Gran Premio Telmex/Gigante presented by Banamex/Visa – 12 ottobre 2003 – 17° prova della stagione 2003
Circuito
Autodromo Hermanos Rodriguez – Mexico City
Tipologia
Stradale
Lunghezza
2,786 mi – 4,482674 km
Configurazione aerodinamica
Stradale
Record della pista
1.25.941 – Bruno Junqueira, 2002, Lola B02-Toyota
Distanza di gara
70 giri – 195,02 mi (313,78718 km)
Vincitore uscente
Kenny Brack
Griglia di Partenza
Pos.
Pilota
Tempo
Pilota
Tempo
1
Paul Tracy
1:28.842
2
Tiago Monteiro
1:29.042
3
Bruno Junqueira
1:28.905
4
Sebastien Bourdais
1:29.110
5
Ryan Hunter-Reay
1:29.191
6
Darren Manning
1:29.193
7
Jimmy Vasser
1:29.315
8
Michel Jourdain, Jr.
1:29.375
9
Patrick Carpentier
1:29.449
10
Luis Diaz
1:29.546
11
Mario Dominguez
1:29.611
12
Mika Salo
1:29.761
13
Alex Tagliani
1:29.882
14
Mario Haberfeld
1:29.958
15
Adrian Fernandez
1:30.044
16
Oriol Servia
1:30.383
17
Rodolfo Lavin, Jr.
1:30.584
18
Roberto Gonzalez
1:31.162
19
Gualter Salles
1:31.442
20
Geoff Boss
1:31.626
Dopo un primo tentativo annullato, alla partenza Monteiro non è abbastanza pronto, facendosi superare da Junqueira, afflitto da un’intossicazione alimentare, che dalla seconda fila insidia subito Tracy. Più indietro un contatto multiplo vede coinvolti Jourdain, Vasser, Manning e Fernandez. Tutti riprendono ma l’intervento dei commissari richiede l’ingresso della pace car. Alla ripartenza Tracy allunga subito su Junqueira, incalzato da Bourdais, Monteiro, Hunter-Reay e Dominguez, che supera Carpentier. Il leader della corsa apre la sequenza di rifornimenti al 20° giro, presentandosi in pit lane con oltre 5 secondi di vantaggio su Junqueira e Bourdais, che precedono largamente Monteiro e Hunter-Reay. Le soste non cambiano la situazione al vertice, ma avvantaggiano Dominguez, che sale in quinta piazza mentre Hunter-Reay retrocede in settima, superato da un ottimo Salo. Poco o nulla accade fino al 39° giro, quando il trio di testa fa la sua ricomparsa in pit lane, da cui Bourdais emerge davanti a Junqueira. Poco dopo un contatto tra Tagliani e Vasser richiama in pista la pace car.
La bandiera verda rifà brevemente la sua comparsa al 46° giro, dando a Monteiro la possibilità di infilare abilmente Junqueira e portarsi in terza piazza, prima che un contatto tra Manning e Gonzales richiami in pista la pace car. Tre giri più tardi Tracy conduce il gruppo alla bandiera verde, insidiato da Bourdais, con Monteiro, Junqueira, Dominguez, Salo e Hunter-Reay subito dietro. La situazione di Junqueira si complica ulteriormente quando Dominguez gli sottrae senza troppo sforzo il quarto posto, portandosi in breve in coda a Monteiro. Al 57° giro tutto il gruppo di testa fa per l’ultima volta capolino in pit lane, da cui Tracy emerge ancora in testa, seppur incalzato a gomme fredde da Bourdais. Monteiro si vede invece scavalcare da Dominguez e Jourdain (su una strategia alternativa), mentre Junqueira arrivando lungo alla prima curva si vede soffiare anche la quinta posizione da Salo, che in breve si libera pure del portoghese. Negli ultimi giri Tracy riesce a costruire un margine di sicurezza su Bourdais, che vede Dominguez diventare più grande nei suoi specchietti. Per il canadese arriva quindi il settimo successo stagionale davanti al rivale Bourdais e al padrone di casa Dominguez, che precede il connazionale Jourdain. Per Salo un quinto posto ben più significativo del podio conquistato a Miami, davanti a un comunque ottimo Monteiro. Solo settimo Junqueira, che chuide davanti a Fernandez (coinvolto in numerosi contatti) e i superstiti Manning e Gonzalez.
Grand Prix of Americas presented by sportsbook.com – 28 settembre 2003 – 16° prova della stagione 2003
Circuito
Streets of Miami – Bayfront Park
Tipologia
Cittadino
Lunghezza
1,15 mi – 1,85 km
Configurazione aerodinamica
Stradale
Record della pista
1.01.264 – Tony Kanaan, 2002, Lola B02-Honda
Distanza di gara
135 giri – 155,25 mi (249,8 km)
Vincitore uscente
Cristiano Da Matta
Griglia di Partenza
Pos.
Pilota
Tempo
Pilota
Tempo
1
Adrian Fernandez
44.253
2
Bruno Junqueira
45.024
3
Oriol Servia
44.289
4
Sebastien Bourdais
44.609
5
Paul Tracy
44.768
6
Michel Jourdain, Jr.
44.939
7
Roberto Moreno
45.140
8
Mario Dominguez
45.157
9
Tiago Monteiro
45.318
10
Alex Tagliani
45.372
11
Jimmy Vasser
45.380
12
Darren Manning
45.430
13
Mario Haberfeld
45.441
14
Ryan Hunter-Reay
45.652
15
Mika Salo
45.686
16
Rodolfo Lavin, Jr.
46.319
17
Geoff Boss
46.446
18
Patrick Carpentier
46.765
19
Alex Sperafico
48.871
Alla partenza Junqueira brucia Fernandez, che precede Servia mentre Tracy riesce a sopravanzare Bourdais. Con una grande staccata all’inizio del secondo giro il messicano riprende però subito il comando, guidando il gruppo dei primi cinque, raccolto in un fazzoletto di circa sei secondi, inseguiti da Jourdain con Moreno, Tagliani e Dominguez più staccati. Ulteriormento ricompattato dai continui doppiaggi in un circuito troppo corto e stretto, il gruppo di testa si precipita in pit lane al 40° giro, approfittando della neutralizzazione successiva a un testacoda di Geoff Boss. Le soste non modificano la classifica ma quasi tutti guadagnano una posizione quando Servia centra il muro subito dopo la ripartenza, abbandonando una promettente terza posizione. La bandiera verde rifà la sua comparsa al 54° giro e per diversi giri il gruppo prosegue compatto, con Fernandez a condurre su Junqueira, Tracy, Bourdais (sopravvissuto a una toccata a muro), Jourdain, Dominguez, Tagliani e Moreno. Al 68° giro però Bourdais riesce a infilare Tracy, che nel tentativo di replicare frana sul francese, spedendolo contro le gomme e condannando entrambi al ritiro. Evitato lo scontro fisico tra i due, la corsa riprende al 74° giro con Fernandez a condurre su Junqueira e Jourdain, promosso in terza piazza davanti a Dominguez, Tagliani, Moreno, Vasser e Monteiro.
Le soste del 90° giro non cambiano la situazione di testa, che viene però sconvolta quando nel doppiaggio del portoghese, attardato da un contatto in pit lane con Jourdain, Junqueira travolge Fernandez. Fermi in mezzo alla pista in attesa dei commissari, i due perdono un giro rimanendo esclusi dalla lotta per la vittoria. Dopo l’ennesima neutralizzazione per un contatto tra il doppiato Sperafico e Tagliani, l’ennesimo colpo di scena coinvolge Jourdain, spedito in fondo al gruppo perché ritenuto responsabile del precedente contatto in pit lane con Monteiro. È quindi Manning, su una strategia alternativa e con problemi al cambio, a condurre il gruppo alla ripartenza del giro 107, subendo però in breve il deciso attacco di Dominguez, che si porta dietro anche Moreno, Salo, Vasser e Haberfeld. L’ennesimo incidente, questa volta con protagonista Hunter-Reay, richiama in pista nel finale la pace car. Negli ultimi giri Dominguez costruisce quindi un buon margine su Moreno, guidando un imprevedibile 1-2 per il team Herdez. Ancora più incredibile è il terzo posto di Salo, che precede un gruppetto in lotta composto da Vasser, Haberfeld, Carpentier (in difficoltà per tutto il fine settimana) e Jourdain. Fernandez, Junqueira e Boss chiudono la top ten.
Centrix Financial Grand Prix of Denver – 31 agosto 2003 – 15° prova della stagione 2003
Circuito
Streets of Denver
Tipologia
Cittadino
Lunghezza
1.647 mi – 2.65 km
Configurazione aerodinamica
Stradale
Record della pista
1.01.709 – Bruno Junqueira, 2002, Lola B02-Toyota
Distanza di gara
106 giri – 174,6 mi (280,9 km)
Vincitore uscente
Bruno Junqueira
Griglia di Partenza
Pos.
Pilota
Tempo
Pilota
Tempo
1
Bruno Junqueira
1.01.438
2
Oriol Servia
1.01.477
3
Sebastien Bourdais
1.01.547
4
Adrian Fernandez
1.01.583
5
Tiago Monteiro
1.01.628
6
Patrick Carpentier
1.01.804
7
Darren Manning
1.01.869
8
Mario Haberfeld
1.02.050
9
Paul Tracy
1.02.056
10
Michel Jourdain, Jr.
1.02.141
11
Alex Tagliani
1.02.287
12
Ryan Hunter-Reay
1.02.447
13
Jimmy Vasser
1.02.944
14
Mario Dominguez
1.02.993
15
Rodolfo Lavin, Jr.
1.03.166
16
Roberto Moreno
1.03.275
17
Mika Salo
1.03.875
18
Gualter Salles
1.03.891
19
Geoff Boss
1.04.193
Dopo due tentativi di partenza, Junqueira mantiene il comando davanti a Servia, Bourdais, Fernandez, Carpentier e Tracy, che recupera dalla nona piazza di partenza superando Jourdain, Haberfeld e Monteiro. Dopo una breve neutralizzazione per un contatto con Moreno che costa il ritiro a Lavin, le posizioni non cambiano alla ripartenza, con Junqueira che prende lentamente margine, salvo poi essere riavvicinato da Servia e Bourdais attorno al 30° giro, quando il gruppo di testa effettua la prima sosta, che vede lo spagnolo battere il pole sitter all’uscita dalla pit lane. Evitata la seconda neutralizzazione dopo un dritto di Salles per via di problemi alla trasmissione, il trio di testa continua a procedere a stretto contatto, con Fernandez staccato di oltre 8 secondi e il duo Forsythe altri 7 secondi più indietro, seguito da Haberfeld, Monteiro, Jourdain e Dominguez. Liberatosi di Carpentier, vistosamente più lento, al 50° giro Tracy inizia la sua rimonta, guadagnando circa un secondo al giro sul leader Servia, impegnato a risparmiare carburante dopo aver preso la testa grazie a un rifornimento parziale.
