2019 – Anteprima

Foto di copertina: indycar.com, Stephen King

 

SOMMARIO

  1. INTRODUZIONE
  2. CALENDARIO
  3. IL NUOVO AEROKIT
  4. CAMPIONATO COSTRUTTORI
  5. SQUADRE E PILOTI
  6. IL RACCONTO DELLA STAGIONE

 

 

  1. INTRODUZIONE

Dopo infinite stagioni di perenne transizione, l’IndyCar può finalmente vivere quella che abbiamo davanti come un’annata di relativo assestamento. Digerito il ritorno a un aerokit unico, dato ormai per assodato il congelamento dei motori in vista delle nuove unità nel 2021, le principali novità della stagione sono di carattere organizzativo-commerciale. Il duo Miles-Frye si è fatto trovare pronto dopo l’uscita di scena di Verizon, title sponsor della serie dal 2014, incassando il supporto del colosso giapponese NTT, azienda leader nel campo ICT e proprietaria del marchio NNT Data, già da anni presente nel campionato come sponsor del team Ganassi.

Sul fronte televisivo, storico tallone d’Achille delle ruote scoperte americane e vera e propria zavorra dell’ultimo decennio, la serie ha finalmente trovato una sistemazione stabile nel mondo NBC, ormai vera casa dei motori avendo in mano i diritti anche di Nascar e IMSA. L’accordo siglato a metà 2018 garantisce infatti al campionato ben 8 corse trasmesse in chiaro (erano solo 5 negli ultimi anni), tra cui ovviamente la 500 miglia di Indianapolis, già oggetto di una aggressiva promozione, dopo gli anni di “sopportazione” di ABC, abbandonata dal Brickyard dopo oltre 50 anni. La scadenza del contratto con ESPN ha portato anche alla ridiscussione dei diritti internazionali, con alterne fortune. Se nientemeno che SKY F1 trasmetterà gare e qualifiche nel Regno Unito, mercati fondamentali come Canada e Australia si ritrovano invece con accordi capestro. Un paradosso considerando la provenienza dei vincitori uscenti di campionato e Indy 500, nonchè le trattative su un possibile ritorno a Surfers Paradise. Dopo 8 anni consecutivi su Sky, sarà invece DAZN a trasmettere in Italia la serie per i prossimi due anni.

Sul fronte sportivo sono due i grandi temi della stagione.

In primis la lotta al titolo, in cui Alexander Rossi è atteso al passo finale della sua ascesa tra i piloti di riferimento della serie. L’americano, il personaggio della stagione 2018, dovrà ovviamente vedersela con il pentatitolato Scott Dixon, determinato non solo a confermarsi per la prima volta campione, ma anche a rimpolpare un bilancio di Indy500 che, dopo 16 tentativi con il team Ganassi, appare un po’ povero per un pilota del suo calibro. Rossi dovrà inoltre guardarsi da Newgarden, suo rivale “naturale” per modo di correre e ovviamente nazionalità, voglioso di cancellare un 2018 interlocutorio e rilanciarsi come principale stella del futuro nel panorama motoristico a stelle e strisce.

C’è poi una classe di rookies che promette spettacolo. Le aspettative più alte ricadono senza dubbio su Felix Rosenqvist, vero globetrotter del mondo motoristico, in grado di vincere e convincere praticamente in ogni serie in cui abbia girato il volante. Lo svedese, potenzialmente in grado di inserirsi da subito nel discorso campionato, dovrà guardarsi per la caccia al titolo di rookie of the year dal connazionale Marcus Ericsson, che dopo cinque anni di Formula 1 cerca il rilancio al team Schmidt, raccogliendo la pesantissima eredità di Robert Wickens. A rompere le uova nel paniere scandinavo potrebbe però essere Colton Herta, veloce e aggressivo pilota della joint venture Harding-Steinbrenner, pesantemente supportata dal team Andretti. Il quarto e paradossalmente più atteso è quello che rischiava di non esserci. Abbandonato per mancanza di fondi lo stesso team HSR a poche settimane da St. Pete, il campione IndyLights Patricio O’Ward ha trovato sistemazione per 13 corse al team Carlin, sulla vettura che condividerà con Charlie Kimball. Verosimilmente una stagione di apprendistato per il messicano che però, considerando l’impressionante debutto di Sonoma, potrebbe comunque stupire.

Tra i volti nuovi anche il team Dragon Speed, in arrivo dal mondo dell’endurance, che con l’inglese ex GP2 Ben Hanley si bagnerà i piedi in alcune gare in vista di una possibile espansione l’anno venturo.

Sul fronte calendario l’abbandono di Sonoma conduce al ritorno della serie su un ex feudo CART, Laguna Seca, che chiuderà la stagione come nel periodo 1989 – 1997. Per una tappa storica che torna, un’altra se ne va con Phoenix, che dopo tre anni fallimentari lascia spazio al Circuit of the Americas di Austin, per anni in predicato di entrare in calendario ma sempre osteggiato dal conterraneo Texas Motor Speedway. Il calendario ne guadagna sicuramente un circuito di livello mondiale (nonostante le vie di fuga aeroportuali poco si sposino con lo spirito della serie), ma perde in varietà, con il numero di ovali che scende a cinque, come non accadeva dal 2012.

