Walker, già in sofferenza nella seconda metà del 2007, chiude definitivamente il proprio programma a ruote scoperte. Pagenaud resta quindi senza un volante, non trovando un posto neanche per l’ultimo saluto della ex CART sulle strade di Long Beach. Dietro le quinte però qualcosa si muove: Gil De Ferran decide infatti di tornare dietro al volante, schierando in prima persona una Acura ARX LMP2 nel campionato American Le Mans, ed è alla ricerca di una spalla. Dopo aver già notato le qualità di Pagenaud nelle stagioni precedenti, un colloquio con Derrick Walker e Rob Edwards lo convince definitivamente a ingaggiare il francese. Il duo franco-brasiliano debutta così al quarto appuntamento di Tooele, in Utah, dove il due volte campione CART strappa il secondo tempo in prova ma poi esce di pista, cosa che lo costringe a prendere il via dall’ultimo posto. Una bella rimonta vede però i due finire sul podio all’esordio.
Il campionato prosegue quindi tra prove competitive ma sfortunate, per via di contatti con il traffico e problemi tecnici, oltre al grave incidente in pit lane di Mid Ohio, dove Simon è in lotta per la vittoria quando viene fatto ripartire con il bocchettone ancora attaccato, causando un incendio che procura gravi ustioni a un meccanico. Una possibile vittoria di classe sfuma poi a Mosport quando l’Audi di testa taglia il traguardo con un secondo d’anticipo sulla bandiera a scacchi, forzando un altro giro che è fatale a De Ferran, a secco con la vittoria ormai in vista. Un buon terzo posto a Detroit nelle ultime gare è migliorato poi da un eccellente seconda piazza di classe a Laguna Seca, dove al termine di un lungo e spettacolare duello, Simon si arrende in volata a Tony Kanaan per 5 centesimi.
A giugno il francese fa anche il suo debutto alla 24 ore di Le Mans, sostituendo l’infortunato Ortelli sulla Courage del team Oreca.
Pur con un occhio sempre sulle ruote scoperte, per il 2009 Simon rimane al team De Ferran, che fa il salto di qualità passando insieme alla Acura alla categoria LMP1, in cui la casa giapponese schiera la nuova ARX-02. Nonostante una strepitosa pole dell’ospite Scott Dixon, a Sebring la vettura paga il deficit di potenza con Audi e Peugeot, rimanendo poi attardata da diversi difetti di gioventù. In una griglia sicuramente meno competitiva delle passate stagioni per via delle defezioni di Penske, Audi e Andretti-Green, il resto del campionato è dominato dalle Acura dei team De Ferran e Highcroft. Dopo aver centrato un’altra pole a St. Pete, il duo franco-brasiliano vede la sua gara rovinata da una bandiera gialla e problemi elettrici, ma il potenziale non tarda a tradursi in risultati. A Long Beach l’ennesima pole è seguita da una tremenda battaglia con la coppia Sharp-Brabham, che però incorre in una penalità, lasciando campo libero per la prima vittoria del team, cui segue un dominio totale in Utah a un anno dall’esordio. Per Pagenaud il successo è ancora più dolce, in quanto segue la vittoria alla 1000 km di Spa con il team Peugeot, corsa affrontata in preparazione della 24 ore di Le Mans che Simon disputa con il team privato di Henri Pescarolo, ritirandosi nella notte per via di un brutto incidente di Benoit Treluyer. Tornato in America, la sequenza di successi prosegue a Lime Rock, dove un altro tesissimo duello con il team Highcroft è risolto da una foratura per la Acura rivale, che aveva preso il comando cambiando solo due gomme all’ultima sosta.
A 12 mesi dal tremendo incendio in pit lane del 2008, Mid Ohio segna poi un altro dominio e il quarto successo consecutivo, cui seguono due secondi posti a Road America e Mosport, dove i venti punti sfumano per una bandiera gialla sfortunata e una continua perdita di olio dal cambio. Nonostante il pesantissimo zero di Sebring, a Road Atlanta il team De Ferran può ancora sperare nel titolo, ma la vettura del pilota/proprietario brasiliano nel corso delle 10 ore va incontro ad un incredibile serie di sfortune. Mentre incalza le Peugeot al terzo posto, il due volte campione CART viene infatti centrato dalla Lola di Jon Field, perdendo 16 giri per le riparazioni. Tornata in pista, sul bagnato la vettura finisce poi contro le gomme con Dixon alla guida e infine Pagenaud rimane a lungo attardato da vari problemi tecnici. Senza più velleità di campionato, Laguna Seca segna comunque un emozionante finale di stagione, non solo perchè si tratta dell’ultima corsa del team e del suo proprietario, ma anche perchè la gara si decide nelle ultime battute, con De Ferran che in crisi coi consumi gestisce il vantaggio costruito da Simon nelle prime fasi, precedendo Fernandez in volata per centrare il quinto successo stagionale. La squadra chiude così al secondo posto una stagione in cui Pagenaud ha dato ulteriore prova di essere un pilota affidabile ed estremamente veloce, avendo fatto segnare pole position e tornata più rapida in buona parte degli appuntamenti.