La gara difficile di Carpentier finisce nelle gomme al 61° giro, causando la seconda neutralizzazione della corsa, sfruttata dal gruppo di testa per effettuare la seconda sosta, che questa volta vede Junqueira tornare in testa e Servia scivolare dietro anche a Bourdais. Il brasiliano mantiene il comando alla ripartenza del 66° giro, seguito da Bourdais che semina Servia, incalzato da Fernandez. Tracy più indietro fatica a contenere Haberfeld, la cui gara è però rovinata da un ottimista attacco di Dominguez, che promuove Monteiro al sesto posto. Al 78° giro la gara di Moreno finisce poi contro il muro, permettendo al gruppo di effettuare la terza sosta dietro la pace car, da cui Tracy emerge davanti a Fernandez. Jourdain sale invece in sesta piazza mentre Monteiro, superato da Manning e Dominguez, retrocede suo malgrado in nona. Momenti di paura accompagnano il pit stop di Hunter-Reay, quando un problema al rifornimento porta a un principio di incendio. La ripartenza arriva all’85° giro con Junqueira a condurre su Bourdais e Servia, che controlla Tracy. Poco dopo un problema tecnico spedisce Monteiro contro l’incolpevole Salo, causando il ritiro di entrambi ma senza causare un’altra neutralizzazione. Negli ultimi giri Bourdais avvicina Junqueira, senza però metterne a rischio una vittoria fondamentale per il campionato. Servia porta a casa un buon terzo posto davanti a Tracy, che precede il trio messicano Fernandez-Jourdain-Dominguez. Manning porta a casa un ottavo posto al termine di una prova solida, precedendo Tagliani e Haberfeld, che avrebbe senz’altro meritato di più.
Molson Indy Montreal – 23/25 agosto 2003 – 14° prova della stagione 2003
Circuito
Montreal – Circuit Gilles Villeneuve
Tipologia
Cittadino
Lunghezza
2.709 mi – 4.359 km
Configurazione aerodinamica
Stradale
Record della pista
1.18.959 – Cristiano Da Matta, 2002, Lola B02-Toyota
Distanza di gara
75 giri – 203,2 mi (326,9 km)
Vincitore uscente
Dario Franchitti
Griglia di Partenza
Pos.
Pilota
Tempo
Pilota
Tempo
1
Alex Tagliani
1.19.665
2
Oriol Servia
1.19.757
3
Bruno Junqueira
1.19.671
4
Michel Jourdain, Jr.
1.19.751
5
Patrick Carpentier
1.19.810
6
Sebastien Bourdais
1.19.818
7
Jimmy Vasser
1.19.882
8
Paul Tracy
1.20.015
9
Darren Manning
1.20.308
10
Mario Dominguez
1.20.360
11
Tiago Monteiro
1.20.360
12
Mario Haberfeld
1.20.639
13
Roberto Moreno
1.20.826
14
Ryan Hunter-Reay
1.20.963
15
Max Papis
1.21.116
16
Adrian Fernandez
1.21.237
17
Gualter Salles
1.21.497
18
Rodolfo Lavin, Jr.
1.21.718
19
Geoff Boss
1.22.177
In partenza Tagliani mantiene il comando su Servia e Junqueira, mentre Tracy risale dall’ottavo al sesto posto, imitato da Dominguez, che supera Vasser. La prima neutralizzazione arriva al nono giro, quando Hunter-Reay rimane bloccato al tornantino dopo un avventato tentativo di sorpasso su Haberfeld. La corsa riprende all’11° giro, registrando dopo due passaggi il grave errore di Junqueira, che va in testacoda al tornantino precipitando dal terzo all’ottavo posto. Tagliani apre la prima sequenza di pit stop (Moreno e Fernandez si erano già fermati) al 19° giro, seguito il giro successivo dal resto del gruppo di testa. Soste che non cambiano la classifica, eccezion fatta per il secondo posto, con Jourdain che supera Servia. Afflitto da problemi al cambio, Bourdais si ritira al 29° giro dopo una lunga battaglia con Dominguez. Al 39° giro è ancora Tagliani ad aprire la seconda sequenza di pit stop del gruppo di testa, che lo segue in pit lane il giro successivo. Le soste non cambiano però la classifica, che vede sempre Tagliani condurre con margine su Jourdain, Servia, Carpentier e Tracy, mentre Fernandez, Dominguez e Moreno sono coinvolti in un contatto multiplo al tornantino da cui escono senza conseguenze.
Al 45° giro un secondo testacoda al tornantino complica ulteriormente la corsa di Junqueira, che spegnendo il motore richiama in pista la pace car. Neutralizzazione sfruttata da Fernandez, Moreno, Papis, Hunter-Reay e Haberfeld per effettuare l’ultimo pit stop. Tagliani mantiene il comando alla ripartenza del 49° giro, subito sospesa quando Monteiro centra Hunter-Reay al tornantino. L’ennesima bandiera verde arriva quindi al 53° giro, con Tagliani che prende leggermente margine mentre Servia mette pressione a Jourdain in seconda piazza. Poco più tardi il canadese apre l’ultima sequenza di pit stop, al 58° giro, ma una sosta particolarmente lunga per via di problemi di consumo lo fa retrocedere al quinto posto, superato da Jourdain, Servia e le vetture del team Forsythe. Quando Moreno, Fernandez e Papis completano le proprie soste è quindi Jourdain a prendere il comando al 67° giro, costruendo un margine di sicurezza su Servia, insidiato da Carpentier. Nulla cambia nel finale, che vede Jourdain conquistare la seconda vittoria stagionale davanti a Servia, Carpentier e Tagliani, che insieme a Dominguez supera sulla dirittura d’arrivo Tracy, rimasto a secco a pochi metri dal traguardo. Primo dei piloti su una strategia alternativa, Moreno chiude settimo davanti a Fernandez, Papis e Manning.
Un trauma cranico riportato in un brutto incidente nel warm up costringe Tiago Monteiro a dare forfait pochi minuti prima della bandiera verde.
Alla partenza Bourdais difende la linea interna ma arriva lungo, permettendo a Tracy di incorciare la traiettoria e passare subito a condurre, mentre il francese deve guardarsi da Junqueira, salito in terza piazza. Poco più indietro Servia tiene dietro Jourdain, che all’uscita della prima esse va in testacoda, riprendendo ultimo e molto staccato. Il trio di testa nei primi giri stacca progressivamente gli inseguitori, capitanati da Servia, Carpentier e Moreno.
Al 16° giro però un azzardato tentativo di sorpasso di Vasser lascia Moreno fermo nell’erba della curva 1, causando la prima neutralizzazione, sfruttata da tutto il gruppo per effettuare il primo pit stop, in cui Carpentier soffia il quarto posto a Servia. Dopo un’altra breve neutralizzazione per recuperare la vettura di Gualter Salles rimasta in panne, alla ripartenza del 23° giro Tracy continua a condurre su Bourdais e Junqueira, mentre Jourdain prosegue la sua rimonta dal fondo, superando le vetture del team American Spirit per salire in settima piazza. Il duo franco-canadese al vertice, separato da circa un secondo, ingaggia un furioso duello di giri veloci, staccando nettamente Junqueira e Carpentier. Tracy accumula qualche ulteriore decimo di vantaggio prima della sosta collettiva del 43° giro, che accende la battaglia per il terzo posto con Carpentier che si fa sotto a Junqueira, mentre Servia deve guardarsi dal ritorno di Jourdain, passato davanti a Dominguez, che precede Hunter-Reay. Davanti prosegue intanto l’inseguimento di Bourdais, che si riporta lentamente in coda a Tracy, mentre il distacco di Junqueira continua a oscillare tra gli 8 e i 10 secondi. La battaglia di giri veloci si interrompe però quando Rodolfo Lavin perde il controllo in curva 8, causando la terza neutralizzazione, che vede solo Vasser fermarsi per effettuare un rabbocco.
Il restart arriva al 61° giro e vede ancora Tracy allungare leggermente su Bourdais, mentre un dritto di Servia in curva 1 consegna il quinto posto a Jourdain. Tracy guida il gruppo in pit lane al 68° giro, perdendo però la posizione a favore di Bourdais, che una volta guadagnata pista libera stacca nettamente il canadese. Il pit stop successivo al 95° giro non cambia la situazione per il trio di testa mentre Carpentier, in difficoltà con un’ala anteriore leggermente danneggiata, deve guardarsi dagli attacchi di Dominguez, portatosi davanti a Jourdain, a sua volta impegnato fino al traguardo in una serrata battaglia con Servia. Davanti Bourdais sembra tranquillamente avviato verso il successo quando, a 5 giri dalla fine, un contatto con il doppiato Fernandez danneggia un componente aerodinamico nella Lola del francese. Subito dopo un testacoda di Vasser in curva 1 riporta in pista la pace car, riducendo la corsa ad un ultimo giro di bandiera verde in cui Bourdais si invola vittorioso, mentre Tracy è protagonista di un bel botta e risposta con Junqueira, che però deve accontentarsi della terza piazza. Alle loro spalle Carpentier contiene Dominguez fino al traguardo mentre Jourdain deve cedere a Servia il sesto posto. Superate difficoltà tecniche iniziali, Tagliani chiude all’ottavo posto davanti ad Hunter-Reay e Darren Manning.
Diciannovesima gara stagionale – Honda Indy 300– 17/10/1999
Circuito: Surfers Paradise
Tipologia: Cittadino
Lunghezza: 2.794 mi – 4.496 km
Configurazione aerodinamica: Stradale
Record della pista: 1.32.288 – 1998, Dario Franchitti – Reynard Honda
Distanza di gara: 65 giri – 181.6 mi
Vincitore uscente: Alex Zanardi
Griglia di Partenza
P
Pilota
Tempo
Pilota
Tempo
1
Dario Franchitti
1.31.703
2
Bryan Herta
1.32.595
3
Scott Pruett
1.32.616
4
Paul Tracy
1.32.700
5
Michael Andretti
1.32.899
6
Juan Pablo Montoya
1.33.018
7
Adrian Fernandez
1.33.072
8
Tony Kanann
1.33.233
9
Mauricio Gugelmin
1.33.271
10
Cristiano Da Matta
1.33.399
11
Max Papis
1.33.503
12
Greg Moore
1.33.553
13
Christian Fittipaldi
1.33.577
14
Gil De Ferran
1.33.702
15
Patrick Carpentier
1.33.781
16
Helio Castroneves
1.33.869
17
Jimmy Vasser
1.33.969
18
Michel Jourdain Jr.