Nonostante i numeri televisivi rimangano tutt’altro che incoraggianti, l’annuncio di nuovi sponsor, la chiusura di importanti contratti commerciali (tra cui la conferma dell’impegno Firestone fino al 2025) e il previsto arrivo di un terzo costruttore nel 2021 fanno ben sperare un campionato che, a differenza del recente passato, guarda agli anni a venire con speranza e prospettive di crescita.

 

 

 

2. CALENDARIO

Come nelle ultime stagioni, si conferma un calendario di 17 gare. Giunto al termine il fallimentare esperimento di Phoenix, dove l’IndyCar ha dato vita per tre anni a una poco entusiasmante processione, la serie conquista finalmente l’approdo dal Circuit of the Americas di Austin. Per anni osteggiato da Eddie Gossage, presidente del Texas Motor Speedway, il circuito costruito specificamente per la Formula 1 porta a 7 il numero di stradali permanenti in calendario, riducendo il numero di ovali a 5. La seconda grande novità è rappresentata dal ritorno di Laguna Seca, che mantiene in California la prova decisiva del campionato, subentrando a Sonoma.

Gara Data Evento Pista Tipologia Canale
1 10 marzo Firestone Grand Prix of St. Petersburg St. Petersburg Cittadino NBCSN
2 24 marzo IndyCar Classic Circuit of Americas Stradale permanente NBCSN
3 7 aprile Honda Indy Grand Prix of Alabama Barber Stradale permanente NBCSN
4 14 aprile Toyota Grand Prix of Long Beach Long Beach Cittadino NBCSN
5 11 maggio INDYCAR Grand Prix Indianapolis GP Stradale permanente NBC
6 26 maggio 102nd Running of the Indianapolis 500 Indianapolis Super speedway NBC
7 1 giugno Chevrolet Dual in Detroit – Dual 1 Detroit 1 Cittadino NBC
8 2 giugno Chevrolet Dual in Detroit – Dual 2 Detroit 2 Cittadino NBC
9 8 giugno DXC Technology 600 Texas Ovale medio NBCSN
10 23 giugno Road America Grand Prix Road America Stradale permanente NBC
11 14 luglio Honda Indy Toronto Toronto Cittadino NBCSN
12 20 luglio Iowa 300 Iowa Ovale corto NBCSN
13 28 luglio Honda Indy 200 at Mid Ohio Mid Ohio Stradale permanente NBC
14 18 agosto ABC Supply 500 Pocono Super speedway NBCSN
15 24 agosto Bommarito Automotive Group 500 Gateway Ovale corto NBCSN
16 1 settembre Portland International Raceway Portland Stradale permanente NBC
17 22 settembre IndyCar Grand Prix of Monterrey Laguna Seca Stradale permanente NBC

 

 

3. NOVITà TECNICHE

Dopo la semi rivoluzione del 2018 con l’arrivo del nuovo UAK, il 2019 vede solo l’implementazione di alcuni aggiustamenti per andare a correggere le criticità emerse. Se la nuova aerodinamica ha complessivamente convinto su stradali e cittadini, lo spettacolo offerto sui super speedway è stato invece ben al di sotto delle aspettative, a causa di un carico aerodinamico troppo ridotto. La cosa è risultata palmare a Indianapolis, dove un caldo inaspettato ha ridotto notevolmente la deportanza massima disponibile, lasciando le squadre prive di strumenti per correggere la situazione. L’IndyCar ha quindi deciso di introdurre diversi Gurney flap da utilizzare a scelta sugli alettoni, che permetteranno regolazioni aerodinamiche di fino, in grado quanto meno di compensare gli effetti di condizioni aerodinamiche estreme come quelle viste nel maggio scorso.

A questo si è aggiunto il lavoro della Firestone, fresca dell’estensione del contratto di fornitura esclusiva fino al 2025, che nei test di fine stagione 2018 ha introdotto una nuova mescola di gomma, specifica per i super speedway, che dovrebbe aiutare i piloti a “sentire” maggiormente la vettura, a tratti apparsa imprevedibile durante la Indy 500. I giudizi dei piloti coinvolti sono stati entusiasti, ma la prova del nove si avrà chiaramente solo in condizioni gara, specie se si ripeterà il caldo anomalo della passata stagione.

Sul fronte telaio si registra la sola novità del Advanced Frontal Protection, pinna posta di fronte all’abitacolo che sarà introdotta per la 500 miglia di Indianapolis. Il dispositivo, volto a proteggere i piloti da detriti di grandi dimensioni colpiti frontalmente, segna anche la (temporanea?) marcia indietro della serie sul fin troppo pubblicizzato cupolino, che non sembra aver superato i test di impatto su detriti voluminosi.