Con l’uscita di scena del team De Ferran, per il 2010 Pagenaud trova spazio tra le file dei campioni in carica della Highcroft, dove fa coppia con David Brabham nella nuova classe prototipi che, tramite un certo fattore di equivalenza, mette insieme LMP1 ed LMP2, con le prime avvantaggiate nei circuiti veloci e le seconde più a loro agio nelle piste tortuose. La prova di apertura di Sebring è amara, considerando che i due, coadiuvati da Marino Franchitti, chiudono quinti dopo aver visto evaporare un vantaggio di 5 giri per problemi elettrici alla Acura P2. Long Beach segna comunque l’immediato riscatto, con il francese che a 3 giri dal termine subisce l’attacco della Aston Martin P1 di Fernandez, che però va largo nel misto all’ultimo giro, consegnando la prima vittoria stagionale al duo Highcroft, che replica subito a Laguna Seca, dove Simon parte ultimo e in pista porta la sua Acura fino al secondo posto, prima di prendere il comando dopo le soste. E’ poi tripletta in Utah dopo un’altra battaglia con le P1, nettamente più veloci nel lunghissimo rettilineo d’arrivo ma staccate dopo le soste, al punto che il francese chiude in prima posizione nonostante un 720° negli ultimi giri.
Una foratura nel finale a Lime Rock interrompe la sequenza di vittorie ma non i podi, che aumentano nell’appuntamento successivo a Mid Ohio, dove Simon battaglia nel finale con la Mazda di Dyson, chiudendo a poco più di mezzo secondo. La coppia franco-australiana è poi terza a Road America dietro ai rivali per il titolo del team Cytosport, battuti in volata dalla Lola LMP1 del team Dryson, ma vittoriosi al penultimo round di Mosport, dove Pagenaud recupera da un avvio difficile ma non può puntare al successo per via di una bandiera rossa nel finale. Il team Highcroft si presenta quindi a Road Atlanta con un rassicurante vantaggio di 16 punti, che diventano 20 dopo il dominio nella classe LMP2 (P1 e P2 corrono per classifiche separate solo a Sebring e Road Atlanta) che consegna a Pagenaud e Brabham il titolo ALMS 2010.
Dopo le brevi collaborazioni degli anni precedenti, nel 2011 Simon ha nell’impegno con la Peugeot il programma principale della stagione. La casa francese lo ingaggia infatti per tutte le corse in cui è previsto l’impiego di tre vetture, oltre che come uomo di riserva. La prima uscita in gara di Simon è però proprio contro la Peugeot, a Sebring. Il francese è infatti richiamato dalla Highcroft per portare al debutto la nuova Acura LMP1 e alla fine di 12 ore stranamente prive di problemi, il francese è bravo a negare alla casa del Leone una doppietta, contenendo Montagny per il secondo posto. Solo ottavo nella 1000 km di Spa, il trio Bourdais-Lamy-Pagenaud è invece protagonista di un entusiasmante duello con l’unica Audi superstite alla 24 ore di Le Mans, dando vita ad una battaglia giocata sia sullo scontro diretto che sulla strategia, complicata dalla pioggia e dalle diverse caratteristiche delle due vetture. Una corsa dal ritmo infernale si decide quindi solo negli ultimi minuti, quando la Peugeot rimanda Simon in pista senza cambio gomme per guadagnare la testa. L’azzardo però non riesce e al termine di una corsa perfetta negli ultimi giri il francese vede comunque Lotterer allontanarsi e andare a vincere per 13 secondi, che dopo 24 ore sanno decisamente di beffa. Va meglio nell’impegno successivo, la 6 ore di Silverstone, dove Simon fa coppia con Bourdais per sostituire l’infortunato Davidson, cogliendo la pole position e andando a vincere al termine di un altro tesissimo confronto con le Audi. L’ultimo appuntamento, la Petit Le Mans, vede invece il trio Bourdais-Davidson-Pagenaud partire in pole ma concludere anzitempo la corsa con problemi al cambio.