1.34.074
19
Jan Magnussen
1.34.099
20
Naoki Hattori
1.34.243
21
Memo Gidley
1.34.309
22
Robby Gordon
1.34.827
23
Mark Blundell
1.34.847
24
Richie Hearn
1.35.540
25
Andrea Montermini
1.36.101
26
Al Unser Jr.
1.37.065
27
Gualter Salles
1.37.677
Alla bandiera verde Franchitti mantiene il comando, ma al suo fianco Herta ha un’esitazione che gli costa due posizioni, subendo il sorpasso di Pruett e Tracy. La manovra del canadese, che rompe l’allineamento affiancandosi all’interno di Herta prima del traguardo, desta però subito l’attenzione dei commissari. Dopo 11 giri infatti Tracy è richiamato in pit lane per una penalità che lo retrocede al decimo posto. De Ferran intanto è il primo ad abbandonare la corsa, quando al primo giro uno scarto in frenata lo spedisce contro le barriere. I connazionali Gugelmin e Fittipaldi lo seguono poco dopo: il primo riportando la monoposto fumante ai box, il secondo fermandosi nelle vie di fuga con un principio di incendio nella zona del turbo. Nelle prime fasi Franchitti tenta la fuga inseguito da Pruett ed Herta, presto incalzati da Fernandez, che supera Andretti per il quarto posto, imitato da Montoya, autore di una rischiosissima manovra all’esterno in curva 1. Retrocesso in sesta piazza, Andretti comincia così una lunghissima difesa nei confronti di Kanaan, salito in sesta piazza dopo aver sopravanzato Moore nei primi giri. Poco a suo agio nelle prove, Montoya intanto sembra aver trovato il giusto ritmo in gara, mettendo sotto pressione Fernandez per il quarto posto. Dopo aver temporaneamente perso il contatto con Andretti, al 20° giro Kanaan è il primo a effettuare il pit stop, imitato presto da tutto il gruppo.
Se Franchitti riprende la pista saldamente al comando, alle sue spalle le soste scompaginano la situazione: Fernandez è infatti l’ultimo del gruppo di testa a fermarsi e quando torna in pista è attaccato da Herta, che riesce a strappargli la seconda piazza non avvedendosi però della bandiera gialla per la vettura ferma di Hattori, che causa l’uscita della pace car. Durante la neutralizzazione Herta è quindi costretto a restituire la posizione a Fernandez, che però rimane dietro a Montoya, passato davanti al messicano durante la schermaglia con il pilota del team Rahal. Un contatto precedente tra Carpentier e Gidley intanto costa il ritiro al canadese. La corsa riprende al 27° giro con Franchitti pressato dal rivale Montoya, a sua volta seguito da Fernandez, Herta e Pruett. Alle loro spalle Andretti precede Tracy, Moore e Kanaan, penalizzato da una sosta lenta. Due contatti distinti vedono però subito coinvolti Vasser con Blundell e Papis con Montermini e solo il comasco riesce a proseguire senza l’aiuto dei commissari, che invece devono recuperare le altre vetture causando un’altra neutralizzazione. Quando la corsa riprende Franchitti e Montoya scavano un ampio margine su Herta e Fernandez, mentre nel gruppo Kanaan ha la meglio su Tracy e Moore risalendo al settimo posto. Poco dopo un maldestro attacco di Blundell su Hattori ha un effetto disastroso sulla sospensione della Reynard PacWest, che rimane ancora ferma in pista causando un’altra neutralizzazione, sfruttata dal gruppo per effettuare la seconda sosta. La corsa riprende al 38° giro con Papis che non essendosi fermato conduce su Franchitti e Fernandez, nuovamente davanti a Montoya dopo le soste. Il serbatoio leggero permette all’italiano di guadagnare in breve un ampio vantaggio su Franchitti, che però non si deve più guardare da Montoya, tenuto a bada dal messicano. La cavalcata in testa di Papis si chiude al 46° giro, quando anche l’italiano è costretto ad effettuare la seconda sosta, lasciando campo libero a Franchitti, che conduce con margine sul duo Fernandez-Montoya, inseguiti da Herta, Pruett e il duo Andretti-Kanaan, perennemente in lotta con Da Matta poco lontano. La gara di Moore, lentamente retrocesso ai margini della top ten, termina invece al 47° passaggio per problemi elettrici.
È il ritiro successivo però a scuotere gara e campionato: ricevuto il permesso di tirare al massimo, Montoya mette pressione a Fernandez ma un errore in frenata del colombiano finisce con la Reynard Target nelle barriere. Tutti approfittando delle conseguente uscita della pace car per effettuare l’ultima sosta, tranne Papis, che riesce a installarsi alle spalle di Franchitti, e Magnussen, che prende il comando sperando nell’uscita di altre bandiere gialle. Quando la corsa riprende, al 54° giro, lo scozzese mette subito le cose in chiaro, superando Magnussen in curva 1 per poi involarsi verso il successo. Il danese resiste fino a 3 giri dal termine, ma il perdurare della bandiera verde lo costringe a un rabbocco proprio nel finale. Papis guadagna così la seconda posizione, dovendosi però guardare da un aggressivo Fernandez, mentre poco più staccato Herta guida un trenino in cui Andretti e Kanaan continuano la loro eterna battaglia incalzati da Tracy, alle prese con problemi al turbo. Nulla però cambia nel finale, con Franchitti che al termine di un week end dominato sbanca l’Australia, andando in testa al campionato con 9 punti su Montoya e la sola 500 miglia di Fontana da disputare. Meno veloce di Herta per tutto il fine settimana, Papis porta a casa un insperato secondo posto, frutto anche di un buona strategia, precedendo Fernandez, molto incisivo nonostante il polso ancora dolorante per l’incidente di Detroit. Per Herta arriva invece un quarto posto deludente, considerata la prima fila in qualifica, davanti ad un Andretti che dopo aver ceduto a Fernandez e Montoya si dimostra insuperabile per un comunque positivo Kanaan. Il brasiliano chiude così davanti a Tracy, frenato come detto da problemi al turbo e da una penalità al via piuttosto dubbia, che precede un grande Robby Gordon, capace nel finale di strappare l’ottavo posto a Pruett, penalizzato da pit stop piuttosto lenti. L’americano termina così al nono posto davanti ad un positivo Salles, con Magnussen e Jourdain a chiudere la zona punti davanti a Da Matta, rimasto senza marce nel finale.
Ordine d’arrivo
P
Pilota
Squadra
Numero
Vettura
Tempo
1
Dario Franchitti (P) (L)
Green
27
R/H/F
65 giri in 1:58:40.726 – 91.849 mph
2
Max Papis
Rahal
7
R/F/F
2.609
3
Adrian Fernandez
Patrick
40
R/F/F
7.445
4
Bryan Herta
Rahal
8
R/F/F
10.393
5
Michael Andretti
Newman Haas
6
S/F/F
11.185
6
Tony Kanaan
Tasman
44
R/H/F
11.359
7
Paul Tracy
Green
26
R/H/F
11.730
8
Robby Gordon
Gordon
22
S/T/F
19.890
9
Scott Pruett
PPI Wells
24
R/T/F
21.328
10
Gualter Salles
Bettenhausen
16
R/M/G
26.094
11
Jan Magnussen
Patrick
20
R/F/F
30.734
12
Michel Jourdain, Jr.
Coyne
19
L/F/F
33.048
13
Cristiano da Matta
PPI Wells
25
R/T/F
cambio
14
Memo Gidley
Coyne
71
L/F/F
60
15
Andrea Montermini
All American Racers
36
E/T/G
motore
16
Juan Pablo Montoya
Ganassi
4
R/H/F
incidente
17
Greg Moore
Forsythe
99
R/M/F
elettrico
18
Jimmy Vasser
Ganassi
12
R/H/F
pressione carburante
19
Mark Blundell
PacWest
18
R/M/F
incidente
20
Naoki Hattori
Walker
15
R/H/G
incidente
21
Helio Castroneves
Hogan
9
L/M/F
cambio
22
Al Unser, Jr.
Penske
2
L/M/G
motore
23
Richie Hearn
Della Penna
10
R/T/F
cambio
24
Patrick Carpentier
Forsythe
33
R/M/F
incidente
25
Christian Fittipaldi
Newman Haas
11
S/F/F
turbo
26
Mauricio Gugelmin
PacWest
17
R/M/F
trasmissione
27
Gil de Ferran
Walker
5
R/H/G
incidente
Telaio/Motore/Gomme
R=Reynard; L=Lola; S=Swift; E=Eagle
H=Honda; M=Mercedes; F=Ford; T=Toyota
F=Firestone; G=Goodyear
(P) punto per la pole position, (L) punto per il maggior numero di giri condotti in testa
Data e luogo di nascita: 22 aprile 1975, New Westminster (Canada)
Nazionalità: Canadese
Ruolo: Pilota
Greg Moore nasce a New Westminster, Columbia Britannica, il 22 aprile 1975. Suo padre Ric, che lo accompagnerà per tutta la carriera come manager e talvolta spotter, dirige una concessionaria d’auto, è un grande appassionato di corse nonché pilota amatoriale in Can-Am. Affascinato spettatore delle corse del padre, Greg a dieci anni chiede e ottiene un kart, che diventa ben presto una sua grande passione, al pari dell’hockey su ghiaccio, lo sport nazionale del Canada. Ma il paese nord americano ha anche una forte tradizione motoristica e un cuore pulsante di passione, ed è questa che alla fine convince Greg a scegliere le 4 ruote, relegando l’amato hockey a hobby. Le corse si sa sono però una passione costosa e Ric Moore negli anni dovrà chiedere un’ipoteca sulla casa e mettere a rischio la sua stessa attività, per dare a Greg una concreta possibilità di arrivare in alto. Il talento del ragazzo è però evidente e vale i rischi corsi. Greg vince subito nelle sue prime esperienze col kart, imponendosi nei vari campionati nazionali. Passa quindi alle monoposto, a soli 15 anni, impressionando nelle giornate di scuola in F.Ford e vincendo subito il titolo di rookie of the year nell’impegnativo campionato Esso Protec di categoria. L’anno dopo passa al campionato USAC West di Formula 2000, che vince alla grande e lo proietta verso la serie cadetta del grande circo americano, l’IndyLights. Greg, non ancora 18enne, ottiene per i primi mesi del campionato 1993 una speciale licenza per correre, dal momento che i minorenni non potrebbero neanche accedere ai box. Il giovane canadese corre ancora sostenuto dalla famiglia e qualche sponsor minore, per cui le disponibilità finanziarie sono limitate insieme alla dotazione tecnica e alle giornate di test. Il primo anno fa quindi esperienza, imparando a conoscere una macchina grossa e potente come la IndyLight, ottenendo un podio e vari piazzamenti.