Modello dell’Advanced Frontal Protection. indycar.com Chris Beatty Design

 

Sul fronte motori è ormai confermato il congelamento quasi totale dei componenti in vista delle nuove unità da 2,4 litri, in arrivo nel 2021. Per i costruttori la battaglia continua a concentrarsi quindi più sul lato software, alla ricerca di una sempre maggiore efficienza e guidabilità. Si attende una riscossa della Honda a Indianapolis, oltre a un maggiore impegno della Chevrolet per ottimizzare lo sfruttamento della coppia ai bassi regimi, tallone d’Achille del propulsore americano. L’unica novità è così la pressione di sovralimentazione sugli ovali corti (Iowa e St. Louis), che verrà portata al livello degli stradali (1,5 bar) nel tentativo di rendere più selettiva la guida e indurre un maggior consumo delle gomme.

 

 

4. SQUADRE E PILOTI

 

Dominatrice a Indianapolis dopo due anni di sofferenza, nel 2018 la Penske ha mancato il campionato per qualche errore di troppo dei suoi piloti e un motore Chevrolet poco amichevole nei cittadini, tipologia di circuito in cui gli uomini del Capitano non hanno messo a segno neanche una vittoria. Immutata nella formazione, la squadra con sede a Mooresville punta ancora una volta al bottino pieno, sperando che la Chevy abbia nel frattempo recuperato il gap di guidabilità con Honda. Nei test il trio di campioni non ha entusiasmato, ma è indubbio che seppur non esenti da punti deboli, sono tutti attesi come sicuri protagonisti.

Pilota Josef Newgarden (USA) Will Power (AUS) Simon Pagenaud (FRA)
Vettura #2 Hitachi #12 Verizon #22 DXC Technology
Motore Chevrolet Chevrolet Chevrolet
Ingegnere Gavin Ward Dave Faustino Ben Bretzman
Stratega Tim Cindric Roger Penske Kyle Moyer
Capo meccanico Vance Welker Matt Jonsson
Difendere il titolo è sempre più difficile che conquistarlo la prima volta e anche Newgarden lo ha sperimentato nel 2018. Il pilota del Tennesse ha confermato grinta e velocità viste nel trionfale 2017, ma sono mancate adattabilità e concretezza. Oltre a qualche errore di troppo, deve ancora imparare quella capacità di portare sempre a casa il massimo possibile, tipica dei grandi campioni. Nel finale di stagione è sembrato avere poca “fame”, scivolando dietro a Rossi come miglior americano. Orgoglio e maturazione dovranno quindi ben bilanciarsi nel 2019. Tolto dalle spalle il peso della vittoria a Indy, la seconda metà di stagione ha mostrato il miglior Will Power, concreto, determinato e velocissimo. Peccato che oltre alla consueta sfortuna non siano mancati qua e là quegli errorini che pesano sempre a fine campionato. Per competere con Dixon e Rossi le singole vittorie infatti non basteranno e a Power, efficacissimo sugli ovali ma non più imbattibile su stradali e cittadini, sarà richiesto quello che non gli è mai riuscito: una stagione senza alti e bassi, costantemente in top 5. Dopo un 2017 reso deludente solo dalle impossibili aspettative successive al 2016, quella finita a settembre è stata senza dubbio la peggior stagione di Pagenaud in IndyCar. Pur avendo visto chiudersi senza colpa alcune delle corse più promettenti, il francese ha semplicemente faticato a trovare un bilanciamento gradito, riuscendo solo saltuariamente in gara a mettere una pezza a delle qualifiche al limite dell’umiliante. A guardare le classifiche dei test la risposta tecnica ai suoi mali non sembra ancora essere arrivata. E’ però chiaro che una terza stagione infruttuosa (2015, 2018) non sarà tollerata da Penske.

 

 

A due anni dal comprensibile ma, col senno di poi, poco lungimirante passaggio alla Chevrolet, il team Foyt si ritrova a metà di quel piano triennale che dovrebbe finalmente smuovere la squadra dal ruolo di cenerentola del campionato. L’arrivo di Scott Harner dal team Ganassi va a rinforzare uno staff tecnico-manageriale di grandi individualità, ma che per il momento ha faticato a trovare il giusto amalgama. Competitiva ma sfortunata su alcuni ovali, la squadra deve necessariamente mostrare progressi su stradali e cittadini, sperando che i piloti si dimostrino in grado di capitalizzare le occasioni.