La gara più importante per il futuro di Pagenaud non si svolge però con i prototipi. Pur avendo giurato a Gil De Ferran di aver messo da parte le ambizioni nel mondo delle monoposto, dopo l’assaggio del 2007 l’obiettivo di Simon è sempre l’IndyCar, che nell’aprile del 2011 gli concede un’occasione inattesa. Un infortunio alla mano nel caos della prima corsa costringe infatti Ana Beatriz a dare forfait per la gara di Barber, per la quale il team Dreyer&Reinbold a sorpresa chiama proprio Pagenaud. A fare da sponsor al francese è Will Power, che tramite la sua ragazza Liz, PR del team D&R, consiglia l’ex compagno di squadra a Dennis Reinbold. Il consiglio è di quelli buoni, perchè nonostante una partenza nelle retrovie il francese ha un buon passo, è bravo a tenersi fuori dai guai e anzi riesce a recuperare nelle ripartenze su due file, issandosi fino all’ottava posizione finale in scia a Castroneves. Soddisfatto della prestazione, quando Justin Wilson si fa male durante le prove a Mid Ohio Dennis Reinbold non ha esitazioni nel richiamare Simon che, reduce da un test con il team Schmidt, senza prove piazza la vettura in nona fila. L’iniziale rimonta è però frenata da un’escursione in curva 1, prima che le soste e una buona ripartenza lo facciano risalire fino a un deludente 13° posto. Deludente perchè, a detta dello stesso Pagenaud, la macchina era da top 5. Qualche settimana più tardi il francese ha poi una terza occasione per mettersi in mostra quando problemi di visto impediscono a Simona De Silvestro di correre a Sonoma. Il fine settimana è però piuttosto incolore. Qualificatosi 22°, perde un giro nella fase centrale tentando una strategia alternativa e alla fine si classifica in 15° piazza.
Nonostante le ultime due uscite non proprio brillanti, soprattutto a causa della scarsissima preparazione dettata dalle circostanze, la bella prestazione di Barber, unita all’ottimo test di Mid Ohio e al supporto della Honda, estimatrice di Simon dai tempi dell’ALMS, convincono Sam Schmidt a mettere il francese su una delle nuove DW12 per il 2012. Nella squadra americana Pagenaud ritrova anche Ben Bretzman, ingegnere di pista conosciuto ai tempi del team Highcroft, con il quale costruirà una saldissima intesa.
Approdato finalmente nella tanto desiderata IndyCar, la stagione 2012 parte con un buon sesto posto a St. Pete, dove Simon rimonta dalla 16° casella in griglia nonostante un’ala danneggiata, arrendendosi solo nel finale a un bel sorpasso di Briscoe. Un’altra solida prova lo vede poi terminare quinto a Barber in scia a Rahal e Castroneves, ma è a Long Beach che mette il paddock in allarme. Partito 4°, su una strategia di tre soste il francese supera infatti uno a uno gli avversari in risparmio di etanolo, arrivando a meno di mezzo secondo da Power, che chiude vittorioso precedendo l’ex compagno di squadra, al primo podio stagionale. La serie di risultati che porta Pagenaud al terzo posto in classifica si interrompe però a San Paolo, dove parte dalle retrovie, è coinvolto in vari contatti e alla fine chiude fuori dalla top ten. L’esordio alla Indy500 poi è indolore ma anche incolore. L’ex campione ALMS si tiene infatti fuori dai guai per tutto il mese, ma il team Schmidt non riesce mai a trovare il bandolo dalla matassa tecnica, non permettendo al suo pilota di andare oltre un deludente 16° posto.
I punti ricominciano comunque ad arrivare a Detroit, dove Simon chiude un podio tutto Honda dietro il dominatore Dixon e Franchitti, che lo beffa all’ultima ripartenza. Dopo le difficoltà di Indianapolis, il Texas vede poi una bella risposta, con un solido sesto posto conquistato al termine di una gara difficile per via del basso carico e dell’alto degrado delle gomme. Gli alti e bassi sugli ovali proseguono poi con una corsa problematica a Milwuakee, cui segue la bella rimonta dell’Iowa, dove Simon parte ultimo, perde un giro nelle prime fasi ma poi recupera, risalendo a suon di sorpassi fino al quinto posto finale. Toronto è invece un’occasione sprecata a causa della strategia, che nel finale costringe il francese a un rabbocco, e di una discutibile penalità per blocking su Newgarden, che lo estromette dalla top ten. Non va meglio a Edmonton, dove è centrato da Kimball all’ultimo giro al termine di una corsa incolore, ma il riscatto arriva a Mid Ohio con un terzo posto strappato a Bourdais dopo l’ultima sosta. Una corsa tranquilla, ripartenze a parte, a Sonoma frutta un altro piazzamento in top ten, cui segue un altro terzo posto a Baltimora, dove Simon guida il gruppo nella fase centrale ma cede la testa ad Hunter-Reay durante le soste ed è poi beffato da Briscoe nelle ultime concitate ripartenze. Una prova solida nella chiusura stagionale a Fontana è infine rovinata da problemi di surriscaldamento che lo costringono fuori dai primi 10. Simon chiude così al quinto posto una stagione d’esordio estremamente positiva, in cui il francese ha ampiamente convinto, mancando solo l’appuntamento con la vittoria.