Nel ’94, con la macchina perfettamente in mano, centra tre vittorie (tutte su ovali corti), diverse pole position e il terzo posto in campionato. Tutto ciò gli vale l’attenzione della Player’s, da sempre grande sostenitrice dei piloti canadesi, che prende Moore sotto la sua ala protettrice sostenendone finanziariamente la carriera che, nonostante il chiaro potenziale espresso e i mille sforzi del padre, rischiava di arenarsi. Nel ’95 si crea quindi un sodalizio che durerà fino al 1999. Moore diventa pilota ufficiale Player’s ed entra nel top team di Jerry Forsythe, magnate canadese grande appassionato di motori e proprietario di squadre, sia in IndyLights che in IndyCar. Con due anni di esperienza alle spalle e un team finalmente in grado di vincere, Greg annichilisce la concorrenza. Sullo stradale di Miami, alla prima corsa, rifila distacchi abissali al gruppo, vincendo alla grande. Dopo un primo assaggio a fine ’94 in una Nazareth in versione stradale, arriva anche un vero test in IndyCar, quando Roger Penske invita Moore e Scott Sharp a provare le proprie vetture in previsione della Indy500, data l’indisponibilità dei titolari. Da sempre grande scopritore di talenti, Penske guarda con interesse a Moore, pur sapendo che la sua carriera è ormai legata alla Player’s.
Il campionato intanto prosegue in modo trionfale. Moore batte ogni record, vincendo 10 delle 12 gare in programma. Un dominio simile in formula cadetta non si vedeva dai tempi di un altro canadese, Paul Tracy, di cui Moore appare l’erede, in tutti i sensi. Proprio come “the thrill from West Hill”, Greg corre e va in giro con dei vistosissimi occhiali dalle lenti rotonde, che lo fanno sembrare più un secchione con indosso una tuta ignifuga piuttosto che un astro nascente del motorismo mondiale. Ma nonostante i 19 anni e l’aspetto da liceale, Greg si dimostra un pilota non solo velocissimo ma anche maturo, pronto per la prossima sfida, il salto in IndyCar. Il passaggio in F1 di Jacques Villeneuve facilita le cose, con la Player’s che lascia il team Green e sostiene esclusivamente il team Forsythe, che schiererà una sola vettura per Moore, in sostituzione di Teo Fabi.
Il 1996 è un anno di transizione per le corse americane. L’IndyCar si è scissa in due serie antagoniste, CART e IRL, con la prima che conserva le tappe principali del calendario e tutti i migliori attori mentre la seconda può vantare solo l’Indianapolis 500 come fiore all’occhiello. Il team Forsythe rimane ovviamente fedele alla CART e Greg Moore è tra i principali indiziati per il titolo di rookie of the year. Le attese sul giovane canadese, dopo la trionfale stagione in IndyLights, sono altissime e sono in molti a credere che sarà lui la stella del futuro. A Homestead, prima gara stagionale, sembrano arrivare le prime conferme. In una corsa nervosa e lungamente interrotta dalla pioggia, Moore si mette in mostra come grande protagonista. Nelle prime fasi battaglia alla pari con piloti del calibro di Rahal, Unser Jr, Gordon e Pruett, sbeffeggiandoli con millimetrici sorpassi all’esterno ma venendo spesso ripassato nel traffico. Fino alle fasi finali Moore resta in zona vittoria, ma perde un giro per scontare una penalità per infrazione in regime di bandiere gialle. Le speranze di un’incredibile vittoria al debutto sono sfumate ma è ora che inizi il Greg Moore show: con una macchina che non ha fatto che migliorare per tutta la corsa, Greg si ritrova nella parte bassa del gruppo a 30 giri dalla fine e inizia un’incredibile teoria di sorpassi. Che gli valgano una posizione o un giro recuperato poco conta, Moore passa con irridente facilità, sfilando all’esterno un po’ tutti fino ai primi: Rahal, Gordon, Pruett, De Ferran e, infine, il vincitore Vasser, spettatore incredulo del ritmo infernale del giovane canadese. La prestazione vale a Greg un settimo posto ed elogi sperticati, nonostante l’evitabile penalità che gli ha negato una probabile vittoria.
Nell’appuntamento successivo di Rio le cose vanno ancora meglio. Moore parte in seconda fila e guida a lungo il gruppo nel tratto centrale. In testa a una corsa IndyCar a vent’anni e alla seconda gara in carriera! Un problema tecnico lo costringe al ritiro, ma il canadese si rifà in Australia, dove coglie un ottimo terzo posto. Due settimane dopo però, a Long Beach, è vittima di un incidente con Christian Fittipaldi. Un normale contatto di gara per il quale il focoso brasiliano incolpa in toto il rookie. A Nazareth, primo vero ovale corto dell’anno, Moore porta a termine una gara molto positiva conquistando il secondo posto alle spalle di Andretti. Dopo di che è la volta di un super speedway e della prima 500 miglia, la US500 che la CART organizza in contrapposizione alla Indy500. Si corre a Michigan e Greg ancora una volta stupisce. Sempre veloce nelle prove, in gara fa faville, lottando a lungo nelle zone alte della classifica, come sempre con grandi manovre all’esterno. Il sogno di una clamorosa vittoria però va in fumo, insieme al suo motore, a 27 giri dalla fine, quando si trova al terzo posto. In precedenza Moore era stato anche protagonista di un’avventura spaventosa ma a lieto in fine. In lotta con Andre Ribeiro, il canadese perde il controllo della vettura in curva 2. La macchina compie una serie di piroette ma viene ripresa nell’erba dal pilota, che la conduce senza danni ai box, prima di riprendere la corsa. Un controllo straordinario, in parte merito della fortuna, ma ancora una volta Greg mette in mostra grande sangue freddo. A Milwaukee si ripete. Unico a tenere il ritmo delle Penske e di Andretti, perde il controllo in curva 4 nelle ultime battute ma raddrizza la macchina e si salva dal muro infilando la corsia box! Un altro controllo grandioso e un altro piazzamento pesante.
Inizia così la stagione degli stradali e si accende la battaglia per il titolo di rookie of the year. Se Greg ha finora dominato la scena, un grande concorrente sta per segnare indelebilmente la storia della CART, Alex Zanardi. Inizia così una grande rivalità che caratterizzerà i due anni successivi. A Portland Zanardi infila la prima vittoria e con una impressionante serie di risultati offusca Greg e si lancia all’inseguimento di Vasser per il campionato. Inizia un periodo chiaro scuro per Moore. Al podio di Cleveland e il quarto posto di Toronto, si contrappongono i ritiri di Detroit e Portland e gli incidenti di Mid Ohio ed Elkhart Lake. A Michigan, nella Marlboro 500, Greg rimane attardato da problemi a una sospensione, ma al primo giro è coinvolto nel terribile incidente che pone fine alla carriera di Emerson Fittipaldi. Partito in prima fila, Greg subisce al primo giro un rischioso attacco all’esterno del veterano brasiliano in curva 2. Le vetture sono vicinissime e la ruota posteriore sinistra di Fittipaldi entra in contatto con l’anteriore destra di Moore. In seguito Fittipaldi e altri piloti accuseranno il canadese di aver innescato l’incidente. Moore in effetti allarga leggermente la traiettoria, un scarto probabilmente causato dall’azione congiunta di turbolenza e gomme fredde, lieve ma sufficiente a mandare in testacoda la Penske.
Moore sente la pressione di Zanardi e, nel tentativo di tenere aperto il discorso per il titolo di rookie dell’anno, commette degli errori. A Mid Ohio butta alle ortiche un discreto piazzamento tentando un impossibile attacco su Ribeiro, che si rifà due settimane più tardi a Road America con una manovra molto pericolosa. Moore tenta di riprendere al paulista la posizione persa nella precedente ripartenza, affiancandolo nel velocissimo tratto che conduce alla Canada Corner. A vetture appaiate, Ribeiro spinge Moore sull’erba, la macchina del canadese alza il muso, raschia contro il muro e solo per miracolo finisce la sua corsa nelle vie di fuga, senza urtare niente e nessuno. Un grande spavento in una pista pericolosa come Road America. La stagione di Moore finisce con il cambio KO a Vancouver e un sesto posto a Laguna Seca. Un primo anno positivo, specie nella prima parte, ma messo in ombra dal ritorno prepotente di Zanardi, culminato col famoso sorpasso su Bryan Herta al Cavatappi di Laguna Seca. In realtà valutare con lo stesso metro di giudizio le stagioni dei due piloti significherebbe fare, almeno in parte, un torto a Moore. Zanardi arriva in America all’apice della sua maturazione di pilota, dopo importanti esperienze in F1 e in generale nell’impegnativo panorama delle competizioni europee. Moore, al primo anno in una serie davvero di alto livello, ha fatto vedere i classici pregi e difetti del debuttante. Velocità, grinta, esuberanza, errori evitabili. In molti si aspettavano qualche vittoria, ma tutti rimangono comunque colpiti da questo 21enne, subito inseritosi nel ristretto circolo delle star di una categoria impegnativa come la CART, notoriamente più adatta a piloti veloci ma esperti.
Considerando queste premesse, Moore nel 1997 è tra i piloti più attesi, sebbene la lotta per il titolo sembri un affare privato tra Penske, Ganassi e Newman Haas. In realtà la stagione inizia in modo tribolato per il team Forsythe, che a poche settimane dalla partenza decide di adottare nuovamente i telai Reynard in luogo dello chassis Lola, usato nei test invernali e rivelatosi molto deludente. Moore corre quindi a Homestead con la vettura del ‘96, ottenendo un buon quarto posto dopo una corsa accorta. Nel 1997 il team Forsythe prosegue quindi con il pacchetto Reynard-Firestone, accoppiato al motore Mercedes, che combatterà alla pari col blasonato V8 Honda, campione in carica col team Ganassi. A Surfers Paradise, secondo appuntamento stagionale, Moore approfitta dell’incidente tra Zanardi e Tracy e coglie un ottimo secondo posto dietro Scott Pruett. Un contatto con lo stesso Tracy lo relega però nelle retrovie a Long Beach, che lo precede poi nella corsa successiva a Rio, dove Greg coglie un ottimo secondo posto grazie anche alle ottime doti di consumo del motore Mercedes. Non altrettanto positiva è la corsa di Nazareth, viziata da problemi di assetto, mentre guai all’ultima sosta ai box lo estromettono dalla lotta per la vittoria sull’ovale corto di St Louis, dove Greg per lunghi tratti dà spettacolo nelle prime posizioni. Si arriva quindi a Milwaukee. Dopo una sfuriata iniziale di Paul Tracy, per due volte Moore passa il compatriota per la prima posizione, ritrovandosi però nel gruppo a metà gara, a causa di una strategia sfalsata rispetto agli altri. Nelle ultime battute Steve Challis, ingegnere di pista e fraterno amico che lo accompagnerà per tutta la carriera, decide per un azzardo strategico. Sfruttando ancora le doti di consumo del motore Mercedes, Moore eviterà l’ultimo pit stop prendendo la testa della corsa. Con alle spalle uno scatenato Michael Andretti, Moore gestisce con autorevolezza le ultime decine di miglia e a 22 anni diventa il più giovane vincitore di una corsa sanzionata CART. Le tante promesse vengono finalmente mantenute, il successo lancia Greg nelle parti alte della classifica e nella lotta per il campionato.