Pilota Matheus Leist (BRA) Tony Kanaan (BRA)
Vettura #4 ABC Supply #14 ABC Supply
Motore Chevrolet Chevrolet
Ingegnere Mike Colliver Eric Cowdin
Stratega Larry Foyt George Klotz
Capo meccanico
Esaltante ma sfortunato nella corsa inaugurale di St. Pete, Leist è praticamente scomparso nel resto della stagione, quando i team rivali hanno dimostrato di saper comprendere molto più velocemente della squadra texana il nuovo aerokit. Il salto dalla serie cadetta è stato probabilmente troppo anticipato, ma un anno di esperienza alle spalle potrebbe permettergli di sfruttare meglio le occasioni che la strategia presenterà. Ancora capace di qualche bello spunto e in grado di sfruttare le poche occasioni, Kanaan è reduce da un 2018 sfortunato. Le due gare migliori della stagione, Indy e Texas, sono infatti state rovinate da sfortune e problemi tecnici. Dati i limiti di team e pilota, non è il caso di aspettarsi particolari guizzi per buona parte dell’anno, ma se la Chevrolet dovesse confermarsi al top, il brasiliano rimane un outsider di lusso per la Indy 500, l’unica gara realmente importante per patron Foyt.

 

Superato lo shock per l’incidente di Wickens il team Schmidt, forte del supporto su entrambe le vetture del fedele sponsor Arrow Electronics, si ripresenta ai nastri di partenza determinato a ridurre il gap dai top teams. Per questo la squadra ha portato avanti un costoso programma di sviluppo invernale, che dovrebbe aiutare a risolvere il principale problema incontrato nel 2018: l’eccessiva usura delle gomme. I test non sembrano però aver regalato tutte le conferme attese e l’assenza di Wickens, in prodigioso recupero dal terribile incidente di Pocono, rischia di lasciare il team ancora una volta senza una figura guida.

Pilota James Hinchcliffe (CAN) Marcus Ericsson (SWE)
Vettura #5 Arrow Electronics #7 Arrow Electronics
Pacchetto tecnico Honda Honda
Ingegnere Will Anderson Blair Perschbacher
Stratega Taylor Kiel Nick Snyder/Piers Phillips
Capo meccanico  Billy Vincent
Ancora supportato da Will Anderson, promosso ingegnere di pista a metà 2018, dopo una stagione all’ombra di Wickens James Hinchcliffe è richiamato a ricoprire il ruolo di capitano. Dopo tanti anni in attesa del salto di qualità, è ormai chiaro che il canadese non è un campione in grado di puntare al titolo. Qualche vittoria di tappa è però come sempre alla sua portata, nella speranza che la squadra eviti il solito tracollo nel finale di stagione. Per tenere a galla le sue quotazioni battere Ericsson è un obiettivo obbligato. Ennesima transfuga F1 in cerca di rilancio, Marcus Ericsson approda in IndyCar raccogliendo la pesante eredità di Wickens. Totalmente digiuno di ovali, alla prima esperienza con le particolarità delle piste USA, per il pilota svedese si preannuncia un’annata di apprendimento. Veloce a sprazzi nei test, l’ex pilota Sauber sta infatti ancora digerendo la transizione a una vettura molto meno precisa e ai tanti bumps degli asfalti americani. Se saprà farsi trovare pronto potrebbe mettere a segno qualche bel risultato qua e là, ma la prospettiva più plausibile è una replica degli anni di Chilton in Ganassi.

 

 

Apparso in netta difficoltà fino a Indianapolis, ancora una volta il team Ganassi ha trovato la forza e le risorse per rivoltare la stagione, andando a cogliere l’ennesimo titolo. Più che di team si dovrebbe però parlare di crew, la #9, perchè nonostante l’ottimizzazione delle risorse permessa dalla riduzione a due vetture, la vettura #10 ha continuato a stazionare fuori dalla top 5 come succede ormai dai tempi del ritiro di Franchitti. La musica sembra però destinata a cambiare e già quest’anno Chip Ganassi potrebbe puntare al titolo con due piloti, come non accadeva dal 2011.

Pilota Scott Dixon (NZL) Felix Rosenqvist (SWE)
Vettura #9 PNC Bank #10 NTT DATA
Motore Honda Honda
Ingegnere Chris Simmons Julian Robertson
Stratega Mike Hull Barry Wanser
Capo meccanico Blair Julian Kevin O’Donnell
Gli aggettivi ormai cominciano a mancare per un pilota che sembra migliorare con gli anni. Scott Dixon non è il miglior pilota della serie probabilmente in nessuna caratteristica specifica, ma  sa combinare le principali qualità richieste ad un campione meglio di chiunque altro. Le inattese difficoltà in qualifica del 2018 potrebbero suonare però come un campanello d’allarme per il tetracampione che, ormai disabituato a una feroce lotta interna, avrà il suo bel da fare per contenere un pilota dotato del potenziale per diventare il suo erede. Nel mirino di Ganassi da ormai tre anni, Felix Rosenqvist approda finalmente in IndyCar e il suo arrivo può essere davvero prorompente. Sostenuto da una crew assettata di successo dopo anni di magra, nei test lo svedese ha già mostrato di potersela giocare con Dixon sul piano della velocità. L’esperienza in Formula E sarà preziosa per adattarsi alle strategie risparmiose della IndyCar, mentre l’infinito numero di vetture condotte in carriera dovrebbero rendere l’adattamento alle gomme rosse non troppo traumatico. Già esposto all’ambiente e alle piste USA dalla mezza stagione 2016 in IndyLights, l’incognita rimangono gli ovali, dove il supporto di Dixon e del manager comune Johansson sarà fondamentale. Ha la testa e il piede per sognare da subito il titolo.