Con una stagione d’esperienza alle spalle, nel 2013 da Pagenaud si aspettano vittorie e possibilmente un ruolo attivo nella lotta per il titolo. Ci crede anche Sam Schmidt, che raddoppia gli sforzi schierando una seconda vettura per il campione IndyLights Tristan Vautier. A sorpresa nelle prime prove è proprio il più giovane dei due francesi a mettersi in mostra con delle qualifiche eccellenti e grande grinta. Quella di St. Pete è invece una falsa partenza per Simon, che si qualifica male ed è messo fuori gara da uno scarico rotto. La forma sul giro secco non cambia nelle corse successive di Barber, Long Beach e San Paolo, dove però la strategia e un buon passo fruttano tre piazzamenti in top ten. Indianapolis vede poi un discreto miglioramento rispetto all’esordio del 2012, con una rimonta dalla 7° fila fino all’ottavo posto finale. Lontano dai risultati attesi, Simon riesce comunque a limitare i danni portando sempre a casa punti per la classifica. Alcune modifiche dopo una gara 1 deludente a Detroit danno poi una scossa alla stagione. Dalla terza fila Simon si porta infatti subito in terza piazza e su gomme dure nel tratto centrale di gara impone un ritmo impossibile per tutti, prendendo definitivamente al comando dopo l’ultima sosta per conquistare il primo successo in IndyCar. Le due corse difficili di Texas e Milwaukee sono poi seguite da due solidi sesti posti in Iowa e Pocono, a riprova di una consistenza team-pilota ancora tutta da verificare sugli ovali.
Le cose dovrebbero migliorare nel doppio appuntamento di Toronto, ma problemi ai freni relegano il francese all’ottavo posto in gara 1, mentre la seconda frazione è subito compromessa da un problema al rifornimento che gli costa un giro. Con 6 corse ancora da disputare, Simon naviga così a oltre 100 punti dal capo classifica Castroneves, ma il bel secondo posto di Mid Ohio dietro un Kimball veloce come in poche altre occasioni, inaugura una sequenza di 4 arrivi in top 5. Tenersi fuori dai guai nelle innumerevoli ripartenze di Sonoma frutta un quinto posto e ancora meglio va a Baltimora, dove gli incidenti sotto la bandiera verde si sprecano e Simon, unico a tenere vagamente il passo di Dixon e Power, è bravo a farsi largo a ruotate nella confusione finale, cogliendo il secondo successo stagionale davanti a Newgarden e Bourdais. Un assetto votato a stint lunghi lo penalizza un po’ nelle tante bandiere gialle di gara 1 a Houston, dove perde e guadagna posizioni chiudendo infine quarto. E’ poi sesto nella seconda frazione, risultato che lo estromette dalla corsa al titolo per via dei 55 punti da recuperare sul leader Dixon. Problemi di assetto e poi di motore rovinano l’ultima prova di Fontana, che non toglie però a Simon la soddisfazione di chiudere terzo in campionato e migliore dei non top teams.
Nulla cambia nel programma #77 per il 2014, mentre dall’altra parte del box Tristan Vautier lascia spazio al russo Mikhail Aleshin, già avversario di Simon ai tempi della World Series. Affermatosi come potenziale pretendente al titolo, il francese è chiamato a confermare il suo modo di correre aggressivo e intelligente, cominciando però a mettere a segno punti pesanti anche sugli ovali. La nuova stagione nelle prime corse si avvia sullo stesso solco tracciato a fine 2013. Simon centra infatti una serie di buoni piazzamenti che lo vede recuperare fino al quinto posto a St. Pete, risultato che replica nel secondo appuntamento di Long Beach, dove è bravo a rimontare dopo aver perso un giro quando Power lo spinge contro le gomme, episodio che innesca una certa animosità tra i due, amici ed ex compagni di squadra. Ancora a stretto contatto in Alabama, sul bagnato Simon è bravo a recuperare da un errore iniziale, chiudendo al quarto posto davanti all’australiano anche grazie alla velocità dei meccanici in pit lane. Partito in seconda fila, nel successivo Indy Gp il francese si installa subito in seconda piazza ed è poi bravo nel finale a distanziare Hunter-Reay in una gara giocata sui consumi, conquistando il primo successo stagionale. Neanche il casco di Ayrton Senna, suo idolo di infanzia, gli porta però molta fortuna nella 500 miglia, dove parte in seconda fila e perde un giro nelle fasi centrali, per poi risalire fino al 12° posto finale. Un raro errore mentre lotta, guarda caso, con Power, lo spedisce poi contro il muro in gara 1 a Detroit, dove porta comunque un po’ di punti a casa, chiudendo sesto nella seconda frazione. La successiva trasferta texana comincia poi con una bella prova costantemente in top 5 a Fort Worth, che frutta un quarto posto, seguito dal doppio appuntamento di Houston, dove Simon parte in pole in gara 1 ma è attardato da problemi ai freni e poi messo KO da un contatto con la vettura incidentata di Dixon. Risolti i problemi in gara 2 invece non ha rivali, vincendo un duro confronto con Castroneves e staccando il gruppo a ogni ripartenza per conquistare il secondo successo stagionale, che lo porta a 59 punti dal capo classifica Power.