L’appuntamento successivo è a Detroit, dove le particolari caratteristiche del motore Mercedes si rivelano ancora determinanti. Moore parte in quarta fila, ma passa i diretti rivali durante le soste e nelle ultime fasi si ritrova dietro Gugelmin e Blundell, compagni di squadra nel team PacWest, anch’essi motorizzati Mercedes. I due tentano una strategia molto rischiosa: evitare l’ultima sosta sperando in una bandiera gialla nel finale. L’agognata neutralizzazione però non arriva e il team PacWest vede entrambe le vetture fermarsi con i serbatoi vuoti, a poche decine di metri dal traguardo. Moore ringrazia e coglie la seconda vittoria consecutiva. L’euforia è totale nei box del team Forsythe, ancora più lanciato in chiave titolo. In condizioni climatiche estremamente variabili, Moore coglie un quinto posto a Portland, ma si ritira a Cleveland con il motore in fumo. Da qui, un po’ come accaduto nella stagione precedente, sale in cattedra Alex Zanardi. Il pilota italiano infila una lunga serie di podi, condita da quattro vittorie, mentre i suoi avversari lentamente si eclissano. Dopo quello di Cleveland, Moore è costretto al ritiro anche a Toronto e Michigan. In Canada è proprio un contatto con Zanardi a metterlo fuori gioco, mentre nella US500 è il turbo a lasciarlo a piedi.
Il canadese mantiene in vita le sue speranze di titolo a Mid Ohio, con un secondo posto alle spalle di Zanardi, ma un’uscita sotto l’acqua a Road America e un muretto colpito a Vancouver lo relegano definitivamente fuori dai giochi. Nell’ultimo appuntamento, la Marlboro 500 sul nuovo superspeedway di Fontana, Moore mette in mostra il meglio del suo repertorio, correndo da veterano e ritrovandosi in testa nella fase decisiva della corsa. Sarà però la rottura del motore negli ultimi giri a negargli un successo quasi certo. Termina così un campionato che ha visto Greg entrare nel circolo dei vincitori di tappa, ma il canadese dimostra di avere ancora da imparare per poter lottare per il titolo, in particolare quando la stagione entra nel vivo e non sono più permessi errori. Sportivamente il 1997 non finisce però qui. In qualità di pilota Mercedes di riferimento in America, Moore viene invitato a guidare una delle CLK-GTR della casa tedesca nelle ultime due prove del campionato FIA GT, in programma a Sebring e Laguna Seca. Al debutto su una GT, Greg si comporta molto bene, impressionando i manager tedeschi per la facilità con cui si porta subito sui tempi dei titolari. Viene affiancato ad Alex Wurz, con il quale si instaura subito un ottimo rapporto. L’equipaggio austro-canadese terminerà entrambe le gare al settimo posto, con Wurz che conquista la pole a Laguna Seca.
Per il 1998 il campionato CART sembra essere un affare a tre: Alex Zanardi, che da favorito nel ‘97 ha rispettato il pronostico e ha tutto per puntare al bis; Michael Andretti, che porta in pista una Swift-Ford-Goodyear perfettamente a punto e pronta, sulla carta, per ogni superfice; Greg Moore, che con un anno di esperienza in più è atteso alla prova della maturità. Per il ’98 Player’s e Forsythe decidono di raddoppiare gli sforzi e affiancano a Greg il veloce franco canadese Patrick Carpentier, al secondo anno nella CART dopo l’esordio nel team Bettenhausen. Avere una sola vettura ha in parte penalizzato Greg e la squadra dal punto di vista degli assetti. L’arrivo di Carpentier è visto come un passo avanti del team Forsythe per raggiungere le squadre di vertice. La squadra utilizza anche nel ’98 la combinazione Reynard-Mercedes-Firestone, con la casa tedesca che ha vinto nel ’97 il titolo riservato ai motoristi.
La stagione che inizia a Homestead rispetta in pieno i pronostici. Moore coglie una pole position stratosferica, con oltre due miglia l’ora di media di vantaggio sul secondo, Andre Ribeiro sulla Penske. Il canadese diviene anche, a 22 anni, il più giovane poleman nella storia della serie. In gara Moore domina fino alla prima sosta, durante la quale la squadra si accorge che gli air jack che dovrebbero sollevare la vettura, non funzionano. In tutte le soste i meccanici dovranno usare dei cavalletti manuali, con ovvia perdita di tempo e posizioni. In una pista in cui i sorpassi sono molto difficili, la risalita nel gruppo del canadese ha del prodigioso. Moore passa anche tre macchine in un giro, sfruttando magistralmente il traffico, arrischiando spettacolari sorpassi all’esterno. Le posizioni perse a ogni sosta sono però troppe per permettere al canadese di lottare per il successo e allora Steve Challis prende una decisione drastica: Moore non cambierà le gomme nell’ultimo pit stop, effettuando solo il rifornimento. La mossa lancia Greg in terza posizione, ma il canadese dovrà finire la corsa con gomme già parzialmente usurate. Dopo aver resistito coraggiosamente all’esterno ad una attacco di Christian Fittipaldi, Moore passa Zanardi dopo l’ultima ripartenza e si lancia all’inseguimento di Andretti, dominatore della corsa. All’ultimo giro, sfruttando un doppiaggio, riesce quasi ad affiancare l’americano nelle curve 3 e 4, ma dovrà comunque accontentarsi del secondo posto.
A Motegi, seconda corsa stagionale, Moore coglie un discreto quarto posto, avendo la meglio su Paul Tracy in un infuocato duello a base di ruotate negli ultimi giri. Il piazzamento gli vale la testa del campionato, che prosegue a Long Beach, dove il canadese arriva settimo dopo aver scontato una penalità nel finale per infrazione ai box, per poi tornare sul podio a Nazareth, terzo dietro le vetture del team Ganassi. Con Andretti attardato da errori e contrattempi, il titolo appare un affare privato tra Moore e Zanardi, che ha vinto in modo spettacolare in California ed è arrivato secondo in Pennsylvania. Si va quindi a Rio, dove la corsa si risolve in uno spettacolare duello tra i due rivali. In una sfida sul filo dei consumi, Moore prima rischia il testacoda e poi, sfruttando perfettamente un doppiaggio, attacca Zanardi alla staccata della curva 1, trovando uno strepitoso sorpasso all’esterno che gli garantisce la vittoria e nuovamente la testa del campionato. La sfida prosegue a St. Louis, dove è però Zanardi a trionfare, mentre Greg chiude terzo lamentando un forte sovrasterzo. Milwaukee si rivela invece amara per entrambi. Moore domina la corsa ma non può evitare Gugelmin, che gli frena davanti accecato dal fumo del motore esploso di De Ferran. Perde diversi giri per le riparazioni e finisce fuori dai punti, mentre Zanardi chiude solo ottavo. A Detroit i due battagliano fin dalle prove, con il canadese che strappa la pole al rivale per due decimi. In gara però Zanardi ha un ritmo superiore e vince ancora, mentre Moore chiude quinto.
A questo punto, come negli anni precedenti, il campionato di Greg ha una flessione, con un mix di evitabili errori e problemi tecnici. A Portland, un week end iniziato male con delle pessime prove, finisce alla prima curva quando il canadese manca il punto di frenata e travolge Andretti e Fittipaldi. A Cleveland, un’altra brutta qualifica complice un’intossicazione alimentare, conduce ad un incidente in gara dopo pochi giri, mentre a Toronto saranno problemi al turbo a relegarlo quasi fuori dai punti. Zanardi intanto vince le tre corse e chiude virtualmente il campionato. Si arriva alla US500, per la prima volta corsa con l’Handford device, un dispositivo aerodinamico montato sull’alettone posteriore che frena le vetture e cambia completamente il modo di correre sui super speedway. Ancora una volta Moore dimostra di essere nato per correre sugli ovali. Problemi alla frizione lo rallentano per tutta la gara durante i pit stop, ma il canadese è in grado di recuperare e tenere il contatto coi primi. Poi il capolavoro. All’ultima ripartenza, a quattro giri dalla fine, Moore sale in cattedra, approfitta della battaglia interna al team Ganassi e coglie la vittoria nella corsa più importante della stagione, la prima in una 500 miglia.
La vittoria mantiene a galla Greg in classifica ma il periodo nero sugli stradali prosegue. A Mid Ohio, approfittando di un incidente multiplo nelle prime fasi, Moore prende la testa e controlla la corsa con autorità fino al secondo pit stop. Davanti a lui si è appena fermato Ribeiro, un po’ “di traverso”, subito attorniato dai meccanici del team Penske. Moore nel lasciare la sua piazzola fa pattinare troppo le gomme, cosa inutile dato il cospicuo vantaggio sul secondo, strappando di mano a un meccanico una gomma con la sua posteriore sinistra e colpendo la vettura di Ribeiro. L’errore mette in grave pericolo i membri del team Penske e nega al canadese un’altra vittoria, oltre a costargli un periodo di probation. A Road America, un altro problema alla frizione lo ferma mentre è in testa grazie alla strategia, mentre a Vancouver (corsa per lui di casa ma stregata) è coinvolto in un contatto multiplo dovuto ad un rallentamento improvviso del gruppo. A Laguna Seca si ritira col motore in fumo mentre a Houston spreca la pole, girandosi al primo giro sotto il diluvio e coinvolgendo il solito Christian Fittipaldi. Poca gloria ci sarà anche a Surfers Paradise, dove risale fino all‘ottavo posto dopo una sosta supplementare per problemi al pedale del freno.
