Ovali

I circuiti ovali trovano le loro origini nelle corse equestri, quando a fine ‘800 vari ippodromi sono stati convertiti a campi di gara per le automobili. Il senso di percorrenza è convenzionalmente antiorario, per cui il tracciato presenta solo curve a sinistra. Nella gran parte dei casi i circuiti ovali non presentano variazioni altimetriche ma le curve, per favorire la velocità di percorrenza, sono sopraelevate, ovvero presentano una pendenza favorevole rispetto ai tratti rettilinei, il più delle volte piatti o scarsamente inclinati.

In base alla lunghezza e alla pendenza (o banking) delle curve, che ovviamente ne determinano in parte la velocità, i circuiti ovali sono suddivisi in tre categorie:

Super speedways: ovali di lunghezza pari o superiore alle 2 miglia in cui si superano le 220 mph di velocità media. La conformazione di questi ovali può essere molto variegata, passando da catini con lunghissimi rettilinei e curve a scarso banking (Indianapolis, Pocono) a circuiti più corti ma con curve molto sopraelevate (Michigan, Fontana). Per queste piste è previsto un pacchetto aerodinamico obbligatorio a bassissimo carico, in misura diversa a seconda del tipo di categoria (CART o IRL) considerata. I piloti si trovano quindi ad affrontare le curve ad altissima velocità con un sostegno aerodinamico minimo, specialmente in assetto da qualifica. Con livelli di carico così ridotti, in gara la gestione delle turbolenze indotte dalle altre vetture diviene un problema di primaria importanza per i piloti, che scelgono l’assetto in funzione della loro fiducia nel mezzo e della loro sensibilità di guida, alla perenne ricerca del giusto compromesso tra guidabilità e massima prestazione.

Vista aerea dell'Indianapolis Motor Speedway. latimes.com; MCT
Vista aerea dell’Indianapolis Motor Speedway. latimes.com; MCT

 

Ovali medi: di lunghezza compresa tra 1 e 2 miglia, caratterizzati da banking e raggi di curva che possono variare notevolmente. Si passa quindi da catini a D velocissimi e molto inclinati (Texas, Chicago, Las Vegas), a ovali quasi piatti (Homestead pre 2004, Rockingham), con curve di raggio e banking differente (Motegi) o con superfici particolari (Nashville in cemento). In generale si tratta di ovali meno veloci dei super speedways, caratterizzati da curve più chiuse, che quindi necessitano di un carico aerodinamico leggermente superiore. Si ripetono le problematiche viste per gli ovali più lunghi, seppur mitigate da un livello minimo di deportanza superiore.

Vista in notturna del Texas Motor Speedway. speedwaysightings.files.wordpress.com
Vista in notturna del Texas Motor Speedway. speedwaysightings.files.wordpress.com

 

Ovali corti: di lunghezza pari o inferiore a 1 miglio. Si tratta della più classica configurazione di ovale americano, sviluppatasi però in diverse varianti. Dal più classico miglio quasi piatto (Milwaukee), si passa al minuscolo catino di Richmond (3/4 di miglio), a ovali di un miglio a forma di D con variazioni altimetriche (Nazareth) fino a piste con banking elevato (Iowa) e progressivo. Il raggio di curva ridotto impone l’adozione di una configurazione aerodinamica vicina a quella d’uso negli stradali, a tutto vantaggio della velocità di percorrenza, tanto che ovali corti e piatti come Milwaukee sono considerati quasi degli stradali con sole curve a sinistra. Le curve chiuse e le elevate velocità medie inducono accelerazioni laterali notevoli in intensità (talvolta superiori a 5g) e, per ovvi motivi, di durata e frequenza considerevoli. Si tratta quindi degli ovali più esigenti, sia dal punto di vista fisico per i piloti, che meccanico per le vetture, che vedono messa a dura prova la propria rigidità strutturale, oltre a indurre pesanti sollecitazioni sui vari componenti. In generale gli ovali corti sono ritenuti i più tecnici e difficili, sia dal punto di vista della guida che della preparazione della vettura.

L'ovale da 0,875 miglia di Iowa. lotuscars.com
L’ovale da 0,875 miglia di Iowa. lotuscars.com

 

Alle specifiche difficoltà delle diverse tipologie di ovali (che come visto presentano al loro interno tipi di piste completamente differenti tra loro) si sommano delle problematiche comuni, inerenti le variazioni di assetto di marcia della vettura durante la gara e i singoli “turni” di guida, ovvero tra un pit stop e il successivo.

Difficilmente infatti il comportamento della vettura rimane il medesimo con l’avanzare del degrado delle gomme e dello svuotamento del serbatoio. Spesso una macchina inizialmente neutrale, quindi né sottosterzante né sovrasterzante, tende a forzare eccessivamente le gomme posteriori, portando al sovrasterzo alla fine dello stint, una condizione in generale non auspicabile sugli ovali. Talvolta, soprattutto nel caso di piloti inesperti, la tendenza è quella di impostare volutamente una vettura sottosterzante, che evolva verso la neutralità con il procedere dei giri.

In un’ottica più estesa il comportamento della vettura e quindi il suo assetto, deve essere valutato in funzione di numerose variabili, tra cui la gommatura della pista e la temperatura ambientale, che oltre a ripercuotersi su quella dell’asfalto influenza la densità dell’aria. Temperature più elevate riducono la densità, cosa che ha un effetto negativo sulla deportanza prodotta dall’aerodinamica, oltre che sul riempimento del motore. Temperature più fresche invece aumentano il carico aerodinamico, spingendo a scaricare le ali per guadagnare velocità di punta a parità di carico.

La scelta del giusto carico aerodinamico, di base nel pre gara e di aggiustamento durante la gara, dipende quindi da una moltitudine di fattori, non ultimi le regolazioni meccaniche che vanno ovviamente di concerto con quelle aerodinamiche. Come accennato in precedenza il livello di deportanza dipende anche dalla sensibilità del pilota e dalla fiducia di poter condurre la vettura al massimo in condizioni di aderenza precaria.

Una vettura scarica, sul filo del sovrasterzo, è indiscutibilmente più veloce, pur esponendo il pilota a dei rischi che, con una configurazione più carica, non sosterrebbe. In generale quindi, soprattutto negli ovali veloci, la tendenza è quella di scaricare le ali in qualifica e nelle fasi decisive della corsa, cioè quando un vantaggio velocistico può risultare decisivo. Un pilota che parte nelle retrovie non sarà invece mai portato a impostare la vettura con poca deportanza, in quanto la guida nel traffico diverrebbe impossibile, sia per l’effetto delle turbolenze che per la scarsa agilità indotta dalla ridotta spinta verticale.

E’ chiaro quindi come negli ovali più veloci il giusto carico aerodinamico sia un compromesso dettato dalle particolari condizioni del momento e più in generale della giornata di gara.

Negli ovali corti, caratterizzati come detto da curve più chiuse e lunghezze ridotte, i piloti sono quasi continuamente coinvolti in situazioni di traffico legate ai doppiaggi, cosa che impone un certo livello di carico aerodinamico, sufficiente a garantire l’agilità e la versatilità della vettura, anche a scapito della velocità assoluta.

*nelle stagioni in cui  il risultato di qualifica è stato determinato dalla velocità media dei giri lanciati, nella colonna pole position si è riportato il tempo medio di tali giri.

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