Un discreto sesto posto, unito ai problemi dell’australiano, permettono a Simon di accorciare ulteriormente le distanze a Pocono, mentre in Iowa i problemi delle Penske gli permettono di contenere i danni provocati da una bandiera gialla sfortunata e un ultimo stint problematico. In gara 1 a Toronto una buona strategia gli permette poi di recuperare fino al quarto posto da un contatto con Filippi e relativo testacoda al primo giro, mentre la seconda frazione è subito compromessa da problemi elettrici. Due piazzamenti nella parte bassa della top ten a Mid Ohio e Milwaukee fanno però precipitare Simon a 92 punti da Power, ma dopo aver tribolato non poco durante le prove, un insperato terzo posto a Sonoma, unito ai problemi dell’australiano lasciano una remotissima speranza di titolo a Fontana, che come le altre 500 miglia assegna punteggio doppio. Gravi problemi d’assetto lo escludono però subito dalla lotta, costringendolo a chiudere in fondo al gruppo e quinto in classifica generale alle spalle di Dixon e Montoya, meno competitivi durante la stagione ma premiati dall’assurda regola dei punti doppi.
Nel mirino dei top teams da due stagioni, nel 2015 Simon lascia il team Schmidt accasandosi non da Ganassi, come supposto l’anno prima, o da Andretti, come il rapporto con la Honda farebbe pensare, ma bensì da Roger Penske, che per la prima volta decide di schierare ben 4 macchine. Nella stagione d’esordio degli aerokits Simon prende quindi i comandi della Dallara-Chevrolet numero 22, ponendo fine a un felicissimo rapporto con la Honda ma non con Ben Bretzman, che lo segue nella nuova avventura. Il trio di stelle è poi completato dallo stratega Kyle Moyer, in arrivo dal team Andretti. Dopo gli egregi risultati con una piccola realtà come Schmidt, Pagenaud alla Penske è subito atteso tra i principali protagonisti, ma la stagione viene invece azzoppata da varie sfortune, oltre che dallo scarso affiatamento tra grandi individualità che devono però imparare a lavorare insieme.
A St. Pete Simon conquista la prima fila al fianco di Power in un poker Penske, ma in gara si dimostra meno incisivo dei compagni, arrivando quinto dopo aver rovinato l’ala anteriore in un contatto con Rahal. Un piazzamento in top 10 nel bagnatissimo GP di Louisiana sfuma invece nel finale quando Hunter-Reay lo spinge sull’erba, innescando un contatto che coinvolge anche Bourdais. Una prestazione positiva ma non esaltante frutta poi un quarto posto a Long Beach, seguito da una nona piazza in Alabama per via di una strategia errata. Segue quindi l’Indy GP, dove una sosta lenta e un guasto al cambio gli negano un probabile podio. Maggio si conclude poi con la Indy500, in cui Simon può per la prima volta puntare al successo. Per tre quarti di gara è infatti autore della prestazione migliore dell’anno, alternandosi in testa alla corsa con Dixon e Kanaan. Un’ala danneggiata nel finale gli costa però una sosta supplementare, relegandolo al 10° posto. Nel convulso fine settimana di Detroit meteo, bandiere gialle e strategia concorrono sia al terzo posto in una gara 1 accorciata per via dei fulmini, che al serbatoio vuoto nel finale della seconda frazione. Non va meglio in Texas, dove chiude staccato, retrocedendo nel gruppo in crisi d’assetto dopo aver battagliato in testa con Power per i primi 100 giri. Bandiere gialle e strategia cospirano poi ancora a Toronto, dove Simon parte in prima fila e battaglia a lungo con il solito Power, chiudendo però solo 11° non destreggiandosi molto bene nel traffico. La prima pole in IndyCar frutta invece un mediocre nono posto nel caos di Fontana, seguito da due corse opache a Milwaukee e Iowa che precedono il podio di Mid Ohio, dove il francese si accoda a Rahal e Wilson, tutti beneficiari di una bandiera gialla (per una volta) fortunata, contenendo l’altrimenti dominatore Dixon fino al traguardo. Simon è poi ancora protagonista nell’ultima 500 miglia stagionale a Pocono, dove parte in prima fila e comanda a lungo, rimanendo però intruppato nel traffico nel momento topico. Una prova incolore a Sonoma chiude quindi una stagione deludente, in cui più che la velocità pura sono un po’ di fortuna e anche di sfrontatezza a fare difetto a Pagenaud, talvolta inaspettatamente incerto nella battaglia con i compagni di squadra, con cui comunque instaura un’ottima collaborazione.