Poi arriva la Marlboro500 a Fontana, dove Moore è protagonista per tutta la gara e arriva a giocarsi la vittoria negli ultimi giri contro Vasser e Zanardi, gli stessi avversari della US500. La corsa si decide con una ripartenza all’ultimo giro. Moore riparte in testa ma sa che, a causa dell’enorme scia creata dall’Handford device, non ci resterà a lungo. Entrambe le vetture del team Ganassi lo passano prima di curva 1. Greg riesce a ripassare Zanardi all’ingresso della curva 3, ma nulla può per riprendere Jimmy Vasser, che conquista 500 miglia, milione di dollari in palio e secondo posto in campionato. Moore chiude quinto una stagione in cui coglie due vittorie, una delle quali in una 500 miglia, ma tutto sommato deludente, non essendo il canadese riuscito a rivaleggiare con Zanardi oltre metà stagione.
Nel 1999, ancora più che negli anni precedenti, Moore è tra i favoriti insieme a Franchitti, Vasser e Andretti. Senza più Zanardi e con due anni da contendente al titolo alle spalle, il canadese sembra essere nelle condizioni ideali per puntare al titolo. La stagione parte bene, con l’accoppiata pole-vittoria a Homestead e alcuni buoni piazzamenti a Motegi e Long Beach. Negli anni la guerra tra i motoristi si è fatta però accesa e la Mercedes comincia a perdere colpi, sia nei confronti della Honda che della Ford. D’altronde, già nel ’98, solo Moore aveva realmente rappresentato la Mercedes nelle parti alte della classifica. La stagione va quindi avanti tra alti e bassi, con i team Honda che si spartiscono le vittorie (se si esclude qualche intromissione di Andretti e Fernandez) e nessuno dei piloti motorizzati dalla casa tedesca a inserirsi nei giochi di testa. Moore, tra piazzamenti poco entusiasmanti, vari problemi tecnici e qualche errore, conquista un secondo posto a Milwaukee e un terzo a Detroit.
A Michigan lotta ancora con una frizione recalcitrante, che blocca definitivamente le sue rimonte. La nota più importante di questa stagione riguarda qualcosa che accade fuori dalle piste. Roger Penske, dopo anni di risultati arrivati col contagocce col suo telaio, il motore Mercedes e le gomme Goodyear, decide per una svolta radicale e opta per il 2000 per l’accoppiata vincitutto Reynard-Honda e due nuovi piloti: Gil De Ferran e Greg Moore. Per il canadese, dopo quattro anni positivi ma non straordinari al team Forsythe, arriva l’opportunità che vale una carriera, con tutti i vantaggi e le responsabilità che ne derivano. Greg, molto legato agli uomini che lascia e al suo ingegnere Steve Challis, è quindi determinato a chiudere la stagione in bellezza nel terreno a lui amico della Marlboro500, a Fontana. Le cose però non si mettono bene fin dall’inizio. Mentre percorre il paddock in motorino, viene urtato da una macchina che lo fa cadere, procurandogli una frattura e profonde escoriazioni alla mano destra, che ne mettono a rischio la partecipazione alla corsa. Non può nemmeno disputare le qualifiche e si prende in considerazione la possibilità di far correre al suo posto Roberto Moreno. Greg è però determinato a chiudere positivamente la stagione e il rapporto con Player’s e Forsythe, consapevole anche della competitività della vettura su questa pista. Contro il parere di molti, compreso suo padre Ric, decide di correre, aiutato da un particolare tutore sperimentato con successo nel warm up. Ovviamente il non disputare le qualifiche lo costringerà a partire dal fondo. Anche Paul Tracy prende il via dalle retrovie e prima della partenza scherza con Moore. “Ci vediamo là davanti”, gli dice Greg.
La corsa comincia con un forte vento che mette in difficoltà diversi piloti, rendendo la macchina sottosterzante nelle curve 3-4 e sovrasterzante in 1-2. Greg tiene subito fede ai propositi, recuperando numerose posizioni in pochi giri, viaggiando all’esterno addirittura a tre macchine in certi frangenti. Poi la corsa viene interrotta per l’incidente di Richie Hearn. Il pilota americano perde il controllo della vettura in curva 2 e sbatte con una certa violenza contro il muro interno. La corsa riparte al 7° giro ma al 9° viene interrotta di nuovo, stavolta per molto tempo. La causa è Greg Moore, che dal 27° era risalito al 15° posto. Il pilota canadese perde il controllo in curva 2, con la vettura che ad altissima velocità finisce nell’erba interna alla pista. Una strada di accesso per i veicoli dei commissari interrompe però lo scivolamento, fungendo da perno e sollevando la vettura, che finisce la sua corsa contro il muretto interno, con la parte alta che impatta per prima. Le immagini dell’incidente sono agghiaccianti e il comunicato del dottor Steve Olvey, arrivato circa un’ora più tardi, conferma quanto tutti temevano. Greg non c’è più.
La corsa va avanti con le bandiere a mezz’asta e i piloti che corrono inconsapevoli di aver perso uno dei colleghi più stimati e ben voluti. Una volta tagliato il traguardo, il dolore e l’incredulità regnano sovrane. In un ambiente abituato ad avere la morte come compagna di viaggio, la scomparsa di Greg Moore lascia un vuoto incolmabile. La comunità della CART era già stata profondamente toccata dalla morte, sempre in quel 1999, di Gonzalo Rodriguez a Laguna Seca. Ma la scomparsa di un ragazzo che nel paddock tutti hanno visto crescere, il dolore di una famiglia da tutti ben voluta, la tragica uscita di scena di un talento dal futuro radioso, scuotono l’ambiente. Robby Gordon, anche a causa dell’incidente, lascia la CART e per i tanti amici, Dario Franchitti, Max Papis, Tony Kanaan, Paul Tracy e Jimmy Vasser su tutti, l’inverno sarà molto triste e pieno di incertezze. Franchitti, già amareggiato per aver perso il titolo contro Montoya, scoppia a piangere nel momento in cui suo padre George lo informa della scomparsa del suo migliore amico. Lo scozzese, visibilmente commosso, dedicherà poi a Moore la sua vittoria di Fontana, nel 2005.
L’incidente solleva anche diverse polemiche legate alla sicurezza. Ci si chiede il senso di quella strada d’accesso nel bel mezzo del prato, che ha sollevato da terra la vettura durante il testacoda. Ci si interroga sull’eccessiva potenza delle vetture CART, che nonostante le limitazioni sono in grado di viaggiare nuovamente a 390 kmh di media in catini come Michigan e Fontana. Si punta il dito contro l’Handford device, dispositivo introdotto per ridurre le velocità ma anche causa di lamentele da parte dei piloti. La nuova ala riduce si la velocità delle vetture, creando un enorme freno aerodinamico, ma rende le auto instabili, talvolta imprevedibili e difficilmente recuperabili in caso di perdita di aderenza. Un rischio aggiuntivo in corse in cui le velocità elevatissime mettono già in dubbio le condizioni di sicurezza. Lo stesso muro su cui Moore sbatte, non parallelo alla pista per permettere l’ingresso dei mezzi di soccorso, ha avuto le sue responsabilità sulla gravità dell’incidente. La CART reagisce nel 2000 introducendo un nuovo Handford device, negli intenti meno sensibile ai disturbi aerodinamici e in grado di “far sentire” di più la macchina ai piloti. Nella realtà le lamentele proseguiranno fino al 2001, quando la serie limiterà l’uso del dispositivo ai super ovali insieme a nuove limitazioni sui motori. In tutti gli ovali veloci la zona interna alle curve, che separa la pista dal muro interno, viene totalmente asfaltata, così da permettere a una macchina fuori controllo di decelerare più efficacemente. Gli stessi muri interni vengono protetti da file di gomme. Nel 2001 sarà reso obbligatorio l’uso dell’Hans device, dispositivo poi universalmente adottato che riduce gli effetti delle decelerazioni da impatto sul collo dei piloti. Nello stesso anno le vetture stesse subiranno una graduale riduzione delle potenze, anche in un’ ottica di abbassamento dei costi.
Come nel caso di Ayrton Senna e altri piloti scomparsi in gara, la morte di Greg Moore concorre almeno nel garantire migliori condizioni di sicurezza per le corse che in seguito verranno.
Il posto di Moore nel team Player’s viene preso da un altro canadese, Alex Tagliani. Sarà però Paul Tracy, nel 2003, a portare a Jerry Forsythe il tanto agognato titolo CART. Proprio Tracy avrà l’onore di vincere nel 2000 la corsa di Vancouver, evento interamente dedicato alla memoria di Greg con i genitori, Ric e Donna Moore, che premieranno il canadese, che avrà la meglio su Franchitti. Forse la sconfitta più dolorosa della carriera di Dario, che si rifarà due anni dopo. Roger Penske, proprietario tra l’altro della pista in cui Moore perde la vita, sceglie in extremis al suo posto Helio Castroneves, che sarà autore di una buona stagione, premiato al termine col Greg Moore Legacy Award. La CART istituisce questo premio annuale alla memoria del canadese, da assegnare al pilota che più di tutti ne porta avanti lo spirito, in pista e fuori. La serie decide inoltre di ritirare il numero 99, che ha accompagnato la carriera di Greg fin dai kart.
In molti in seguito condivideranno ricordi e impressioni sul giovane canadese. Roberto Moreno dirà: ”se avessi corso al suo posto sarebbero successe due cose: Greg sarebbe ancora con noi e io non avrei avuto l’incidente, perché non avrei tentato le manovre che lui stava facendo”. Il brasiliano sarà poi molto commosso nel ricevere il trofeo del vincitore della corsa di Vancouver nel 2001. Tutti ne rimarcheranno il grandissimo talento, il coraggio, ma più di tutto l’attitudine, dentro e fuori dalla pista. Alex Zanardi dirà: “era un ragazzo di quelli veri, uno di quelli che in pista non mollava un millimetro ma fuori dall’abitacolo, se gliele avevi suonate di santa ragione, era sempre il primo a farti i complimenti anche digrignando i denti”.
Perché Moore non era solo un grande pilota. Nonostante la giovane età, Greg era una figura polarizzante, carismatica, un elemento di aggregazione in un mondo in cui la competizione estrema sembrerebbe non lasciare spazio a sincere amicizie. Moore era il simbolo del “what happens on the track, stays on the track”, del riuscire a separare la carriera dalla vita normale . Questo gli ha permesso di stringere amicizie profonde con piloti come Dario Franchitti, Max Papis, Tony Kanaan ma anche Paul Tracy e Jimmy Vasser oltre che rapporti di stima e rispetto con i vari Zanardi, Andretti, Gordon, Montoya e molti altri, per non dire tutti gli altri. In un ambiente duro ma più aperto al cameratismo rispetto alle corse europee, Moore ha contribuito in modo determinante al clima di rispetto e amicizia che ha unito i piloti di quella generazione. Un modello di sportività che ancora oggi fa scuola e costituisce forse l’eredità più grande lasciata da Greg, senza sottostimare le sue gesta in pista che lo hanno consacrato come pilota di livello mondiale, lasciandoci con il grande interrogativo non del se, ma di quanto avrebbe potuto vincere come punta del team Penske.