 

 

Il raddoppio delle forze in campo sembrava poter essere la panacea di tutti i mali del team Rahal, ma il 2018 è stato per molti versi la peggiore delle ultime 4 stagioni. Sempre nella parte bassa della top ten e incapace di far fruttare le occasioni (a eccezione della fortunosa vittoria di Sato a Portland) per via di errori e sfortune, la squadra di Bobby Rahal punta ancora sul rafforzamento del comparto tecnico, strappando a Ed Carpenter Allen McDonald. I test, indicativi fino a un certo punto, non sembrano però prospettare una presenza fisso del duo nippo-americano nelle posizioni che contano.

Pilota Graham Rahal (USA) Takuma Sato (JPN)
Vettura #15 United Rentals #30 Panasonic
Motore Honda Honda
Ingegnere Tom German Eddie Jones
Stratega Ricardo Nault
Capo meccanico Donnie Stewart Brad Wright
Ormai indissolubilmente legato al team di famiglia, Graham Rahal si è garantito un posto fisso in griglia, ma probabilmente non i successi che nel 2015 sembravano possibili. Frenato per anni dal pacchetto Honda, l’americano e la sua squadra non hanno saputo sfruttare come Rossi e Dixon le qualità del propulsore giapponese. A pensar male si potrebbe correlare questa involuzione con il taglio netto di deportanza portato dal nuovo UAK, dalle caratteristiche più simili alla odiata Dallara 2012-2014. L’importante è che la momentanea mancanza di risultati non faccia ripiombare l’americano nel buco nero successivo all’uscita dal team Ganassi. Più bassi che alti nel 2018 nonostante la vittoria di Portland, Takuma Sato rimane una scheggia impazzita nel panorama IndyCar, in grado di esaltarsi quando il mezzo lo permette o in condizioni difficili, ma anche di perdersi nell’anonimato  per numerose gare. Meno costante ma più propenso a sfruttare l’occasione di Rahal, il giapponese può sperare in qualche successo parziale, ma sia lui che il team continuano ad avere la giusta consistenza per sperare di entrare nel discorso titolo.

 

 

 

Maestro nel fare il massimo spendendo il minimo, per il terzo anno consecutivo Dale Coyne mette in campo un programma comunque ambizioso, con il solito Bourdais ancora supportato dal duo Hampson-Boisson. Il francese, croce e delizia della squadra, è chiamato a mantenere alta la tensione, evitando gli errori banali che insieme alla sfortuna hanno rovinato diverse belle gare e la speranza di entrare tra i primi cinque in classifica. Il tetracampione sarà affiancato per tutta la stagione da Santino Ferrucci, poco spettacolare ma solida presenza a centro classifica nelle gare disputate nel 2018. L’americano, totalmente digiuno di ovali, non appare un fulmine di guerra, ma la sua combattività potrebbe portare risultati sorprendenti se una strategia azzardata, specialità della casa, dovesse portarlo nelle posizioni che contano.

Pilota Sebastien Bourdais (USA) Santino Ferrucci (USA)
Vettura #18 Sealmaster #19 Paysafe
Motore Honda Honda
Ingegnere Craig Hampson Michael Cannon
Stratega Dale Coyne Darren Crouser
Capo meccanico    

 

 

 

Un’altra stagione deludente per il team Carpenter, ancora alle prese con piloti forse non pronti a guidare la squadra. L’arrivo di Allen McDonald dal team Schmidt sembrava inizialmente aver rivitalizzato la vettura #20, che nelle mani di Jordan King ha spesso impressionato a inizio stagione, pur raccogliendo meno di quanto meritato a causa di sfortune tecniche e strategiche. Protagonista delle due settimane di Indy500, Ed Carpenter ha corso da campione, mancando però per la terza volta la conversione della pole in vittoria. Dopo un inizio di stagione largamente negativo, Spencer Pigot ha salvato l’annata con il podio dell’Iowa e altri buoni piazzamenti in top ten. La sua maturazione è però più lenta del previsto, lasciando ormai molti dubbi su quel futuro da top driver che in IndyLights era dato per certo.