Incassata la fiducia di Roger Penske e Tim Cindric nonostante una difficile stagione d’esordio con il team, Simon si presenta al primo appuntamento del 2016 forte di una maniacale preparazione psico-fisica, oltre che di una squadra finalmente coesa e affiatata. I risultati del lavoro si vedono solo parzialmente però a St. Pete, dove il francese perde una corsa dominata subendo un bel sorpasso all’esterno da Montoya in ripartenza. Dopo un secondo posto senza possibilità di sorpasso nella processione di Phoenix, Long Beach da il primo forte segnale di come la musica sia cambiata rispetto al 2016. La corsa vive sul duello con Dixon, che Simon supera aggressivamente nelle prime fasi, tornando definitivamente davanti all’ultimo pit stop con un taglio della riga bianca di rientro in pista che fa polemica nonostante in molti, compreso Dixon, lo imitino. Con un occhio sulla strada e uno sugli specchietti il francese controlla comunque il 4 volte campione, conquistando il primo successo per Roger Penske. Nonostante un week end dominato, il bis in Alabama arriva invece al termine di un vivace scambio di ruotate con Rahal, che nel traffico spedisce il francese nella sabbia ma è poi costretto a cedere da un baffo a penzoloni. Non c’è invece discussione nel Gp di Indy, dove Simon è semplicemente fuori portata per tutti. Il francese si presenta quindi con un ampio margine di punti alla Indy500, segnalandosi come l’unica Penske con velleità di successo, fino a quando non rimane attardato da problemi di misfire.
La prima frazione del Dual in Detroit sembra poi restaurare il solito dominio, ma una sfortunata sequenza di bandiere gialle scombina la strategia, relegandolo fuori dalla top ten. In gara 2 si rivede invece Will Power, che supera abilmente il compagno in una ripartenza, precedendolo sul tragardo dopo aver raccolto il comando da Castroneves, beffato da una bandiera gialla. L’australiano mena le danze anche a Road America, dove Simon deve rinunciare alla battaglia a causa di problemi al propulsore nelle ultime fasi. Dopo un solido quarto posto in Iowa, a Toronto la solita bandiera gialla punisce paradossalmente le doti di risparmio di Dixon e del francese, che si ritrovano invischiati nel gruppo mentre Power va a vincere. Il capo classifica rimette però a posto le cose a Mid Ohio, avendo la meglio sul compagno/rivale al termine di uno spettacolare duello che li vede scambiarsi ruotate per mezza pista. Uno strano incidente a Pocono tiene aperto il discorso titolo, ma in Texas Simon argina la rimota di Power, prendendosi non pochi rischi per recuperare un giro nel traffico per poi accontentarsi del quarto posto nella tesissima volata finale. L’incidente dell’australiano con Kimball rende fruttuosa anche la complicata corsa di Watkins Glen, permettendo a Pagenaud di presentarsi a Sonoma con 43 punti di vantaggio, un margine di relativa tranquillità, nonostante la minaccia dei punti doppi. Il francese non lascia comunque nulla al caso, dominando il week end in lungo e largo per cogliere la 5° vittoria stagionale e il primo titolo IndyCar in carriera.