Ciò che sportivamente ha impressionato di Moore era la sua straordinaria abilità negli ovali. La sua incredibile sensibilità ad altissime velocità, il suo controllo in condizioni estreme. Ma soprattutto i suoi numeri, manovre incredibili, sorpassi all’esterno che in pochissimi potevano emulare. Lo accusavano di essere un oval master non altrettanto forte sugli stradali. Il tempo e la maturazione lo avrebbero portato a eccellere anche in quell’ambiente, in particolare nel team Penske. Come è solito dire Franchitti infatti: ”riuscite a immaginare cosa avrebbe potuto fare con un motore Honda?!”
Non avremo mai la risposta, abbiamo però visto abbastanza per dire che Moore avrebbe continuato a dare spettacolo e a guadagnarsi rispetto e ammirazione di tutti per molti anni ancora.
Dario Franchitti, Max Papis, Paul Tracy e il giornalista Mike Zizzo raccontano a Marshall Pruett i loro ricordi di Greg a vent’anni dalla sua scomparsa. Invito chi volesse approfondire ulteriormente vita e carriera del canadese a guardare questa splendida riunione.
Con l’abbandono delle case e di buona parte dei top teams, la CART 2003 ha davvero poco in comune con quella di 12 mesi prima. Dopo il pasticcio del passaggio, poi annullato, ai motori atmosferici, la serie accetta la monofornitura Ford di unità turbo compresse da circa 750 cv. derivate dall’XF. Il congelamento dei telai, deciso nel 2002 per contenere i costi, lascia inalterati gli equilibri visti nella stagione precedente, rendendo imprescindibile un telaio Lola e sancendo la lenta sparizione della Reynard, ormai fallita. Ne consegue che le poche squadre superstiti della CART, che ben conoscono le vetture, la fanno da padrone sulle nuove compagini. Rifiutato il passaggio in IRL, Paul Tracy viene ingaggiato a peso d’oro da Jerry Forsythe, che all’ultimo anno di sponsorizzazione Player’s prima del bando ai marchi del tabacco, è condannato a vincere. L’avversario, manco a dirlo, è il team Newman Haas, che al nuovo acquisto Junqueira affianca il campione F.3000 Sebastien Bourdais. Michel Jourdain, unica punta di un team Rahal con un piede fuori dalla porta, fa da terzo incomodo. Alla fine il titolo va al canadese, al termine di una lunghissima stagione che, coerentemente con il personaggio, è un continuo alternarsi di alti e bassi, tra prestazioni dominanti in serie, problemi tecnici e qualche contatto di troppo. Tra questi un botta e risposta con Bourdais a dare il via a una rivalità che farà storia. Più di Junqueira, è infatti il francese il vero avversario di Tracy, grazie a un mix esplosivo di aggressività in gara e velocità in qualifica che, seppur fuori controllo in qualche occasione nel 2003, segnerà la stagioni successive.
NOVITà REGOLAMENTARI
Con l’abbandono di Honda e Toyota e l’accantonamento del passaggio ai motori atmosferici, la serie decide per un regime di monomotore Ford, che fornisce una versione rivista del proprio XF. Per garantire una longevità di circa 1200 miglia, il propulsore progettato dalla Cosworth vede una riduzione del regime massimo di rotazione da 16.000 giri/min a 12.000 giri/min. Un aumento di circa 4 pollici di mercurio di pressione del turbo (dai 34 in hg ammessi nel 2002) porta ad una pressione massima di 1,387 bar, garantendo una potenza massima di circa 750 cv, resi più difficili da gestire da una elettronica meno evoluta.
Sul fronte telaistico, Lola e Reynard, congelati nello sviluppo dalla metà del 2002, sono gli unici telai ammessi. La mancanza di aggiornamenti affligge soprattutto le squadre Reynard, già in difficoltà nella stagione precedente.
Per la trasferta europea di Brands Hatch e Lausitzring la CART impone l’adozione del medesimo pacchetto aerodinamico.
*La 500 miglia di Fontana, programmata come prova conclusiva del campionato, è stata annullata per via dei violenti incendi sviluppatisi nella zona nelle settimane precedenti.
RACCONTO DELLA STAGIONE
Il rookie Bourdais tiene fede ai bellicosi propositi manifestati nei test, presentandosi al pubblico Champcar con una perentoria pole position nelle strade di St. Petersburg. Il francese comanda le prime fasi di corsa, ma a differenza di buona parte dei rivali non approfitta della seconda neutralizzazione per rifornire. Inghiottito dal gruppo una volta effettuato il pit stop in bandiera verde, si ritira dopo aver rotto una sospensione contro un muretto. Liberatosi di Monteiro, a lungo in testa in virtù di una diversa strategia, Tracy prende quindi il comando delle operazioni, conducendo con margine fino al traguardo davanti al solido Jourdain, che dopo essersi liberato di Carpentier, autoeliminatosi in curva 7, nel finale riesce a staccare Junqueira, penalizzato nelle prime fasi da una sosta problematica.
Bourdais ci riprova a Monterrey, conquistando un’altra larga pole position e contenendo un aggressivo Tracy nelle prime fasi. Il francese rovina però ancora la sua bella prova prima non sentendo il messaggio di richiamo in pit lane, poi ponendo fine a una bella rimonta dal fondo colpendo un altro muretto. Passato in testa, neanche un motore spento durante la seconda sosta ferma Tracy, che vince agevolmente davanti al consistente Jourdain. Tagliani conclude sul podio recriminando per un pit stop lento che gli nega la piazza d’onore, mentre Fernandez precede sul traguardo Junqueira, in lotta per il podio prima di un solitario testacoda a metà gara.
A Long Beach tocca invece a Jourdain conquistare una sorprendente pole position ai danni di Tracy, che però prende subito il comando con una partenza al limite. Il messicano ribalza però davanti dopo il primo pit stop, ingaggiando con il capo classifica una lunga battaglia di pura velocità. Entrambi puntano infatti su una strategia a tre soste, rispetto alle due scelte dagli inseguitori, capitanati da Fernandez. Quando ormai la vittoria sembra in vista, la trasmissione tradisce però Jourdain alla ripartenza dal rabbocco finale. Tracy prende quindi il comando e negli ultimi giri deve solo controllare Fernandez per centrare il terzo successo consecutivo. Un costante Junqueira chiude il podio davanti a Vasser, che a due giri dal termine vede Servia fermarsi col serbatoio vuoto. Problemi al motore eliminano invece Bourdais a metà gara.
Tracy rompe il digiuno di pole position nella prima tappa della trasferta europea a Brands Hatch, dove guida il primo tratto di gara tenendo a distanza Bourdais. Il francese è però più veloce nella prima sequenza di soste, prendendo con margine il comando quando il cedimento del motore costringe al ritiro il capo classifica. Con Tracy fuori gioco Bourdais è libero di veleggiare verso la prima vittoria, guidando una doppietta Newman-Haas completata dal poco spettacolare ma consistente Junqueira, che precede Dominguez, premiato da una strategia risparmiosa.
Pos.
Pilota
Punti
1
Paul Tracy
65
2
Bruno Junqueira
54
3
Michel Jourdain, Jr.
42
4
Adrian Fernandez
29
5
Patrick Carpentier
28
6
Sebastien Bourdais
27
7
Mario Dominguez
24
7
Roberto Moreno
24
9
Alex Tagliani
22
10
Mario Haberfeld
20
L’egemonia Newman-Haas prosegue al Lausitzring, dove Bourdais torna in pole position e comanda a lungo le prime fasi, alternandosi al vertice con Junqueira. Mentre Tracy naviga nelle retrovie rallentato da un eccessivo carico aerodinamico, davanti Bourdais deve però vedersela con Dominguez, che passa a condurre dopo le prime soste e si difende strenuamente dagli attacchi del francese, ricevendo anche una penalità. I due danno vita a un duello tesissimo che coinvolge nel finale anche Jourdain, emerso in testa dall’ultima sosta. Il messicano non può però resistere a Bourdais, che prende il comando negli ultimi giri, difendendosi talvolta oltre il limite da Dominguez, che chiude secondo in volata. Bourdais centra quindi la vittoria al debutto su un ovale, mentre Jourdain completa il podio davanti a Junqueira e Servia, separati da pochi millesimi sul traguardo.
Alex Tagliani conquista a sorpresa la pole nell’appuntamento successivo di Milwaukee, ma a dominare la corsa è Jourdain, che lo affianca in prima fila. Dopo una immediata bandiera gialla per un testacoda di Junqueira, che spedisce a muro anche gli incolpevoli Moreno e Lemarié, il messicano passa infatti a condurre, solo saltuariamente insidiato da Tracy, che per tutta la corsa ha il suo bel da fare nel contenere Servia, leggermente più veloce. Una ruota mal avvitata nell’ultima decisiva sosta elimina però il canadese, escluso da un eccitante finale in cui Jourdain si guadagna la prima vittoria in carriera resistendo agli attacchi di Servia, insidiato da vicino da Carpentier e l’ottimo Manning, primo dei piloti Reynard.
Il momento positivo di Jourdain sembrerebbe continuare a Laguna Seca, dove il messicano conquista la pole, salvo vedersi togliere il miglior tempo quando la sua vettura è trovata leggermente sotto peso. A partire al palo è quindi Carpentier, con Tracy che brucia in partenza Junqueira e tallona a lungo il compagno di squadra. Una brutto bloccaggio frena però il canadese a metà gara, costringendolo a cedere il passo a Junqueira, che dopo l’ultima sosta mette sotto pressione Carpentier, non riuscendo però a negargli il primo successo stagionale. Un secondo posto comunque positivo per il brasiliano, davanti al rivale per il titolo Tracy, che precede il capo classifica Jourdain, autore di una bella rimonta dalla 13° piazza con vari pregevoli sorpassi.
I due condividono la prima fila nell’appuntamento successivo a Portland e dopo 4 tentativi di partenza è Jourdain a passare Tracy all’esterno e prendere il comando. I due procedono in tandem fino alla prima sosta, quando Tracy occupa l’intera pit lane per bloccare il messicano, cosa che qualche giro più tardi gli costa 5 secondi di penalità. Nel frattempo però il tentativo di Jourdain di riprendersi con la forza il primato finisce con un contatto alla prima curva, da cui la Lola del team Rahal esce ferma nella direzione opposta. Jourdain perde così un giro mentre Tracy continua a condurre, fino a quando è un altro messicano, Fernandez, che con una decisa staccata all’ultima ripartenza prende il comando e si invola verso il successo. Per Tracy un secondo posto comunque buono per la classifica davanti a Tagliani (beneficiario del ritiro per cedimento dell’ala posteriore di Bourdais) e Junqueira.