Pilota Ed Carpenter (USA) Spencer Pigot (USA)
Ed Jones (EAU)
Vettura #20 Fuzzy Vodka #21 Fuzzy Vodka
Motore Chevrolet Chevrolet
Ingegnere Brent Harvey Matt Barnes
Stratega Tim Broyles Brent Harvey
Capo meccanico
Uscito malamente ridimensionato dalla difficile stagione al team Ganassi, Ed Jones riparte da una squadra di medio livello, puntando a smentire i suoi detrattori. Come per Pigot, rivale per il titolo ai tempi della prima stagione in IndyLights, il passo gara non è un problema ma la velocità in qualifica deve necessariamente migliorare. Sugli ovali tornerà Ed Carpenter, vicinissimo alla vittoria a Indy ma tutt’altro che memorabile nelle altre uscite stagionali. Probabilmente dovrebbe limitarsi alla sola Indy500. Alla quarta stagione in IndyCar, seconda full time, per Pigot è ormai il momento della verità. Dopo i progressi del 2017, il 2018 ha segnato un’involuzione inaspettata. Sempre più abile sul passo gara rispetto al giro singolo, se anche quest’anno superare la Q1 dovesse dimostrarsi un ostacolo insormontabile, i risultati continueranno a latitare e a quel punto anche la pazienza di Ed Carpenter potrebbe finire.

 

 

Dopo una stagione d’esordio cominciata tra mille incognite e in perenne inseguimento, il team Carlin si presenta ai nastri di partenza questa volta ben preparato, con all’attivo un buon numero di test. Il miglior tempo a sorpresa di Chilton a Laguna Seca aveva fatto ben sperare, prima di una due giorni a COTA meno esaltante. L’inglese, pur con tutti i suoi limiti specialmente sui cittadini, potrebbe spingersi in qualche occasione fino alla top ten. Proprio alla vigilia di St. Pete il team ha annunciato l’accordo con Patricio O’Ward, che a partire da Austin prenderà parte a 13 prove, compresa la Indy500. Il messicano, totalmente a digiuno di test, dovrà sfruttare tutto il suo strepitoso talento per per sopperire all’inesperienza sua e del team. Nel resto delle corse il volante sarà preso dal Charlie Kimball, garantitosi Indy e altre quattro gare dopo l’abbandono dello sponsor.

Pilota Charlie Kimball (USA) Max Chilton (ENG)
Patricio O’Ward (MEX)
Vettura #23 #59 Gallagher
Motore Chevrolet Chevrolet
Ingegnere Matt Greasley Daniele Cucchiaroni
Stratega Geoff Fickling
Capo meccanico

 

 

Tornato ai livelli del 2012, il team Andretti è forse la squadra più solida del campionato, in grado di lottare per il titolo e puntare al successo praticamente in ogni appuntamento. Dopo anni di purgatorio, il programma di sviluppo ammortizzatori del team non ha più nulla da invidiare a quello di Penske e Ganassi. Con una punta di razza come Rossi, il sempre temibile Hunter-Reay, un Veach atteso ad una decisa progressione e il driver/owner Andretti in lenta ma costante crescita, il team ha tutti gli ingredienti per un’altra stagione da costante protagonista. Una quinta vettura per il carichissimo Conor Daly aumenterà poi le possibilità di successo a Indianapolis.

Pilota Zach Veach (USA) Alexander Rossi (USA)
Vettura #26 Group 1001 #27 Napa Autoparts
Motore Honda Honda
Ingegnere Garrett Mothersead Jeremy Milless
Stratega  Josh Freund Rob Edwards
Capo meccanico
Dopo una tipica stagione da rookie tra errori ma anche grinta e buoni spunti velocistici, Zach Veach è ora chiamato a inserirsi più spesso tra i due capi squadra, puntando anche al primo successo in carriera. Anche lui dovrà però essere bravo a sfruttare un anno di esperienza con le gomme rosse e cominciare a frequentare più spesso non solo la top 10, ma anche la Fast six in qualifica. Il limite più grande di Alexander Rossi? Alexander Rossi. Dopo due anni in continua ascesa, nel 2018 l’americano ha dimostrato definitivamente di avere la stoffa del campione: veloce, aggressivo, efficace su tutte le piste e maestro della strategia. Per fare meglio della passata stagione Rossi, tra i più veloci nei test, dovrà però evitare quelle ingenuità che gli sono costate buona parte dei punti che lo separavano da Dixon a Sonoma. Se in qualche occasione saprà accontentarsi, è sicuramente il favorito n.1 al titolo.
Pilota Ryan Hunter-Reay (USA) Marco Andretti (USA)
Vettura #28 DHL #98 US Concrete
Motore Honda Honda
Ingegnere Ray Gosselin Mark Bryant
Stratega Ray Gosselin Bryan Herta
Capo meccanico
Qual’è il vero Hunter-Reay? Il pilota dominante di Detroit e Sonoma, quello pasticcione di Long Beach o quello impaziente di Pocono?  Dopo l’annata perfetta del 2012 l’americano non ha più saputo mettere insieme una stagione costantemente ad alto livello, frenato da errori evitabili e una sfortuna talvolta al limite del grottesco. In difficoltà con la velocità di Rossi, l’americano ha però ancora la stoffa per puntare al secondo titolo, se come il compagno saprà tenere alta la tensione e non incappare nei soliti incidenti evitabili. Contro la sfortuna invece si può solo sperare. Ormai parlando di Andretti non ci si sbilancia più in domande del tipo “sarà l’anno buono?”. Nonostante i lenti ma costanti progressi delle ultime due stagioni, aspettarsi vittorie o una seria campagna per il titolo è pura utopia. Tenersi davanti a Veach e al quasi compagno Herta sarebbe già un buon risultato per la classifica finale. L’obiettivo vero della stagione è però a fine maggio, quando Marco cercherà di conquistare la seconda vittoria a Indianapolis per la famiglia Andretti a 50 anni dal solitario trionfo di Mario. Successo che darebbe un senso a una carriera.