Vincere è difficile, ripetersi di più e dopo il dominio nel 2016, con il numero 1 sul muso Pagenaud è atteso alla riconferma, in una stagione di transizione che vede il passaggio alla Honda del team Ganassi e l’arrivo di Newgarden alla Penske, in sostituzione di Montoya. A cambiare però sono anche i freni, che nelle prime gare fanno tribolare non poco il francese. Solo una bandiera gialla fortunata gli permette infatti di mettere una pezza a una brutta qualifica e arrivare secondo a St. Pete, alle spalle di un ben più veloce Bourdais. Un’altra partenza dalle retrovie a Long Beach, questa volta per una penalità, vede una gara di tutt’altro spessore, con una rimonta che si ferma al quinto posto per via di una foratura a metà gara. Mai veloce come Power e Newgarden, in Alabama Simon coglie invece un buon terzo posto al termine di una corsa regolare ma non esaltante. A lungo secondo dietro Power, nella solita processione di Phoenix il francese approfitta invece di una bandiere gialla fortunata per staccare il rivale e cogliere il primo successo su ovale, a coronamento di un inseguimento durato 5 anni. Un’altra corsa consistente lo vede poi quarto nel GP di Indy, in cui sia Power che Dixon rosicchiano punti alla sua leadership in campionato, che perde in una Indy500 sfortunata per tutti i contendenti al titolo. A un Dual in Detroit agrodolce segue l’appuntamento del Texas, dove Simon si installa a lungo alle spalle di Power, in un tandem Penske che si ricompone sul traguardo dopo l’incidente che elimina Sato e Dixon.
Attesa a un dominio totale dopo le prove, a Road America la Penske vive un brutto risveglio in gara, dove Dixon beffa i quattro alfieri del Capitano, con Pagenaud quarto al traguardo. Dopo un discreto settimo posto in Iowa, a Toronto si rivede il Pagenaud dominatore del 2016, almeno fino a quando una bandiera gialla sfortunata non lo spedisce nel gruppo, relegandolo al quinto posto finale. Mai veloce come Newgarden e Power, si piazza poi al quarto posto sia a Mid Ohio che a Pocono. La lotta per il titolo, che vede Dixon e i quattro piloti Penske racchiusi in 42 punti, perde Power a St. Louis, dove l’australiano esce di scena già al primo giro. Pagenaud invece bracca Newgarden fino all’ultimo pit stop, quando i suoi meccanici lo spediscono al comando. Date le difficoltà di sorpasso il francese sembrerebbe avere la corsa in tasca, ma nel finale Newgarden trova un pertugio insperato in curva 1, spostando letteralmente Pagenaud, che evita il contatto col muro ma è costretto a lasciar passare anche Dixon, chiudendo terzo e imbufalito al traguardo. Ingannato dalle previsioni che promettono pioggia, Simon toppa poi l’assetto a Watkins Glen, chiudendo solo nono. Peggio però va a Newgarden, che centrando goffamente il muro in uscita dalla pit lane mantiene il discorso titolo aperto fino a Sonoma, dove si presenta con 3 punti su Dixon, 22 su Castroneves e 34 su Pagenaud, che grazie ai doppi punti può ancora sperare. Partito terzo, il francese si imbarca in una coraggiosa strategia su 4 soste che però paga, rispedendolo davanti a Newgarden dopo l’ultima sosta e permettendogli di conquistare il secondo successo stagionale. La piazza d’onore consegna comunque un meritato titolo all’americano mentre Simon cede onorevolmente lo scettro di campione, piazzandosi secondo a soli 13 punti.
L’arrivo del nuovo aerokit a bassa deportanza nel 2018 rendono ottimista Pagenaud, sicuro di poter beneficiare del suo stile pulito. I test invernali lasciano però qualche dubbio sulla forma del francese, quasi sempre più lento dei compagni e raramente in evidenza. I sospetti diventano presto certezze a St. Pete, dove a una qualifica rovinata dalla pioggia segue una gara scialba che si chiude fuori dalla top ten. Non va meglio a Phoenix, dove Simon parte in prima fila, non riuscendo però a riemergere dalla pancia del gruppo dopo una prima sosta problematica. Che la stagione sia in salita lo si capisce ancor di più a Long Beach, dove un promettente terzo posto in qualifica è vanificato da una tamponata di Rahal alla prima curva. Una litigata post gara con il doppiato Gabby Chaves, reo di averlo tenuto dietro per metà gara, è il manifesto di un’altra prova mediocre a Barber, cui segue un altro disastro al primo giro al Gp di Indy, dove Simon è incolpevolmente spedito nella sabbia da Jordan King.