Pos.
Pilota
Punti
1
Paul Tracy
99
2
Bruno Junqueira
95
3
Michel Jourdain, Jr.
91
4
Patrick Carpentier
70
5
Adrian Fernandez
63
6
Oriol Servia
58
7
Sebastien Bourdais
53
8
Mario Dominguez
51
9
Alex Tagliani
46
10
Darren Manning
42
Clevelandvede il ritorno in pole position di Bourdais, che però alla prima curva è subito beffato da Tracy. I due prendono in breve margine su Junqueira, il primo degli inseguitori, ingaggiando un lungo duello di giri veloci. La contesa si risolve quando il francese passa a condurre durante il terzo turno di soste, andando poi subito in fuga. Solo un contatto con il doppiato Fernandez spaventa nel finale Bourdais, che però va a vincere nonostante una ripartenza all’ultimo giro, in cui è invece Tracy a sudare sette camicie per difendere il secondo posto dagli attacchi di Junqueira. Alle loro spalle chiude Carpentier, che precede Dominguez, Servia e Jourdain, costretto alla rimonta da un testacoda al primo giro.
Tracy si rifa subito sullo strade amiche di Toronto, dove conquista una larga pole position davanti a Junqueira, dominando in lungo e in largo la corsa. Una neutralizzazione nel finale potrebbe aiutare il brasiliano, che però nel pit stop decisivo sbaglia il posizionamento della sua vettura, cosa che lo costringe a cedere la piazza d’onore a Jourdain. Bourdais conclude ai piedi del podio una corsa senza sussulti, precedendo Servia, un ottimo Moreno e Carpentier. Un fortuito contatto con Junqueira costa caro a Tagliani, fuori gioco nei primi giri mentre si trova al secondo posto.
Tracy replica la pole position a Vancouver, nonostante il miglior tempo del venerdì gli venga annullato per aver bloccato alcuni avversari. I primi ritiri arrivano ancora prima del via, quando entrambi i piloti del team Coyne riescono a colpire il muro nei giri di riscaldamento. Nonostante Junqueira tagli con largo anticipo il traguardo la direzione gara convalida la bandiera verde, che dura però pochi secondi, perchè Bourdais manda subito contro il muro Moreno, ottimo quarto in qualifica. Alla ripartenza Tracy tallona a lungo Junqueira, che per evitare una penalità è costretto a restituire al canadese la prima piazza. Il brasiliano fa poi spegnere il motore durante la prima sosta, regalando la seconda piazza a Carpentier, per poi essere superato anche da Jourdain dopo l’incidente in cui il doppiato Monteiro elimina Tagliani, in quel momento quarto. Dopo il secondo turno di soste Junqueira recupera la posizione su Jourdain, risalendo poi al secondo posto quando un’insensata manovra di Dominguez, doppiato, elimina l’incolpevole Carpentier. Incontrastato in testa alla corsa, Tracy va quindi a conquistare il quinto successo stagionale davanti al rivale per il titolo Junqueira, che contiene la rimonta di Bourdais, in grado di scavalcare Jourdain durante il terzo turno di soste. Ottima quinta piazza per Manning, che precede Hunter-Reay e Haberfeld, tutti beneficiari dei guai tecnici che colpiscono Fernandez e Vasser nel finale.
Il team Newman-Haas monopolizza la prima fila a Road America, dove un violento acquazzone rimanda a lungo la partenza, causando diversi ritiri ancora prima che la corsa cominci. Il più clamoroso arriva però poco dopo la bandiera verde, quando Paul Tracy finisce nelle gomme mentre cerca di soffiare il terzo posto a Carpentier. Dopo un turno di soste collettive, un lungo di Dominguez regala il terzo posto al canadese, che oltre a mettere pressione a Bourdais deve guardarsi dagli attacchi di Tagliani. La rimonta dell’italo-canadese è poi facilitata da una lenta seconda sosta dell’ex compagno di squadra, che viene superato anche da Manning e Papis. Davanti Junqueira veleggia indisturbato verso la prima vittoria stagionale, che grazie al ritiro di Jourdain, arrivato in contemporanea a quello di Tracy, gli consegna il comando della classifica. Bourdais chiude secondo davanti a Tagliani mentre Papis riesce a volgere a suo favore una bella battaglia con Carpentier e Manning, che chiudono in quest’ordine.
Pos.
Pilota
Punti
1
Bruno Junqueira
164
2
Paul Tracy
161
3
Michel Jourdain, Jr.
125
4
Sebastien Bourdais
116
5
Patrick Carpentier
98
6
Oriol Servia
76
7
Adrian Fernandez
71
8
Darren Manning
68
9
Alex Tagliani
65
9
Mario Dominguez
65
Dopo il disastro di Road America, a Mid Ohio Tracy è determinato a recuperare i punti perduti, conquistando la pole davanti a un sorprendente Hunter-Reay. Nelle prime fasi il canadese prende subito margine sull’americano, che precede Jourdain e Bourdais. Subito dopo la neutralizzazione per un’uscita di Moreno arriva però una svolta nella lotta per il titolo, quando un contatto alla Key Hole spedisce nella sabbia Servia e Junqueira, che perde diversi giri. Mentre Tracy comanda indisturbato la corsa, alle sue spalle Carpentier supera Hunter-Reay durante le soste, mentre Vasser continua una bella rimonta avendo ragione di Jourdain. La formazione dei team Forsythe e American Spirit si rompe però a 10 giri dal termine, quando il campione ’96 finisce mestamente contro le gomme, riportando in pista la pace car. La ripartenza non altera però gli equilibri, lasciando Tracy libero di vincere davanti a Carpentier, Hunter-Reay, Jourdain e Bourdais.
Tagliani manda in visibilio il pubblico di casa a Montreal, conquistando la pole davanti a Servia. Il canadese guida poi a lungo la corsa, consumando però troppo nel tentativo di staccare Jourdain, che ha la meglio su Servia dopo la prima sosta. L’ultimo pit stop particolarmente lungo decide quindi la corsa per il canadese, che si ritrova superato dai due rivali e le vetture del team Forsythe. Nel finale Jourdain è poi bravo a gestire la situazione, cogliendo la seconda vittoria stagionale davanti a Servia, Carpentier, lo stesso Tagliani e Dominguez, che precede un Tracy rimasto a secco sul rettilineo d’arrivo. Il canadese guadagna comunque punti su Junqueira, fuori dalla top ten dopo due testacoda al tornantino.
Il brasiliano si rifà a Denver, dove conquista la pole davanti a Servia, che gli contende il comando nelle prime fasi, dovendo però arrendersi dopo l’ultimo turno di soste, che lo vede scivolare dietro anche a Bourdais. Minaccioso nel finale, il francese accompagna fino al traguardo il capo squadra brasiliano, che con il successo guadagna punti preziosi su Tracy, quarto al termine di una prova poco emozionante. Il canadese precede Fernandez, un Jourdain insolitamente lento e Dominguez, coinvolto in numerosi contatti, tra cui quello in cui rovina la corsa di Haberfeld, per metà gara in lotta per un posto in top 5.
Fernandez conquista a sorpresa la pole nell’appuntamento successivo di Miami, conducendo a lungo la corsa dopo un breve botta e risposta con Junqueira. Tracy, solo ottavo in qualifica, risale in terza piazza complice anche l’uscita di pista di Servia, rovinando poi tutto con un’insensata manovra ai danni di Bourdais. Junqueira riesce però ancora una volta a non approfittare dell’occasione: sempre in coda a Fernandez, il brasiliano finisce per tamponare il leader durante un doppiaggio, rovinando la gara di entrambi. Potrebbe quindi essere la corsa di Jourdain, che però viene spedito in fondo al gruppo per un’infrazione in pit lane. Il comando passa così a un incredulo Dominguez, che precede Moreno in una doppietta Herdez davanti al miracolato Salo, che chiude davanti a Vasser e Haberfeld.
Pos.
Pilota
Punti
1
Paul Tracy
204
2
Bruno Junqueira
191
3
Michel Jourdain, Jr.
171
4
Sebastien Bourdais
142
5
Patrick Carpentier
136
6
Oriol Servia
108
7
Mario Dominguez
101
8
Adrian Fernandez
99
9
Alex Tagliani
91
10
Darren Manning
83
Tracy rimette le cose a posto a Mexico City, dove conquista la pole davanti al sorprendente Monteiro, contenendo nelle prime fasi il duo Newman Haas. Junqueira, debilitato da una intossicazione alimentare, perde però terreno dopo il secondo turno di soste, scivolando dietro Bourdais e poi subendo gli attacchi di Monteiro, Dominguez e Salo. Dopo le ultime soste Bourdais mette pressione a Tracy, che però prende del margine nel finale conquistando il settimo successo stagionale e una buona ipoteca sul titolo. Bourdais chiude secondo davanti a un veloce Dominguez, che sul traguardo precede il redivivo Jourdain, un ottimo Salo, Monteiro e Junqueira.
Il brasiliano si presenta a Surfers Paradise con 29 punti da recuperare, accomodandosi in prima fila al fianco di Bourdais. In partenza il francese lascia subito passare il compagno, venendo però sfilato anche da Tracy, che non completa il sorpasso. Quando i due negoziano quindi la prima curva il canadese si inserisce senza considerare il rivale e il contatto è inevitabile. Bourdais prosegue senza danni mentre Tracy si ritrova in fondo al gruppo. Poco dopo la ripartenza per recuperare la vettura di Servia, a muro nella confusione iniziale, le prime gocce di pioggia tradiscono poi il francese, anticipando un nubifragio che obbliga a una lunga sospensione. Quando la corsa riprende gli incidenti si sprecano, coinvolgendo anche i contendenti al titolo. Tracy rimane infatti vittima di un contatto tra Moreno e Tagliani, perdendo tre giri. Junqueira, a lungo in testa, viene prima superato da Jourdain e Fernandez e poi finisce a sua volta contro il muro quando ormai la pista è praticamente asciutta. Il ritiro del brasiliano assegna matematicamente il titolo a Tracy.
Una diversa sequenza di rifornimenti e le tante bandiere gialle premiano intanto il team American Spirit, che nel finale piazza davanti Hunter-Reay e Vasser. Mentre il californiano deve cedere nel finale a un aggressivo Manning, chiudendo terzo, in testa il rookie gestisce bene varie ripartenze e negli ultimi giri fa il vuoto, conquistando la prima vittoria in carriera.
L’assegnazione anticipata del titolo e i vasti incendi che affliggono le aree prossime al catino di Fontana convincono poi gli organizzatori a cancellare la 500 miglia conclusiva prevista sul circuito californiano.