 

 

Al momento di scrivere le certezze sulla stagione del team Juncos sono due vetture che tenteranno la qualifica a Indy e una per Kyle Kaiser a COTA. Appare quindi chiaro che il team manager argentino punta sul budget di alcuni piloti paganti per accumulare esperienza. L’obiettivo è chiaramente qualificare entrambe le vetture per la 500 miglia, cercando quella stabilità che potrebbe portare a un impegno full time nel 2020. Nel frattempo il team spera di raccogliere soddisfazioni con il suo programma Cadillac in IMSA:

Pilota Kyle Kaiser (USA)
Vettura #32
Motore Chevrolet
Ingegnere
Stratega  Ricardo Juncos
Capo meccanico

 

 

Michael Shank prosegue alla sua maniera, prudente ma deciso, il suo ingresso tra le compagini stabili della serie, estendendo da sei a dieci  gare il programma per Jack Harvey. La maggiore continuità d’azione non potrà che giovare all’inglese, ormai abbonato a presenze spot. L’obiettivo rimane superare la Q1 e portare a casa qualche top 10, senza però perdere l’occasione di tentare un colpaccio come quello sfiorato l’anno scorso a Indy.

Pilota Jach Harvey (ENG)
Vettura #60 AutoNation/Sirius XM
Motore Honda
Ingegnere
Stratega
Capo meccanico Brian Goslee

 

 

Da top team in costruzione il team Harding ha subito un ridimensionamento, di mezzi e aspettative, con la separazione a sorpresa da Pato O’Ward, fenomenale al debutto a Sonoma. Rimane così Colton Herta, da anni ormai sotto la protezione della potente famiglia Steinbrenner. Battuto dal messicano per il titolo IndyLights anche per via di un infortunio patito a Toronto, il californiano ha a dir poco stupito nei test di COTA, guidando tre sessioni su quattro. Nonostante le rassicurazioni del team queste prestazioni, arrivate all’indomani dell’abbandono di O’Ward, lasciano qualche dubbio sulle prospettive di Herta, supportato da Nathan O’Rourke, in arrivo dal team Andretti con cui la squadra collabora tecnicamente. Sempre veloce in IndyLights, il figlio d’arte non è sempre apparso solidissimo mentalmente, faticando in più di un’occasione a controllare la sua aggressività. Sarà sicuramente competitivo a tratti, ma è improbabile che a fine anno possa impensierire Rosenqvist (e forse anche Ericsson) per il titolo di miglior debuttante.

Pilota Colton Herta (USA)
Vettura #88 Harding Group
Motore Chevrolet
Ingegnere Nathan O’Rourke
Stratega Brian Barnhart
Capo meccanico Larry Curry

 

6. RACCONTO DELLA STAGIONE

Alla prima stagionale Will Power conferma ancora il suo straordinario rapporto con il cittadino di St. Petersburg, centrando la sua ottava pole position sulle strade della Florida davanti al compagno Newgarden. Il protagonista delle prime fasi è però il rookie Rosenqvist, che dalla seconda fila brucia subito il campione 2017, prendendo poi il comando con un perentorio sorpasso in ripartenza sull’australiano. Lo svedese sembra avere il passo per andare in fuga, ma un errore durante la prima sosta lo fa precipitare dietro non solo a Power e Dixon, ma anche a Newgarden, che ritardando più di tutti la sosta approfitta della pista libera per prendere il comando. Afflitto anche da problemi fisici, il rookie chiude la gara al quarto posto, non riuscendo a imitare il compagno Dixon, che ha la meglio su Power dopo un esaltante serie di incroci di traiettorie, non riuscendo però a impensierire Newgarden, che nel finale veleggia solitario verso il primo successo stagionale.