Dopo essersi visto soffiare la pole da Ed Carpenter, è poi protagonista di una Indy500 vissuta nei piani alti, ma senza il guizzo per inserirsi nel discorso vittoria, che va invece al compagno Power, con Pagenaud solo sesto. Dopo la buona velocità mostrata a Long Beach, il doppio appuntamento di Detroit scorre via senza alcun sussulto, alle prese con un passo gara mediocre. Nonostante alcuni problemi di gomme nelle prime fasi, in Texas arriva finalmente una boccata d’aria. Simon conduce infatti a lungo le prime fasi e nel finale, pur non potendo competere con Dixon, rintuzza per venti giri i veementi attacchi di Rossi, portando a casa il primo podio dell’anno. A Road America ritornano però le difficoltà in qualifica, che costringono il francese a prendere il via dal 13° posto. Nonostante un buon passo gara, il traffico e l’assenza di bandiere gialle non permettono una efficace rimonta, che si ferma al 7° posto dopo aver piegato nel finale la resistenza di Jones e Pigot. Dopo un altro discreto piazzamento in top ten in Iowa, a Toronto si rivede un Pagenaud degno delle due stagioni precedenti, terzo in qualifica e bravo a sfruttare le difficoltà dei principali rivali per portare a casa un secondo posto al termine di un duro confronto con Robert Wickens.
A Mid Ohio va però in scena una replica di quanto visto a Road America. A un imbarazzante 17° piazza di qualifica segue infatti una lenta rimonta che si chiude all’8° posto finale. Dopo la bella prova del Texas, il ritorno sul veloce ovale di Pocono frutta però solo uno scialbo ottavo posto, cui segue invece una prova ben più vivace a St. Louis, dove pur non potendo contrastare il vincitore Power, Simon porta chiude quarto in scia al capo classifica Dixon. Una settimana più tardi le qualifiche di Portland segnano però il punto più basso della stagione, con un 22° posto in qualifica che solo grazie ad una fortunata strategia si trasforma in una buona 6° piazza sul traguardo. Il terreno amico dell’ultima prova a Sonoma vede invece una qualifica decente (8°) fruttare un quarto posto finale, buono per una sesta posizione in classifica, ben lontano dai compagni Power e Newgarden che, pur non esenti da errori, molto meglio del francese si sono adattati al nuovo aerokit, portando a casa 3 vittorie a testa. Incassata la conferma da parte di Roger Penske, si spera di vedere nel 2019 un Pagenaud nuovamente sicuro dei propri mezzi e in pace con una vettura con cui lui e il suo ingegnere Ben Bretzman hanno faticato a ragionare per l’intera stagione.
Anno | Serie | Squadra | N | Sponsor | Gare | Pos. Finale | Punti | Vittorie | Podi | Top5 | Top10 | Pole P. | LL | L | GPV |
2007 | ChampCar | Walker | 15 | Aussie Vineyeard | 14 | 7 | 232 | 0 | 0 | 6 | 10 | 0 | 19 | 3 | 0 |
2011 | IndyCar | D&R/HVM | 24 | 3 | 32 | 52 | 0 | 0 | 0 | 1 | 0 | 0 | 0 | nd | |
2012 | IndyCar | Schmidt | 77 | HP | 15 | 5 | 387 | 0 | 4 | 6 | 9 | 0 | 63 | 3 | nd |
2013 | IndyCar | Schmidt | 77 | HP | 19 | 3 | 508 | 2 | 3 | 5 | 13 | 0 | 39 | 3 | 1 |
2014 | IndyCar | Schmidt | 77 | Oculus | 18 | 5 | 565 | 2 | 3 | 8 | 12 | 1 | 59 | 4 | 2 |
2015 | IndyCar | Penske | 22 | Avaya | 16 | 11 | 384 | 0 | 2 | 4 | 9 | 1 | 132 | 6 | 0 |
2016 | IndyCar | Penske | 22 | Menard’s | 16 | 1 | 659 | 5 | 8 | 10 | 12 | 8 | 406 | 12 | 0 |
2017 | IndyCar | Penske | 1 | Menard’s | 17 | 2 | 629 | 2 | 6 | 13 | 15 | 1 | 187 | 6 | 2 |
2018 | IndyCar | Penske | 22 | Menard’s | 17 | 6 | 492 | 0 | 2 | 4 | 14 | 0 | 31 | 4 | 0 |
Carriera | 135 | 3908 | 11 | 28 | 56 | 95 | 11 | 936 | 41 |
Vittorie | Stradali | Cittadini | Ovali | Totale | |||||
2007 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||
2011 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||
2012 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||
2013 | Detroit 2 | Baltimore | 0 | 2 | 0 | 2 | |||
2014 | Indy GP | Houston 2 | 1 | 1 | 0 | 2 | |||
2015 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||
2016 | Long Beach | Barber | Indy GP | Mid Ohio | Sonoma | 4 | 1 | 0 | 5 |
2017 | Phoenix | Sonoma | 1 | 0 | 1 | 2 | |||
2018 | 0 | 0 | 0 | 0 | |||||
Totale | 6 | 4 | 1 | 11 | |||||
Quote | 54,5% | 36,4% | 9,1% | 1 |
Immagine di copertina: LAT Photographic, autoweek.com