Power porta a 56 il suo impressionante monte pole position a Austin, dove l’IndyCar fa il suo debutto lasciando ai piloti libera interpretazione della curva 17, ignorando quindi i limiti del circuito normalmente fatti rispettare dalla formula 1. L’australiano, incalzato prima dal sorprendente Colton Herta e poi da un Rossi in modalità mastino, comanda la corsa fino alle ultime fasi, quando un incidente tra Hinchcliffe e Rosenqvist chiama per la prima volta in pista la pace car. Il momento non potrebbe però essere peggiore per il duo di testa, che dovendo ancora effettuare l’ultima sosta si ritrova in coda al gruppo. La beffa si completa poi per Power quando un semiasse rotto lo costringe al ritiro. In pit lane prima dell’uscita della bandiera gialla, è cosi Colton Herta a prendere le redini della corsa, liberandosi subito della pressione di Newgarden, ben più occupato nel contenere gli attacchi di Hunter-Reay. Per il rookie, veloce ma falloso a St. Pete, al terzo via in carriera arriva quindi la prima vittoria, mentre la piazza d’onore consolida la vetta della classifica per il pilota Penske. Un solido Rahal chiude quarto dietro RHR, sfortunato a St. Pete, mentre è da rimarcare l’ottavo posto di Patricio O’Ward, a lungo in lotta ai margini della top 5 e autore di alcuni eccellenti sorpassi. Rossi deve invece accontentarsi della nona piazza al termine di una furiosa rimonta, mentre un contatto col doppiato Veach costa a Dixon un posto in top ten al termine di una gara difficile per il team Ganassi.

Dopo due corse dominate dai top teams (Herta guida di fatto una quinta vettura Andretti) una semi rivoluzione arriva a Barber, dove il team Rahal monopolizza la prima fila e solo Dixon tra i soliti noti riesce a spingersi fino alla Fast Six. Mentre problemi elettrici costringono Rahal al ritiro a metà gara, Sato prende subito il comando dalla pole, riuscendo in breve a staccare il neozelandese, velocissimo a gomme nuove ma in difficoltà negli stints lunghi. Alle spalle del giapponese, dominatore della corsa, rimane viva la battaglia tra piloti con strategie su due (Bourdais in primis) e tre pit stops (quasi tutti gli altri). La situazione si normalizza però nel finale quando un incidente di Max Chilton richiama in pista la pace car, non prima che tutto il gruppo di testa possa completare l’ultima sosta. Una digressione sull’erba non ferma Sato, che riesce a completare il suo dominio della corsa portando a casa il quarto successo in carriera davanti a Dixon, impegnato nel finale a contenere la pressione di Bourdais. Il podio è chiuso da Newgarden, unica Penske realmente competitiva e autore nel finale di pregevoli sorpassi, tra cui la dura infilata con cui soffia la terza piazza a Rossi. Quinto chiude quindi un deluso Hinchcliffe, dominatore delle prove, che precede il compagno Ericsson, che mette a segno una bella rimonta dal fondo della griglia.

Autore di un inizio di stagione per certi versi deludente, Alexander Rossi riafferma la supremazia a tratti mostrata nel 2018, conquistando di forza la pole position su Dixon nelle strade di Long Beach. Aiutato da una bandiera gialla al via, nelle prime fasi il campione in carica sembra poter tenere il passo del padrone di casa, che però allunga prima dell’ultima sosta, seminando poi gli inseguitori. Problemi durante la prima sosta complicano invece la corsa di Dixon, che dalla seconda piazza precipita ai margini della top cinque. Il testimone di inseguitore di Rossi è quindi raccolto da Newgarden, che pur non impensierendo il leader si tiene lontano dalla lotta per il gradino più basso del podio. Con Power nelle vie di fuga per contenere un attacco di Dixon (superato poco prima) in curva 1, nel finale è Graham Rahal a vedersela con il ritorno del neozelandese, già vincitore di un Hunter-Reay afflitto da problemi di consumo. Mentre Rossi chiude vittorioso con un vantaggio di ben 20 secondi su un sempre solido Newgarden, all’ultimo giro Rahal cerca di rimediare a un errore in frenata con una chiusura dura ma proattiva su Dixon. I due chiudono nell’ordine, ma poco dopo la direzione gara retrocede l’americano al quarto posto, imputandogli il “blocking” irregolare sul rivale.

Classifica dopo Long Beach
Pos. Pilota Punti Distacco Corse Vittorie Podi Top 5 Top 10 Poles LL L GPV
1 Josef Newgarden 166 0 4 1 3 4 4 0 62 2 1
2 Alexander Rossi 138 28 4 1 1 3 4 1 85 3 0
3 Scott Dixon 133 33 4 0 3 3 3 0 2 1 0
4 Takuma Sato 115 51 4 1 1 1 3 1 75 2 0
5 Ryan Hunter-Reay 96 70 4 0 1 2 3 0 0 0 1
6 Will Power 93 73 4 0 1 1 2 2 64 3 1
7 James Hinchcliffe 93 73 4 0 0 0 3 0 2 1 0
8 Sebastien Bourdais 91 75 4 0 1 2 2 0 8 1 0
9 Graham Rahal 90 76 4 0 0 2 2 0 1 1 0
10 Colton Herta 88 78 4 1 1 1 2 0 15 1 1
11 Simon Pagenaud 87 79 4 0 0 0 3 0 0 0 0
12 Felix Rosenqvist 80 86 4 0 0 1 3 0 31 1 0
13 Marco Andretti 79 87 4 0 0 0 1 0 0 0 0
14 Jack Harvey 65 101 4 0 0 0 2 0 0 0 0
15 Spencer Pigot 63 103 4 0 0 0 0 0 0 0 0